Uno dei più grandi misteri del coronavirus proveniente dalla Cina è tuttora quello di come abbia fatto a passare da un ospite animale all’uomo.

Un mistero a cui probabilmente può rispondere solo il governo cinese, che per anni è sembrato intenzionato non a scoprire il vero inizio, ma a dimostrare, lanciando congetture, che il virus che ha ucciso milioni di persone in tutto il mondo ha avuto origine all’estero.

Mentre alcuni ricercatori favoriscono la teoria secondo la quale la pandemia da Covid è iniziata da un laboratorio di virologia, altri, dopo aver analizzato i dati appena ottenuti dalla Cina, stanno valutando sempre più l’ipotesi che la chiave dell’origine sta nel salto di specie (spillover) animale.

Il salto di specie è un processo naturale per cui un patogeno degli animali evolve e diventa in grado di infettare, riprodursi e trasmettersi all’interno della specie umana. Avviene in genere a seguito di un contatto prolungato tra l’uomo e l’animale portatore del patogeno originale, un microrganismo biologico responsabile dell’insorgenza di malattia nell’organismo ospite. Stesso discorso per le tossine prodotte da un organismo animale.

Gli alimenti che li contengono, per questo motivo rappresentano un rischio per la salute umana.

Nel caso delle malattie zoonosi, cioè quelle malattie causate da agenti trasmessi per via diretta o indiretta dagli animali all’uomo, come virus, batteri, parassiti, miceti e altre entità biologiche, si tratta sempre di un cambiamento nei loro geni. Mutandosi possono acquisire nuove capacità, tra cui produrre nuove versioni delle proteine del capside (struttura proteica che racchiude l’acido nucleico) in grado di riconoscere cellule umane, penetrare in esse e replicarsi. Proprio il caso del coronavirus.

I nuovi dati non riescono a dimostrare come, dove e quando le persone sono state infettate per la prima volta dal coronavirus, ma rafforzano la teoria dello spillover naturale.

Le nuove prove arrivano tramite tamponi prelevati nelle bancherelle di animali al mercato di frutti di mare di Huanan a Wuhan, in Cina. I virologi li hanno raccolti all’inizio del 2020 dopo che il mercato era stato chiuso e tutti gli animali rimossi. Uno di questi tamponi conteneva una miscela di materiale genetico che includeva una grande quantità di DNA di cani procione cinese venduti illegalmente (da non confondere con la specie dei procioni comuni), insieme a tracce del coronavirus.

Dunque un’origine zoonotica. Un mercato umido, dove animali di molte specie diverse sono tenuti a stretto contatto con gli esseri umani, è l’ambiente perfetto per far passare nuovi virus dagli animali all’uomo. Tra gli ammalati ci sono stati quasi tutti i venditori di quel mercato.

Questo è uno dei punti principali di diversi resoconti pubblicati pochi giorni fa con il consenso del governo cinese. Un motivo per cui sembra sempre più improbabile che si troverà una risposta su cui tutti possono concordare. Il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha rinnovato alla Cina il suo appello affinché condivida tutti i dati scientifici sull’origine della pandemia. “Continueremo a chiedere alla Cina di essere trasparente nella condivisione dei dati e di condurre le indagini necessarie condividendone i risultati”, ha affermato Tedros, aggiungendo che “Capire come è iniziata la pandemia rimane un imperativo sia morale che scientifico”.

Anche altri animali probabilmente venduti sul mercato possono essere infettati dalla SARS-CoV-2 (sindrome respiratoria acuta grave), il virus che causa il covid-19. Ma le nuove prove mettono il cane procione asiatico in cima alla lista degli animali che hanno dato inizio alla pandemia.

Gli scienziati hanno impiegato 14 anni per rintracciare le origini dell’epidemia di SARS del 2003 in una remota grotta di pipistrelli nella provincia cinese dello Yunnan.