Sono in molti, in Lega, a riconoscere “gli errori” e la disfatta. Lo scrivono esponenti politici sui loro profili social. Alcuni – probabilmente coordinati da una mente digitale – postano semplicemente la scritta “Caporetto”, con evidente riferimento alla disfatta elettorale. Gli “errori” non sono specificati, ma è evidente la nostalgia palese, nei confronti di quel “Nord” ormai da tempo non più affiancato alla parolina “Lega”.

Insomma, sono in molti a ritenere che la disfatta di Salvini (dal 17% delle scorse elezioni al 9% di ieri – disastroso risultato elettorale) sia stata largamente dovuta all’abbandono delle iniziali ideologie leghiste.

Ma siamo sicuri che sia davvero così? Con Bossi, la Lega alle elezioni politiche del 2008 ottenne l’8%; esattamente dieci anni dopo, con Salvini, 2018, la Lega superò il 17%. Ora, sempre con Salvini, la Lega è ritornata alle origini: ma non stiamo parlando di nordismo o padanità, bensì di numeri. Ovvero: nonostante l’esecuzione del povero Alberto da Giussano dal Logo, nonostante il monopolio del nome di Salvini sul simbolo un tempo padano, nonostante il blu sovrapposto al verde, nonostante la palese imitazione grafica (scritta bianca su sfondo blu) del Make America Great Again di Trump, nonostante l’estensione nazionalistica e l’estrema inclusività nei confronti del Sud, la Lega si è sgonfiata, ritornando esattamente allo stesso punto di partenza, a livello di percentuale (ma non a livello di dignità).

Quella di Salvini è una Lega divisa (tra chi vorrebbe rimanesse solo “Lega” e chi invece vorrebbe aggiungervi “Nord”), sfasciata.

E poi ci sono quelli che, ad ogni costo, vogliono stare sul carro del vincitore: chi fino a ieri inneggiava al meridionalismo di Salvini, ora dichiara necessario un ritorno all’autonomia e al federalismo, temi riesumati, che erano divenuti ormai preistorici per la politica italiana.

C’è però anche coerenza, come da parte di Roberto Maroni, che aveva dichiarato sin da subito il proprio sostegno alla Meloni (e non a Salvini): lo stesso ex segretario federale della Lega ed ex governatore della Lombardia nella rubrica “Barbari Foglianti” su Il Foglio, scrive: “La vittoria è netta. Svanisce quella che per il centrodestra era l’unica paura e per il centrosinistra l’ultima speranza: non ci saranno incertezze in Parlamento. Una doppia maggioranza in Parlamento abbatte ogni possibile ostacolo sulla strada della Meloni verso Palazzo Chigi. Il risultato sotto le aspettative della lista centrista di Renzi e Calenda non lascia dubbi: il centrodestra non avrà bisogno di altri voti in Parlamento”. E poi continua, lapidario: “E ora si parla di un congresso straordinario della Lega. Ci vuole. Io saprei chi eleggere come nuovo segretario. Ma, per adesso, non faccio nomi”.

Maroni, cioè, auspica ad un cambio di comando: c’è chi pensa a Fedriga, ex enfant prodige ora governatore del Friuli, e chi invece invoca, languente, il nome di un Salvini ormai sconfitto. Così, ad esempio, il presidente della Lombardia Attilio Fontana risponde ai giornalisti che gli chiedono se la leadership di Matteo Salvini sia a rischio dopo il risultato della Lega alle politiche: “Non credo proprio. Faremo una attenta analisi del voto e sentiamo tutte le persone che hanno qualcosa da dire”. “Ci troviamo, ragioniamo tutti insieme e faremo le nostre valutazioni”.