Rivoluzione d’ottobre- atrocità e leggende.

Gli artefici della Rivoluzione Russa si macchiarono di ignominiose atrocità, che la storiografia marxista, tuttavia, cela volutamente sotto il relativo successo che la Rivoluzione stessa ottenne, al prezzo, peraltro, di un ingente numero di vite umane. Raramente viene riportata l’orribile fine che toccò allo Zar e alla sua famiglia, fucilati ad opera dei bolscevichi a Ekarterinburg. Per anni tuttavia il pubblico borghese volle credere, sognando, che qualcuno fosse sopravvissuto a quella strage.oloro che si spacciarono per i Romanov furono duecentotrenta, un numero da record storico.

Il mistero. Esecuzione o fuga?
Taluni ufficiali fedeli allo Zar riesumarono i resti e li nascosero altrove. In seguito se ne impossessò il granduca Nicola Nicolajevitch, il quale tuttavia si spense ad Antibo nel 1929 senza mai rivelare nulla al riguardo. Forse, riguardo ciò che restava dei suoi reali parenti, ufficialmente morti, sapeva ben altro. Non pochi furono gli altri Romanov che riuscirono a fuggire le probabili esecuzioni cui sarebbero stati sottoposti, imbarcandosi su un piroscafo di loro proprietà, ultimo e ridottissimo, quasi surreale, regno di quel che era stato l’immenso impero zarista. Pochissime ma esistenti furono le voci che ipotizzarono la presenza di Nicola II e la sua famiglia, a bordo.
Nei giorni seguenti l’esecuzione, durante i lavori del comitato centrale di Mosca, Lenin lasciò parlare Sverdlov, il quale riferì dell’uccisione dello Zar Nicola II “ in un tentativo di fuga, mentre le truppe cecoslovacche si avvicinavano alla città.” (non viene quindi confermata l’uccisione di tutta la famiglia, ma solo quella dello zar. n. d. r.)Anche quando il 20 luglio venne letto pubblicamente a Ekaterinburg il decreto dell’eseguita esecuzione, si menzionò solo l’uccisione dello Zar .( “il Comitato esecutivo, dando corso alla volontà del popolo, ha decretato di procedere all’esecuzione dell’ex zar Nikolaj Romanov, colpevole di innumerevoli crimini sanguinosi.’’)Il soviet centrale negò lo sterminio dell’intera famiglia, comunicando solo quella dello zar. tuttavia nel 1979 i resti che vennero estratti dalla cava, come volle la cronaca, furono riconosciuti dal DNA e sanciti dalle autorità russe in quanto veramente provenienti dalla famiglia imperiale.

Indagine senza certezza

Pochi giorni dopo Ekarterinburg delegati dell’armata bianca giunsero sul luogo del delitto per indagare, trovando tuttavia nient’altro che qualche foro di pallottola nella fatidica stanza, qualche macchia di sangue e alcuni gioielli rovinati dal fuoco, nella cava ove sarebbero stati sepolti i corpi. Sergeev, capo della delegazione, alla fine del suo mandato scrisse “Io non credo che lo Zar, la sua famiglia e chi era con loro siano stati uccisi quaggiù.”
Gli successe l’investigatore inglese Sir Charles Eliot, inviato dal primo ministro Balfur, al quale riferì ipotesi sconcertanti. Sosteneva che Sergeev avesse respinto tutte le notizie riguardanti l’esecuzione e l’occultamento dei cadaveri e che l’ imperatrice e i figli fossero stati trasferiti o a nord o a ovest, il 17 luglio. Il ritrovamento dei diamanti bruciati nella cava non comportava, dunque, la conseguente scoperta dei cadaveri.
Si dice che il 17 luglio un treno fosse partito da Ekarterinburg, con le cortine abbassate, diretto in un ignoto altrove.

Eliot non credeva all’ufficiale versione sull’eccidio della famiglia dello Zar e, a riprova della propria ipotesi, riportò prove effettive e materiali. Nel caminetto del vestibolo attiguo alla stanza dell’esecuzione furono ritrovate lunghe ciocche di capelli femminili e appartenenti alla barba, assai riconoscibile, dello Zar. il sacerdote locale, avendo raccolto l’ultima confessione dei membri della regale famiglia, appena quarantotto ore prima del presunto eccidio, sostenne che le ragazze avessero ancora i capelli lunghi fino alle spalle, mentre la barba dello Zar sembrava “spuntata tutt’attorno.” Forse che il taglio fosse stato interrotto all’arrivo dell’uomo di chiesa? E vale la pena riconoscere che, nei ritratti ufficiali, le granduchesse non portano i capelli “lunghi fino alle spalle” bensì fino alla vita. Anch’esse, dunque, si stavano tagliando i capelli, all’arrivo del sacerdote?
L’investigatore britannico raccolse le informazione fornitegli da Sergeev, secondo cui, in una stanza che effettivamente misurava quattro metri per cinque, avrebbero dovuto affollarsi dodici esecutori e undici condannati. Sergeev sostenne, inoltre, che sarebbe stato impossibile, da parte dei carnefici, sparare contro le vittime senza ritrovarsi il dorso della mano ustionato dal fucile del collega retrostante, viste le ridottissime dimensione del mattatoio. Ventisette furono i fori di pallottole ritrovate sia nel pavimento che nel muro, alcune con ancora il proiettile dentro, nessuno che recava tracce di sangue. Dato pressoché impossibile, dato che le pallottole avrebbero trapassato i corpi dei condannati, e necessariamente avrebbero dovuto avere al loro interno tracce organiche.
Tuttavia, a discapito di queste informazioni, Kabanov membro del comando, riporta che
“…si formarono tre file di uomini che sparavano con le pistole. E la seconda e la terza fila sparavano al di sopra delle spalle di quelli che erano davanti. Le braccia con i revolver, protese verso i condannati, erano così tante e così vicine l’una all’altra che quelli che erano davanti ebbero il dorso della mano ustionato dagli spari di quelli che erano dietro” e che le granduchesse e le altre donne presenti, non furono fucilate ma infilzate, data la consistente resistenza dei di loro corsetti, contro i quali, come già citato, sarebbero rimbalzati i proiettili.
Era stato Sergeev, dunque, a diffondere la probabilità che i membri della famiglia imperiale potessero essere ancora vivi. E Sergeev, pochi mesi dopo, scomparve nel nulla. si erano imposti i bolscevichi dell’armata rossa, che a capo dell’indagine, misero Sokolov, che impose la versione, tutt’ora accertata, dell’esecuzione dell’intera famiglia.
Un giornalista del Times, Wilton, recatosi anch’egli a Ekrterinburg, studiati i documenti di Sergeev, di Eliot e anche di Sokolov, ritornato in patria scrisse al proprio comandante Lasies: “Anche se lo Zar e la sua famiglia fossero vivi, è necessario dire che sono morti.”
Ma perché occultare fino a tal punto la verità? Nascondere come realmente fossero andate le cose era comodo ai Rossi, che potevano finalmente affermare di aver estirpato e sterminato la casata reale, ma era ugualmente comodo ai Bianchi, che avevano così modo di accusare i bolscevichi di tali atrocità, quali, per l’appunto l’uccisione e la violenza di sei donne e un bambino. Allo stesso modo, l’occidente aveva il pretesto di colpire l’opinione pubblica sia per quanto riguardava i bolscevichi che gli antirivoluzionari.
Così vuole il corso del tempo, la storia è come un fiume che si snoda attraverso le sue vicende di sangue, sorpassa scogli di crudeltà varie per poi giungere a quel mare di ciniche elucubrazioni al riguardo, da parte di chi ha avuto la fortuna di restarne estraneo.
Nel 1920 il giornalista Wilton pubblicò sul Sunday Times vari articoli che si adeguavano certamente alla versione ufficiale, con la macabra originalità di dilungarsi sulla fine della sventurata famiglia imperiale.
Raccontò così che, nella suddetta stanza di ridottissime dimensioni, si sarebbero ammassati tredici carnefici e undici vittime, le sei nobildonne e la serva furono violentate e uccise, legate alle sedie , mentre lo Zar e lo zarevich furono costretti a guardare, per poi essere anch’essi fucilati.
Erano tuttavia gli anni in cui la campagna antisemita, rinata, incominciava a rafforzarsi mentre Sergeev, Trotskij e tutti i principali fautori dell’operazione di Ekarterinburg (perlomeno quella tramandata secondo la versione ormai accolta da tutti i libri), erano ebrei.
Così l’ultimo investigatore, Sokolov, adempiendo alla volontà dei bolscevichi rossi scrisse un libro intitolato “Inchiesta giudiziaria sulla famiglia imperiale Russa” nel quale accoglieva pienamente la versione ufficiale ma faceva ricadere la colpa del massacro sui Bianchi ebrei, per questo finì per compromettersi con essi ed essere costretto all’esilio politico.
Ricomparve sulla scena nel 1923 quando l’industriale dell’automobile americano Henry Ford, accusato da un gruppo sionista di antisemitismo, lo contattò, su consiglio del presidente della Società Nazionale Russa, Brasol, avendo bisogno della sua indagine a discapito dei presunti assassini dei Romanov, ebrei.
Incontratisi a Parigi, i delegati Ford accompagnarono Sokolov in America, ove Ford stesso lo intervistò. Durante il dialogo, un ufficiale invitò Ford ad assentarsi per un attimo, consegnandogli un biglietto, firmato dal granduca Nicolaij, cugino dello Zar. In esso – si dice- vi sarebbe stato scritto che i documenti che Sokolov stava per consegnargli erano falsi.
I documenti che Ford ottenne contro gli Ebrei non furono mai pubblicati. Una settimana dopo il rientro in Europa, Sokolov, divenuto ipersensibile e ricoverato in una clinica (di proprietà di Ford, n.d.r.) morì.
Due mesi dopo morì anche il giornalista Wilton, padre della frase sibillina riguardo la presunta morte della famiglia dello Zar. In seguito, per coincidenza o fatalità, passarono a miglior vita anche molti magistrati al seguito di Sergeev e Sokolov.
Sulla tomba di Sokolov, a su di Parigi, presso Sabris, l’epitaffio recita: “La tua Verità è Verità Eterna.”
Ma l’unica vera certezza è che il dubbio, per molto tempo, rimase. Per poi tuttavia spegnersi, per razionalità scientifica e mettere per sempre a tacere ogni speranza riguardo l’ipotetica salvezza di sei giovani e una donna.

Chantal Fantuzzi