Nel nostro dialetto è un impudente, un senza vergogna. Non ho potuto esimermi dallo sbottare con un fragoroso «facia da tola» leggendo la documentazione dell’ONU relativa alla recente sessione del Consiglio dei diritti umani. Consiglio composto a turno da 53 delle 193 nazioni membre dell’ONU che ogni quadriennio fa le pulci a proposito dei diritti umani ad un certo numero di Stati. L’elenco dei membri, tra i quali figurano nazioni rette in modo pesantemente autocratico e citate per le palesi violazioni dei diritti umani o per il maltrattamento di minoranze, legittima dubbi relativamente ai giudizi. Si rimane perplessi quando si legge che questi Paesi sono chiamati a giudicare la correttezza del comportamento di altri quali ad esempio la Svizzera. Le osservazioni critiche che ci sono state mosse dai singoli Stati giudicanti raggiungono il numero di 317 (!).
Le Isole Marshall vogliono che la Svizzera migliori la protezione degli immigrati dallo sfruttamento, abusi, vessazioni; l’Albania vorrebbe che gli stranieri avessero maggior partecipazione nella vita economica e sociale; il Camerun che ci battessimo maggiormente contro il razzismo e l’Afghanistan (!) che ci dessimo da fare per la riunificazione delle famiglie (specialità dei talebani); la Somalia vorrebbe combattessimo discriminazioni nei confronti di gruppi vulnerabili; il Pakistan che proteggessimo meglio le minoranze religiose; Cuba è preoccupata che le contadine svizzere siano al beneficio delle assicurazioni sociali e il Burundi richiede maggiore presenza femminile nelle istituzioni. Mi limito a poche esilaranti suggestioni, ma la maggior parte dei 317 giudizi sono di questo tipo. A proposito della Svizzera, il Consiglio è preoccupato per l’aumentato rischio di povertà (!) nel nostro Paese suggerendo misure per combattere questo flagello. Che un organo ufficiale dell’ONU costituito da molti Stati nei quali miseria e povertà sono una piaga spesso dovuta a mala amministrazione e avidità di classi dirigenti pretenda di insegnare a un Paese classificato sempre ai primi posti di ogni elenco che parli di tenore di vita, benessere, lascia esterrefatti. Domanda: ma perché gli abitanti di alcuni di questi Paesi rischiano la vita per venire a stabilirsi da noi? Il Consiglio si preoccupa per il tasso di omicidi in Svizzera di giovani lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersex. Comprensibile dato che in alcuni dei Paesi che hanno espresso preoccupazioni queste categorie di giovani non hanno il diritto di esistere. La Russia non è contenta di come i suoi cittadini (miliardari) vengono trattati da noi, si può anche capire, meno comprensibile la critica che esprime a proposito delle nostre carceri in Romandia che giudica troppo affollate (?). Noti i pellegrinaggi per andare a visitare gli esemplari sistemi carcerari russi, unico neo l’alto tasso di mortalità di dissidenti in prigionia. Mi fermo qui per dire che in regime democratico ognuno ha diritto alla critica la più ampia, anche quando la stessa possa parere pretestuosa. Pertanto se uno Stato, magari per esigenze del fronte interno, formula giudizi critici che a noi paiono paradossali è suo buon diritto. Purtroppo spesso informazioni distorte sulla Svizzera vengono suggerite da correnti di pensiero, movimenti operanti da anni da noi ed ai quali torna utile, per le loro campagne, utilizzare critiche di «autorevoli» Paesi, di enti internazionali, ONU compresa. Ciò che mi ha maggiormente sorpreso leggendo gli atti non sono tanto le più o meno ridicole critiche ma la reazione svizzera. Innanzitutto mi domando se nella sessione dedicata a noi la segretaria di Stato signora Livia Leu avesse proprio bisogno di un simile stuolo di collaboratori per costituire la nostra delegazione. Trenta tra ambasciatori e alti funzionari di diversi dipartimenti federali. Se questa è la regola, pur apprezzando lo zelo della nostra burocrazia, sono preoccupato per il conseguente sempre crescente aumento dei costi amministrativi. L’imponenza della delegazione contribuisce oltretutto a dare alla controparte un’importanza che in questo caso non merita. Ma ciò che trovo poco dignitoso da parte della Confederazione è il tono delle nostre risposte che a ben guardare hanno il sapore di «la prossima volta faremo meglio». La gratuità delle critiche e la discutibile autorevolezza di chi le formula, pur comprendendo le esigenze della diplomazia, dovrebbero legittimare un elegante «prendiamo atto, non siamo d’accordo», ma comunque no bad feeling, continueremo ad assistere i Paesi che già aiutiamo. Questo escludendo la deprecata ipotesi che l’eccezionale e ingiustificata considerazione data ai giudizi sia dovuta ad altra ragione. Al timore da parte di politici e funzionari dell’Amministrazione, preoccupati del quieto vivere, nei confronti di movimenti, ONG, Chiese, minoranze molto vocianti e pesantemente critiche che operano in Svizzera. Organizzazioni molto ideologizzate e ben rappresentate anche nel campo della politica, che hanno diritto a battersi per le loro richieste, ma non dovrebbero poter contare su paura e accondiscendenza di frange dell’Amministrazione. Non è cospargendosi (a torto) il capo di sale per apparire buoni a certi occhi che si risolvono i molti veri problemi relativi ai diritti umani.