2017

Venerdì 23 giugno i soci della ProMuseo erano convocati al Lac per la presentazione della nuova collezione, ad opera del direttore Marco Franciolli. Un bell’evento, ben frequentato da un pubblico folto e interessato… con un prologo a sorpresa: una sontuosa donazione!

Proprio così. Un prezioso busto virile (fine Quattrocento) di Tommaso Rodari è stato donato dai coniugi Enzo e Maria Grazia Pelli al Museo d’arte della Svizzera italiana.

Ma lasciamo senz’altro la parola a Enzo, che parla anche per Maria Grazia.

A proposito della donazione della scultura di Tomaso Rodari

Questa donazione è in fondo la storia di un’attrazione fatale. E’ cominciata con un vero e proprio colpo di fulmine, quando abbiamo visto per la prima volta alla galleria Canesso il busto scolpito da Tommaso Rodari. Bello, solido, con uno sguardo gentile e un po’ malinconico. Irresistibile, malgrado il titolo serioso con il quale veniva presentato: busto virile paludato.

Abbiamo cominciato a girargli intorno, siamo tornati in galleria a vederlo, abbiamo letto lo studio che accompagnava la mostra. Probabilmente un santo, secondo gli studiosi, anche se a noi sembrava un imperatore. Ma la grande spilla con pietra preziosa che gli allacciava la toga romana – e suggeriva la possibile identità del personaggio: sant’Eligio vescovo di Noyon, vissuto all’epoca merovingia. Da Wikipedia abbiamo saputo che fu un filantropo (bonus), un grandissimo orefice (secondo bonus), e che morì nel suo letto e non per qualche lugubre martirio (terzo bonus). È patrono degli orafi e dei numismatici, dei maniscalchi e dei veterinari (riattaccò miracolosamente la zampa ad un cavallo). Insomma, un tipo simpatico.

Sapevamo che il MASI e la Pro Museo purtroppo non avevano la possibilità di acquistarlo, malgrado fosse l’opera di un autore importante addirittura del ‘400, nato e attivo nella nostra regione – e non presente nelle collezioni. Vedevamo già Sant’Eligio in volo verso una collezione lontana, perduto per sempre negli oscuri caveau di un qualche grifagno milionario texano.

Non siamo dei collezionisti. Abbiamo in casa opere d’arte, ma non di questo livello né di quest’epoca. Che fare? Ci abbiamo pensato e ripensato per più di un anno, poi ci siamo decisi. Il Rodari sarebbe stato nostro, ma non per noi: così è nata l’idea, forse un po’ insolita: acquistare quest’opera, per poi donarla al museo.

Così, nel gennaio dell’anno scorso una pesante cassa è arrivata in casa nostra, e il buon Eligio si è sistemato in salotto con noi. C’è rimasto solo un po’ più di un anno, ma è diventato subito una presenza benigna e familiare. L’abbiamo chiamato Gigio, e ci ha tenuto davvero compagnia. Abbiamo anche cambiato le nostre abitudini alimentari… nel senso che abbiamo cominciato a prendere i nostri pasti sul tavolo di fronte a lui e non più in cucina.

Ogni tanto, entrando nel locale, ci sfiorava per un istante l’impressione che ci fosse lì una persona vera. Bella, amichevole, con anche una sua rocciosa sensualità (se possiamo permetterci l’espressione, parlando di un vescovo).

Non dimenticheremo facilmente l’espressione dell’amico Marco Franciolli quando l’abbiamo invitato a cena, e già sorpreso dalla presenza della scultura in casa nostra, ha anche scoperto che “era per lui”.

Non è stato facile separarci dal nostro Gigio, il suo spazio è rimasto un po’ vuoto (abbiamo messo al suo posto un piccolo legno di Genucchi, che fatica un po’ a reggere il confronto).

Vorrà dire che andremo ogni tanto a trovarlo al MASI, e poi in via Canova, come si fa visita a un vecchio zio al quale si vuol bene.

Enzo e Maria Grazia Pelli

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Sant’ Eligio di Noyon, (Chaptelat, 588 circa – Noyon, 1º dicembre 660), è stato un orafo e poi alto funzionario della corte dei re merovingi; è venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Secondo la tradizione, Clotario II gli avrebbe commissionato un trono consegnandogli l’oro necessario per l’opera ed Eligio ne avrebbe realizzati due: fortemente impressionato dalla sua perizia e dalla sua onestà, il Re lo nominò orafo di corte e maestro della zecca. La leggenda gli attribuisce numerose opere (oggi in gran parte perdute): i vasi sacri e altri arredi per le chiese parigine di Notre Dame e Saint Denis, di Saint Loup a Noyon, di San Martino a Limoges e per l’abbazia di Chelles. Sotto il successore di Clotario, Dagoberto I (629639), ricoprì la carica di tesoriere: fu anche incaricato di missioni diplomatiche (ristabilì la pace tra i Franchi e i Bretoni convincendo il re Giudicaele a dichiararsi suddito di Dagoberto). Si dedicò incessantemente ad opere di carità in favore dei poveri e dei malati e finanziando il riscatto dei prigionieri: finanziò la costruzione di numerose chiese e nel 632 fondò un monastero a Solignac. Fu eletto vescovo della diocesi di Tournai e Noyon nel 640: si dedicò alla conversione dei pagani ancora presenti nella sua vasta diocesi, promosse il culto dei santi di cui rinvenne i corpi (San Quintino, San Luciano di Beauvais) e di cui avrebbe realizzato anche i rispettivi reliquiari. Ebbe grande popolarità nel medioevo; il 1º dicembre. giorno della sua festa, in alcune località francesi si effettua la benedizione dei cavalli, e anche in Italia, ad esempio a Sciara, nella città metropolitana di Palermo e al Casale del Pozzo di Nocera Inferiore in provincia di Salerno il Martedì in Albis; il suo culto è attestato anche a Sansepolcro, in Alta Valle del Tevere, dove trova spazio nella chiesa di Sant’Antonio Abate, sede sia dell’omonima confraternita che della corporazione degli orafi.

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Rivolgendo alcune domande a Enzo abbiamo approfondito il discorso.

Francesco De Maria  Come è nata l’avventura di questa donazione?

Enzo Pelli  Verso la fine del 2013 la galleria Canesso, appena arrivata a Lugano, aveva dedicato una mostra a una statua di Tommaso Rodari. Un busto virile di uomo in toga romana che ha subito colpito mia moglie Maria Grazia e me – per la sua antichità e imponenza, ma anche per il carattere della figura, ritratta con grande umanità e finezza psicologica. Bella ma non pomposa, dallo sguardo riflessivo e amichevole, scolpita in un marmo di Musso dalla colorazione irregolare che aggiungeva naturalezza all’espressione. Anche la sua rarità ci ha molto colpito.

Tommaso Rodari era un grande?

EP  Il Ticino è pieno di vie dedicate a lui. Non a caso: oggi nell’arte siamo legati alle mode effimere, e ci siamo dimenticati che nel Rinascimento gli scultori ticinesi sono stati importantissimi. Rodari (anche come architetto) era uno di loro, e ha dominato per decenni la scena nel nord Italia. Se la sua epoca fosse di moda, potremmo paragonarlo, non so, a un Giacometti. Per avere un’idea del suo valore, basta andare a Como e guardare la facciata del Duomo, da lui progettata e decorata di sculture.

Come mai vi è venuta l’idea della donazione? Chi l’ha avuta per primo? Tu o tua moglie?

EP  Direi proprio che è stata una cosa di noi due insieme. Appena visto quest’opera ci siamo resi conto che un’occasione come questa non sarebbe più capitata sul mercato. Di comprarla per noi, perô, non era il caso. Anche se ci piaceva moltissimo, noi non siamo collezionisti di questo livello, e neppure abbiamo altre cose di questa epoca. Secondo me, poi, una scultura come questa era troppo importante per il nostro territorio per tenerla in una casa privata. E’ una cosa unica, e il MASI non possedeva opere di Rodari, né altre sculture del ‘400, né molte altre opere così antiche. Così mi sono informato per capire se il MASI o la Pro Museo (ero nel suo comitato) avessero l’intenzione di acquistare il Rodari. Mi sono reso conto, parlando con Marco Franciolli, che il MASI non riusciva a trovare i fondi necessari per farlo. Da parte sua la Pro Museo aveva altre priorità.

E’ lì che vi siete decisi?

EP  Maria Grazia ed io abbiamo poi ripetutamente visitato la galleria Canesso, rivisto la scultura, parlato con la direttrice Chiara Naldi e con il proprietario Maurizio Canesso. E’ stata, con loro, una trattativa molto simpatica e amichevole, che poi si è risolta in modo positivo. La scultura è rimasta per un po’ a casa nostra, mentre venivano organizzati gli aspetti pratici della donazione al MASI.

Come mai non avete preferito una donazione anonima?

EP  Per noi si è trattato di una donazione senza condizioni, anche da questo punto di vista. Abbiamo discusso con il direttore Franciolli, e abbiamo capito che per il Museo era importante far sapere che in Ticino c’erano persone “in carne ed ossa”, conosciute da tanta gente, che avevano a cuore il MASI. E che per fare una donazione non era necessario essere grandi collezionisti. Forse il nostro gesto potrà invogliare altri amici ad imitarci.

Che rapporto avete con l’arte? Siete degli specialisti, degli intenditori?

EP  Maria Grazia ed io siamo da sempre appassionati d’arte. Non siamo degli specialisti, ma dopo tanti anni di frequentazione di musei e gallerie ci siamo familiarizzati con questa materia. Forse, in qualche settore specifico, possiamo definirci degli intenditori.

Che cosa collezionate?

EP  In casa abbiamo soprattutto opere della prima metà del Novecento – come ho detto, sono buone cose ma non certo dei Matisse e dei Picasso. Io poi ho una discreta raccolta di vetri di Murano del XX secolo.

Conoscete bene Franciolli e Canesso?

EP  Conosciamo Marco Franciolli da moltissimi anni, e abbiamo un rapporto di amicizia e stima reciproca. Io poi sono stato con lui nel comitato della Società ticinese di belle arti e poi nella Pro Museo. Questo ha molto facilitato la nostra decisione di effettuare questa donazione. Abbiamo invece conosciuto Maurizio Canesso grazie al Tommaso Rodari. E’ una persona squisita e competente, che rivediamo volentieri ogni volta che torna da Parigi. La sua decisione di aprire una galleria di Arte classica a Lugano è meritevole e coraggiosa, il suo è un lavoro importante.

Cosa pensi del LAC, della sua importanza per la vita cittadina, e delle polemiche che ogni tanto si risvegliano?

EP  Continua a stupirmi la miopia di chi non perde occasione di sollevare polemiche, e dei continui tentativi di screditare questa istituzione. Non si accorgono, queste persone, che il LAC sta già cambiando la vita culturale e anche sociale di Lugano, e l’immagine della nostra città in tutta la Svizzera e all’estero. Il LAC ha dato vita a un quartiere dove i luganesi non andavano. Propone stagioni concertistiche e teatrali di altissima qualità che coinvolgono ogni settimana migliaia di persone, e mostre di grande livello e richiamo. Penso che il LAC sarà anche il motore del rilancio turistico di Lugano. Dobbiamo tenercelo stretto.