di Achille Colombo Clerici

tratto da “GIOVANISSIMA E BELLISSIMA”, ed. Casagrande, Lugano

L’11 febbraio 2013 a Milano nevica a larghe falde e le vie sono suggestivamente coperte da una coltre bianca. Alle ore 11 del mattino, in via Meravigli, di fronte al palazzo situato al numero 3, è ferma una scura auto di Stato, ma nessuno ne scende. Passano i minuti, i tram si bloccano, fermati dalle auto di servizio. Al primo piano, nel salone dell’Assoedilizia, c’è in attesa tutto lo Stato maggiore della proprietà immobiliare lombarda e nazionale. I minuti si fanno grevi, ma nulla si muove. Mentre in piedi nell’atrio comincio a chiedermi per quale grave motivo il Primo ministro Mario Monti si trattenga così a lungo in vettura, probabilmente impegnato in qualche conversazione telefonica, vengo informato dai miei collaboratori in modo concitato che le agenzie giornalistiche stanno battendo la notizia della “rinuncia” (termine tecnico più proprio; non “dimissioni” come si dice impropriamente) di Papa Benedetto XVI al Soglio pontificio.

La mente corre subito a quel lontano 11 febbraio 1929 e alla definizione dei rapporti tra Stato e Chiesa, conclusa con i Patti Lateranensi firmati da Benito Mussolini per il Regno d’Italia e dal cardinale Pietro Gasparri per la Santa Sede. La pietas di qualche anima religiosa ricorda che a questo giorno di febbraio del 1858 risale la prima apparizione della Vergine a Lourdes. Lo rievochiamo parlando con Ignazio e Maria Vittoria Bonomi, sotto la cupola del salotto neoclassico della loro abitazione a Bergamo, mentre, con Uberto e Laura Perego di Cremnago e con Giovanna, sorseggiamo un rosolio della casa. È questa dell’11 febbraio una data simbolica, volutamente ricercata, o è semplicemente fatidica e ricorre per puro caso?

In effetti, la declaratio del papa interviene durante la seduta del Concistoro del giorno prima, ma viene comunicata nella mattinata successiva: «… nel mondo di oggi – spiega il Pontefice – soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice. Carissimi Fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l’amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti. Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell’eleggere il nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio».

Questo è l’ultimo atto di una sofferenza di Benedetto XVI, che dura da lungo tempo, nell’arco di un pontificato all’insegna del preciso mandato di fare pulizia nella Chiesa – come dirà Papa Bergoglio – che ha visto l’emergere di una serie di scandali per pedofilia ed episodi a prima vista sconcertanti e impietosi, come quello occorso durante la visita in Germania il 22 settembre 2011, quando al Pontefice, che segue intimidito e quasi intimorito il presidente federale di Germania Christian Wulff, alcuni vescovi e cardinali schierati in parata sembrano rifiutare di stringere la mano. C’è un filmato della televisione polacca – in Italia la notizia ha avuto scarsa eco e la Chiesa stessa ha smentito qualsiasi ipotesi di dissenso – che ritrae una scena che può dar adito a diverse interpretazioni, con riferimento al rapporto dell’allora Pontefice con alcuni esponenti del clero. Se la sostanza di quanto ripreso fosse quella di una presa di distanza, ci sarebbe da chiedersi quanto tale situazione fosse espressione di risentimenti personali e quanto derivasse invece dall’interpretazione di un sentiment popolare? Forse al tedesco Papa Ratzinger viene imputato di parteggiare per una Chiesa più italiana che europea, o meglio per una Unione più cristiana, cioè più vicina alla Chiesa di Roma, soprattutto alla luce delle sue storiche battaglie sulle radici giudaico-cristiane dell’Europa, forse erroneamente lette come una posizione in qualche modo antieuropeista? Certo è che il progetto di Europa, nella concezione francese di Giscard d’Estaing, alla fine prevalente, era stato un progetto laico, in cui la Chiesa Cattolica ha poco spazio. E d’altronde ben si comprende come l’ex cardinale Ratzinger  ispiratore e firmatario di quella dichiarazione, in data 26 novembre 1983, della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede attraverso la quale, con l’approvazione del Papa Giovanni Paolo II, la Chiesa ribadiva la propria condanna alla Massoneria  potesse in qualche modo non esser pienamente apprezzato da un certo mondo europeista.

Sull’altro fronte, quello dei rapporti con il mondo islamico, molti ricordano il discorso tenuto da Papa Ratzinger il 12 settembre 2006 durante una lectio magistralis dal titolo “Fede, ragione e università – Ricordi e riflessioni” presso l’Università di Regensburg in Baviera. Quel discorso aveva causato violente reazioni in tutto il mondo musulmano, soprattutto a causa di una citazione dell’imperatore bizantino Manuele Secondo Paleologo, tratta da un suo scritto sulla guerra santa, redatto probabilmente tra il 1394 e il 1402: «Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere, per mezzo della spada, la fede che egli predicava».

Molti ricordano anche quanto Papa Benedetto XVI fosse allineato all’insegnamento del Concilio Vaticano II che nel 1965 era approdato ad una svolta storica dei rapporti tra Chiesa cattolica e mondo ebraico, sancendo, nel solco del dialogo interreligioso, la fine del bimillenario antiebraismo cristiano.

Un insegnamento di enorme forza che riconosceva, in un certo senso, nella cultura ebraica la radice sacra della identità cristiana.

Lo stesso cardinale Carlo Maria Martini aveva esortato i cristiani ad amare la cultura ebraica.

Si trattava della prefigurazione in nuce di una futura “alleanza” tra le due cultur