A photo taken on November 1, 2011 shows the logo of the Swiss banking giant Credit Suisse in Zurich. Credit Suisse said on November 1 that third-quarter net profit rose 12 percent from a year ago to 683 million francs (562 million euros, 776 million US dollars), but said it would cut staff by three percent. AFP PHOTO / FABRICE COFFRINI (Photo credit should read FABRICE COFFRINI/AFP/Getty Images)

In poco più di una settimana, siamo passati dal crollo della Silicon Valley Bank alla scomparsa del Credit Suisse, un gigante svenduto in modo forzato dopo 166 anni di attività.

Il salvataggio del Credit Suisse da parte della sua rivale UBS non cancella i timori per il rischio di onde d’urto che potrebbero danneggiare i mercati del credito e piccole banche, e gli investitori stanno valutando gli sforzi per calmare le turbolenze.

Secondo alcuni analisti, quest’ultima crisi bancaria potrebbe sembrare un arco temporaneo che si è concluso, ma potremmo in realtà essere molto più vicini all’inizio del tumulto che alla sua fine.

L’ultima volta che il mondo bancario ha tremato, la crisi si è trascinata avanti per diversi anni. Il primo sentore di difficoltà nel mercato dei mutui statunitensi è stato avvertito nel 2005. Anche nel 2008, al culmine della crisi, sono trascorsi sei mesi tra il crollo di Bear Stearns e quello di Lehman Brothers. 

Secondo alcuni analisti ci sono poche ragioni per pensare che la situazione potrebbe replicarsi.

Il fallito piano di salvataggio del Credit Suisse mostra come le cose possono andare a rotoli. Credit Suisse è stata fonte di scandali per anni, ma le sue riserve di capitale erano solide e i suoi coefficienti tecnici andavano bene. 

Gli analisti si sono concentrati troppo su questi parametri e non abbastanza su una debolezza molto più evidente: la pessima reputazione degli ultimi anni del Credit Suisse. Qualsiasi banca che si metta dalla parte sbagliata dei suoi clienti può essere suscettibile ad una corsa al ritiro dei risparmi. Particolarmente nell’epoca dei social media, quando la paura può diffondersi come un virus.

Le voci sui problemi sempre più gravi del Credit Suisse sono emerse a ottobre, quando i clienti hanno prelevato decine di miliardi di dollari dai loro conti. Le preoccupazioni sono aumentate all’inizio della scorsa settimana, quando Credit Suisse ha pubblicato un rapporto annuale che avvertiva di una sostanziale debolezza nei suoi sistemi di rendicontazione finanziaria. 

La banca centrale svizzera ha offerto a Credit Suisse un backstop da 54 miliardi di dollari. Eppure alcuni clienti, come ad esempio BNP Paribas, non erano ancora disposti a lavorare con l’istituto elvetico per accettare riassegnazioni di swap (derivati) che coinvolgono Crediti Suisse.

Dunque una vendita ad hoc organizzata frettolosamente, non avendo altre opzioni, ad un basso valore: 3 miliardi di dollari. Una piccola parte del suo valore di una settimana fa.

Si parla già di battaglia legale, in quanto ci sarà sicuramente chi si opporrà a questa fusione, soprattutto quelli che sono stati spazzati via dalla cancellazione dei debiti pari a 17 miliardi di dollari.

Con l’acquisizione, UBS diventerà una delle banche più grandi d’Europa, anche se deve farsi carico del pesante fardello di tutti i problemi di un istituto le cui azioni erano in caduta libera e che ha sfiorato il fallimento. La stampa di oggi ha parlato ha più riprese di un nuovo istituto “mostro” il cui bilancio sarà grande quasi due volte quello dell’intero paese. UBS infatti si ritroverà a gestire patrimoni per 5000 miliardi di dollari, una cifra difficile persino da immaginare.

Credit Suisse intanto ha promesso in queste ore salari e bonus pagati regolarmente ai propri dipendenti il prossimo 24 marzo, ma i possibili ingenti tagli al personale rappresentano ancora un rischio concreto. È ancora tuttavia troppo presto per fare previsioni in questo senso.