2016
Si è inaugurata la settimana scorsa una bella e particolare esposizione alla galleria De Primi Fine Art di Lugano: si tratta di una mostra antologica su Christo e Jeanne-Claude dal suggestivo titolo: ‘ri-velare’.
Christo e Jeanne-Claude, o più spesso semplicemente Christo, è il progetto artistico comune dei coniugi statunitensi Christo Yavachev (Христо Явашев, Gabrovo, 13 giugno 1935) e Jeanne-Claude Denat de Guillebon (Casablanca 13 giugno 1935 – New York, 18 novembre 2009), fra i maggiori rappresentanti della Land Art e realizzatori di performances visive su grande scala.
Alla De Primi Fine Art sono esposte all’incirca quindici opere della coppia di artisti, descriventi i loro più rappresentativi e principali progetti .
Si tratta di un percorso attraverso le grandi e ambiziose opere di Christo e di Jeanne-Claude, le loro installazioni, le loro idee che sono, in parte, nate ispirandosi alla geniale opera del 1920 di Man Ray, L’enigme d’Isidore Ducasse, primo vero “impacchettamento” d’arte – con una coperta ed uno spago- di un oggetto qualunque -in questo caso una macchina da cucire- che la storia dell’arte ricordi. Quest’opera, dai risvolti inquietanti, fa parte del mistero che attornia la morte del giovane poeta francese Isidore Ducasse (1846-1870) di cui si pensa che Man Ray abbia immortalato indizi nascosti dall’imballo e nelle fotografie.
I lavori di Christo e di Jeanne-Claude ci insegnano soprattutto a re-imparare a vedere e ci esortano a ri-scoprire, ad avere nuovi occhi e ad essere curiosi, per lasciarsi sorprendere. Come detto, è anche suggestivo il titolo della mostra, che gioca con il doppio senso, del “velo” e del “rivelare” [dal lat. revelare «togliere il velo»]. Togliere e mettere un velo, un diaframma, una copertura. Cogliere, dunque, ciò che è nascosto: la rivelazione anticipa, infatti, lo stupore e la meraviglia.
Ed è la capacità di stupire e di meravigliare (ed essere degno di meraviglia), che definisce la vera opera d’arte perché ne contiene la narrazione e la leggenda che ne scaturirà con il tempo. Il filosofo, colui che ama e ricerca la sapienza, è soprattutto un uomo che si meraviglia, una persona che prova sì stupore ma anche il piacere della vertigine e dello spaesamento. Ed è lo spaesamento del non-luogo, della perdita di referenti classici che offre un’inattesa magia alle opere di Christo e di Jeanne-Claude.
Riprendendo una considerazione di Paolo Repetto che, tra l’altro, ha curato il testo di presentazione del bel catalogo edito per l’occasione (e dal quale vengono prese alcune note per questo articolo) si può dire che “guardare e osservare, significa capire. È bello considerare che ancora oggi, in inglese, capisco si esprime anche con I see (lo vedo).”
Il percorso è vasto e si delinea lungo le installazioni ed i variegati progetti di Christo e di Jeanne-Claude: da Kassel con il loro imballaggio d’aria per Documenta (1968) alla Mastaba (da realizzare), dal progetto Valley Curtain (1970/72) all’attuale The floating Piers sul lago d’Iseo, dalle Surrounded Island (1980/83) a Over the river (da realizzare), da The Umbrellas (1984/91) a The gates (2004/05) dal Running fence (1976) al Pont Neuf (1985) al Reichstag (1995) … L’opera di Christo è sempre coinvolgente per gli addetti ai lavori e per le folle che assistono ad un evento ciclopico, incruento per il paesaggio, e in un certo senso poco dispendioso, visto che il costo è autofinanziato con la vendita dei bozzetti preparatori, le foto esclusive del loro prezioso fotografo Wolfgang Volz e gli oggetti/stampe a ricordo dell’evento. Grazie alla fotografia, infatti, viene conservato nel tempo il lavoro di Christo e di Jeanne-Claude. Senza la fotografia, il progetto scomparirebbe del tutto non appena smantellato. Per questo motivo anche la fotografia è parte integrante del loro programma artistico.
Nel pensiero progettuale, quelli di Christo sono tutti lavori concepiti con l’intento di -soprattutto- nascondere, completamente o parzialmente, o di variare un luogo, un vasto spazio, alfine di far “vedere” veramente, far intendere nuovamente dando una visione diversa del mondo da quella a cui siamo abituati. Nascondendo si nota l’assenza. Il vuoto che ridiventa pieno.
Secondo Proust, il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi. In questo caso Christo e Jeanne-Claude occultano o variano temporaneamente un sito o un paesaggio per creare artificialmente un anti-luogo, un non-spazio, atto a dare nuova luce, nuova vita e visione a ciò che appariva scontato.
Non bisogna mai dare nulla per scontato. Certe volte bisogna assaporarne l’assenza per poter veramente apprezzare qualcosa. Il fatto di coprire per un breve periodo un monumento, una forma, una presenza, un luogo, ci permette di poterlo “ri-assaporare” nuovamente.