Nella Repubblica islamica una polizia morale fa rispettare rigide regole alle donne, come l’imposizione di coprirsi i capelli e di indossare abiti larghi in pubblico, per coprire i loro corpi.

Aveva 22 anni, Mahsa Amini, quando lo scorso 16 settembre è stata picchiata a morte dalla “polizia della moralità” mentre si trovava con la famiglia in visita a Teheran, perché una ciocca di capelli le usciva dal velo, che risultava, quindi, indossato scorrettamente per le regole della sharia islamica.

Mahsa Amini è entrata in coma per le gravissime percosse subite dalla polizia, ed è deceduta poche ore dopo in ospedale.

Gli agenti hanno invece dichiarato che Amini si è sentita male mentre aspettava insieme ad altre donne trattenute dalla polizia morale, ma il padre della ragazza ha ribadito che Amini non aveva alcun problema di salute. Il corpo della giovane, inoltre, riportava contusioni alle gambe.

Inoltre, Il Guardian ha riferito che, come evidenziato da una Tac della testa, la giovane aveva una frattura ossea, un’emorragia e un edema cerebrale: Amini sarebbe quindi morta dopo un colpo al cranio.

Il colonnello Ahmed Mirzaei, capo della polizia di sicurezza morale della Grande Teheran, sarebbe stato sospeso dal suo ruolo.

In seguito alla barbara uccisione della giovane, durante i suoi funerali a Saqquez, si sono registrate numerose proteste sia a Saqqez che a Teheran, nel corso delle quali molte donne si sono tagliate i capelli e si sono strappate di dosso l’hijab, postando i video sui social e scatenando una forte reazione del governo iraniano.

Finora sono state almeno 21 le persone arrestate e ieri -terzo giorno di disordini in tutto il Paese -, secondo la denuncia di una Ong, si sarebbero verificati anche cinque morti, due uccisi dagli spari contro i manifestanti nella città curda di Saqez, la città natale di Amini, altre due morti a Divandarreh e un quinto ucciso a Dehgolan, sempre nella regione curda.

Le proteste risultano essere più intense nella regione curda. Nel frattempo, il presidente Ebrahim Raisi, ha fatto le condoglianze alla famiglia di Amini, ma lo stesso Raisi, lo scorso anno ha inasprito l’applicazione della legge sul velo.

Ora sui social spopola l’hashtag persiano #MahsaAmini, e in numerose città del mondo (Milano compresa), molte donne bruciano i loro hijab. Inoltre, molte donne, in segno di solidarietà, hanno deciso di tagliarsi i capelli e di postare il loro gesto su Twitter.

In un comunicato dell’Alto Commissariato, l’Onu chiede un’indagine “tempestiva e indipendente” sulla morte della giovane appartenente alla minoranza curda, dicendosi “preoccupato per la morte in custodia di Mahsa Amini – arrestata dalla polizia religiosa iraniana in applicazione di regole rigide sull’hijab – e per la reazione violenta delle forze di sicurezza alle manifestazioni che ne sono seguite”.

Nelle piazze, giovani donne e uomini stanno in queste ore dando fuoco all’hijab (prescritto per legge e obbligatorio), cantando slogan contro il regime della Guida suprema Ali Khamenei e contro Ebrahim Raisi. La polizia è intervenuta in assetto anti-sommossa, sparando getti d’acqua con gli idranti. Da quando si è diffusa la notizia della morte di Masha, la rabbia della popolazione, non si placa.