Dalla primavera del 1945, Tito aveva richiesto la cessione dell’Istria e della Dalmazia alla nascente Repubblica popolare jugoslava, fra Trieste e Gorizia l’esercito Jugoslavo (cioè la polizia politica di Tito, l’Ozna) aveva 10mila persone, che sarebbero sparite nel nulla. Molti italiani vennero rinchiusi nei campi di prigionia, mentre altri (membri delle forze di sicurezza, come polizia e guardia di finanza, ma anche civili e loro parenti), toccò la sorte delle “foibe”. Nei confronti degli italiani, le foibe avevano tre scopi: epurativo (pulizia etnica); intimidatorio (nei confronti di chi avrebbe voluto opporsi a Tito); punitivo (nei confronti dei fascisti o dei loro collaborazionisti). In esse, furono gettati 5mila innocenti e civili. Oggi, il numero gli infoibati non è chiaro: il governo jugoslavo ha cercato di ridurne i numeri; si arrivò anche a pensare ai 20-30mila vittime, anche se oggi si parla di 5mila morti.
Il progetto di pulizia etnica delle foibe iniziò dopo l’8 settembre del 1943, ma gli attriti tra l’etnia slava e quella italiana, nelle Venezie,, risalivano già agli anni ‘20, ma con l’avvento del Fascismo, l’assimilazione forzata degli slavi agli italiani (l’italianizzazione dei cognomi, la chiusura delle scuole) da parte del fascismo di confine diviene potente.
I fascisti avevano dato fuoco, nel 1920, al BalcanoHotel, la casa del popolo delle nazioni slave. Il 6 aprile 1941, senza dichiarazione di guerra, l’Italia e la Germania avevano invaso la Slovenia. A tale invasione aveva risposto la violenta guerriglia di Tito Broz, con conseguente risposta – crudelissima – da parte del fascismo. Il generale Mario Roatta aveva istituito campi di concentramento per la popolazione jugoslava, come il famigerato Arbe – la cui mortalità avrebbe superato quella di Dachau. Allo stesso tempo, gli ustasha – fascisti croati – combattevano contro i partigiani titini. Dopo l’8 settembre 1943 e l’annuncio radio del maresciallo Badoglio della resa dell’Italia, le forze italiane in Slovenia si dissolsero velocemente. È da questo momento che comparvero nella storia le foibe: cavità carsiche dove vennero fatti sparire gli italiani trucidati.
La violenza previde, in un clima di generale confusione, vere e proprie liste di proscrizione di fascisti, ma anche, come ricorderà la sorella di Norma Cossetto alla Rai, “poveri impiegati da ogni parte di Italia”, trucidati “solo perché parlavano italiano”.
Nei giorni che seguirono l’8 settembre si stima che nelle foibe siano state gettate 700 persone; la Wermacht tentò di riconquistare l’Istria, e il 15 ottobre tutta la penisola istriana e la Venezia Giulia passarono sotto il controllo tedesco, venendo sottratte alla sovranità italiana e all’invasione jugoslava. Nel frattempo, però, il movimento di Tito – combattente contro i nazisti – mira anche a invadere e conquistare le Venezie italiane; nel 1944 il movimento di Tito venne riconosciuto dagli Alleati. Il movimento aveva un motto: “l’altrui non vogliamo, il nostro non lo diamo”; sostenendo di fatto la legittimità dell’invasione slava nel territorio italiano.
Nel frattempo, l’invasione tedesca in Croazia era durissima, come testimonia la risiera di San Sabba, a Trieste, che fu trasformato in un forno crematorio per gli ebrei di transito veros la Polonia (dopo l’avvento dei titini, esso sarebbe stato trasformato in un campo di prigionia per italiani).
Nella primavera del 1945, a Trieste scoppiarono contemporaneamente due insurrezioni, quella guidata dall’Organizzazione Comunista Italo-Slava “Unità” Operaia Slava, perchè fin dall’autunno 1944 i comunisti italiani erano passati all’ordine del fronte di liberazione sloveno e quella del Comitato Liberazione Nazionale. Sorpassando l’esercito angloamericano, il 1 maggio 1945, alcune unità jugoslave riuscirono ad arrivare a Trieste, inaugurando 43 giorni di occupazione jugoslava; dopo gli accordi di Belgrado gli alleati trovarono un accordo sulla linea Morgan dividendo la Venezia Giulia in due zone: la Zona A sotto il controllo alleato, la Zona B sotto il controllo dei militari jugoslavi. Seppure quest’ultima situazione preoccupasse molto il governo italiano di Alcide de Gasperi (l’Italia aveva combattuto a fianco degli Alleati con la Resistenza), il trattato di Pace ratificato a Parigi nel febbraio del 1947, confermò la perdita, per l’Italia, dei territori dall’altra sponda dell’Adriatico: le istanze italiane erano state sacrificate agli interessi nazionali e tutti i territori italiani ottenuti dopo la Prima Guerra Mondiale passarono sotto il dominio Jugoslavo.
Il 12 giugno l’esercito popolare della Jugoslavia si ritirò da Trieste, aprendo però una delle pagine più oscure della storia di quelle regioni. Trieste, porto dell’Austria, non voleva esser ceduta agli italiani dagli jugoslavi, ma nemmeno agli jugoslavi dagli alleati, perché non volevano un porto dell’Europa Centrale in mano sovietica.
Nel dopoguerra la prima a svuotarsi fu Fiume, poi Pola, che gli Alleati avevano ceduto al governo Jugoslavo (gli italiani fuggirono perché altrimenti avrebbero dovuto imparare una nuova lingua e soprattutto accettare la cessione di tutti i loro beni al governo). La città fu inondata di sangue quando avvenne la strage di Vergarola, dove mentre assistevano, sulla spiaggia, a una gara di canottaggio, centinaia di italiani furono fatti saltare per aria il 16 agosto 1946 dalle mine, probabilmente poste dall’Ozna.
Saranno 32mila i profughi italiani; il piroscafo “Toscana”, utilizzato durante la guerra come nave ospedaliera, trasporterà in Italia 16mila profughi, ai quali, prima di partire, erano stati dati 2 etti di chiudi: ché essi potessero chiudere – per sempre – le case di legno, con dentro tutti i loro averi.
Molti cercano di portare con sé le loro cose, ma dovettero lasciarle nella stazione di posta a Trieste, dove oggi conservate nel magazzino 18 del porto vecchio, dall’istituto regionale.