Da anni si dicono peste e corna a proposito della globalizzazione.
Il modo con il quale è stata attuata, e a tal proposito non può venir dimenticata la responsabilità della politica per l’incapacità di gestire le transizioni nella società, può dar adito a critiche.
Comunque mi spiace per gli avversari della globalizzazione ma la stessa è un fenomeno inevitabile, è lo sviluppo realizzato ai tempi nostri di ciò che in misura più limitata è sempre esistito: il commercio di beni.
La natura si è divertita a distribuire materie prime e minerali indispensabili per la fabbricazione di una miriade di prodotti, che nei secoli sono aumentati in modo esponenziale, in modo bizzarro. Noi svizzeri siamo tra i migliori produttori al mondo di cioccolata ma dobbiamo importare il cacao dall’Africa o dal Sud America. L’importante industria automobilistica germanica, per le batterie delle vetture elettriche necessita di litio, che però si trova in Cile. Dov’è più conveniente produrre? Il Medio Oriente ha ricevuto migliaia di miliardi da noi per il petrolio (che non avevamo) e che sono poi rientrati nel circuito economico sotto forma di petrodollari.

Tito Tettamanti

Con il progresso della tecnologia, mezzi operativi e competenze manageriali, le attività manifatturiere di oggi si articolano in tre parti: RD (ricerca e sviluppo), assemblaggio e commercializzazione. Vale a dire non conviene più fabbricare ogni componente del prodotto finale se è possibile ottenerlo, meglio e a minor costo, da numerosissime aziende della componentistica ubicate altrove.
La logistica per le vie marittime, aeree e terrestri, con milioni di collaboratori, si è sviluppata di conseguenza. Impressionanti gli sviluppi portuali in progetto, specie in Asia, accompagnati da investimenti di miliardi con ulteriori occasioni di lavoro.
I commerci hanno come fine una produzione più efficiente e a costi migliori, ciò che è nell’interesse di tutti. Il fatto che la globalizzazione abbia fatto uscire dalla soglia di povertà assoluta due miliardi di persone (specie in Asia) dovrebbe pure aiutare per il giudizio generale. I recenti punti deboli non indifferenti (v. Covid) relativi all’affidabilità e termini di consegna, e il peggiorato grado di rapporti politici, con impatto sui costi di transazione, non vanno dimenticati e ci dicono che anche la globalizzazione non deve venir esasperata ed ha i suoi punti deboli.
Annulliamo la globalizzazione? Con che impatto per esempio sui 223 miliardi di euro di esportazioni europee verso la Cina e di 472 miliardi di importazioni e con quali conseguenze e per chi?
Le critiche e il rifiuto della globalizzazione sono stati immediatamente percepiti dalla burocrazia e dai politici di mezzo mondo. La risposta rapidissima e il modo – anche se vecchiotto – sempre quello: protezionismo.
È da sempre l’arma preferita dai politici – pur di diverso colore – perché con il maggior intervento statale aumenta il loro potere. Ovviamente ciò porta allo sviluppo dello statalismo, ideale perseguito dalle politiche di sinistra.
Un tipico esempio lo abbiamo nelle reazioni degli USA con il programma Biden che ha stanziato per l’energia verde, le auto elettriche e i semi conduttori un totale di sussidi di 465 miliardi di dollari, condizionati al fatto che le attività siano localizzate negli USA.
Le conseguenze sono certe e già esperimentate: la produzione viene collocata anche in zone inidonee, il prodotto sostanzialmente più caro, talvolta non richiesto dal mercato e i costi li pagano i contribuenti americani. Biden comprensibilmente punta alla rielezione.
L’UE, indispettita e preoccupata, non ha voluto essere di meno con un pacchetto per il rilancio economico che si aggira sugli 850 miliardi di euro.
Biden, insoddisfatto a giusta ragione per lo stato delle infrastrutture statunitensi – strade, ponti e ferrovie – ha varato un altro piano, questo di 1.200 miliardi di dollari. Ovvio che tutte queste mirabolanti somme sono finanziate con l’aumento del debito statale, in coerenza con una società, la nostra, che vive di debiti.
Uno dei maggiori errori concettuali di Marx è stato quello di pensare che il valore di un prodotto non sia altro che la somma di tutti i costi per la produzione, mentre per contro viene determinato dalla contropartita che si può ricevere negli scambi sul mercato, vale a dire dalla domanda.
I sussidi di qualsiasi natura falsano questi rapporti. Perché un cittadino germanico deve finanziare con 9.000 euro la Volkswagen per ogni macchina elettrica che vende? Ciò gonfia artificialmente la domanda, che in genere crolla al termine del periodo del sussidio. La stessa Volkswagen, che vale in borsa 76 miliardi di euro, fattura 276 miliardi con un utile di oltre 16 miliardi, necessita (e così pure per altre ditte) del sussidio per sviluppare un suo mercato?
Vero, la globalizzazione non è esente da critiche ma sostituirla, come sta avvenendo, con il protezionismo, comporta due pesanti conseguenze: falsa il mercato compromettendo la concorrenza, sviluppa politicamente ulteriormente lo sso dell’A con relativa tecnocrazia burocratica limitando sempre più le nostre libertà di cittadini.

con il consenso dell’Autore e del CdT