2022

Giovanni Gasparro ha suscitato l’interesse di svariati intenditori d’arte del Ticino, quando lo scorso 9 gennaio è stata svelata una sua opera nella chiesa di Barbengo.  Non ha ancora quarant’anni ma è già un affermato pittore vincitore di importanti premi e il pregio delle sue creazioni è evidente. E’ stato protagonista di oltre dieci esposizioni personali in tutto il mondo. Vanta importanti committenti, dalla chiesa alla Costa Fascinosa, la più grande nave da crociera d’Europa. La sua arte è apprezzata dai più importanti intenditori e critici, come Vittorio Sgarbi. In questa diabolica intervista parleremo con lui della questione dell’arte e del denaro.

Genio caravaggesco: l’artista Gasparro

Ma prima di cominciare contestualizziamolo: a rendere straordinario l’operato prezioso di Gasparro è la capacità di rendere i temi sacri fruibili ad un pubblico contemporaneo e spesso materialista, abituato – e saturato- da una società che esige sensualità, forza, vigore e crudo realismo. Col pennello, infatti, egli abbatte la distanza che vi è tra il mondo materiale e quello spirituale. Le sue madonne, così reali, carnose e vive, nel loro caravaggesco mostrarsi sulla tela invitano l’osservatore ad avvicinare il dito al dipinto, per toccarne il calore della pelle o l’umido delle lacrime. Attenzione però: la sensualità della sua arte sacra non è mai blasfema o volgare. Citando il filosofo Walter Benjamin, è proprio l’aura così carnale e irriproducibile tecnicamente di questi soggetti trascendentali a meravigliare tanto l’osservatore.  La contemplazione di queste opere è un atto d’elevazione verso al divino. Un Cristo stretto nella pressa che par emanare odor di sangue, stille di sudore e persino un filo di bava dipinto con regale maestria sono quei tremendi e realistici dettagli che eleggono il suo operato a ponte tra il mondo di Dio e il nostro, fatto carne che deperisce, umori che colano e pelle che s’avvizzisce. Gasparro, uomo giovane e bello che ama presentarsi vestito in modo impeccabile, mediante la sua precisione realista par compiere il miracolo della transustanziazione, come nel sacramento eucaristico in cui – per chi ha il dono della fede- nel pane e nel vino vi è la presenza reale del Cristo, in forma di sangue e carne.

Gentile e stimato Giovanni Gasparro, per parlare della sua arte sacra…cominciamo subito con un argomento in bilico tra il divino e il mefistofelico: il denaro. Quanto costano le sue opere? Pensa che in futuro esse potranno aumentare di valore e che i committenti facciano bene ad investire su di lei?

Francamente non saprei. Non mi sono mai posto la questione sul piano economico. Cedo le mie opere ed ho assistito ad una crescita esponenziale del mio coefficiente di vendita che le ha fatte diventare, con ogni probabilità, proibitive per molti collezionisti. Non so che tipo di meccanismi commerciali si innescheranno in futuro. Fatico a prevedere finanche quelli contingenti. Certamente riuscire a vendere sin dagli anni di studio è stato un fattore determinante perché mi ha permesso di reinvestire nell’acquisto dei migliori materiali, puntando sempre anche alla qualità tecnica delle mie opere, per preservarle nel tempo. In questo cerco di essere lungimirante. Allo stesso modo non faccio mercimonio. Sono noto per aver negato la cessione di alcune opere a cui sono particolarmente legato sul piano artistico o devozionale. Temo di essere un pessimo mercante e promotore della mia opera pittorica.

Chi sono stati i committenti più importanti dei suoi capolavori?

Le commissioni più prestigiose mi sono giunte dalla Chiesa Cattolica, soprattutto da Diocesi italiane ed estere (Svizzera, Malta, Grecia, Stati Uniti), ma ho moltissimi committenti fra i privati sia per le opere d’arte sacra che a soggetto profano o ritrattistica. Quindi ho ceduto molte mie opere o ne ho realizzate su commissione per importanti collezionisti privati europei, soprattutto d’Inghilterra, Belgio, Francia, Austria, Spagna e Malta ma anche di musei, navi da crociera, nobili e personaggi del mondo dello spettacolo, imprenditori e magnati del settore petrolifero. Di recente ho ritratto il Re di Spagna Felipe VI per la Reale Pontificia Basilica di san Giacomo degli Spagnoli a Napoli. C’è persino chi ha destinato il proprio stipendio da professore o piccolo artigiano, dilazionando il pagamento in più rate, pur di acquisire un mio dipinto. Ho trovato questo molto commovente. Una vera attestazione di stima perché si sono privati finanche dell’essenziale pur di possedere una mia opera.

L’artista del Sacro

Dipingere per passione, vocazione o per denaro…ci spieghi cosa significhi per lei rendere il suo dono per il disegno e la pittura una merce acquistabile. Le è mai capitato di dover rifiutare delle commissioni perché eticamente contrarie alla sua sensibilità etica o spirituale?

Vivo il mio attaccamento alle opere dipinte con particolare trasporto. Me ne separo malvolentieri anche quando sono opere commissionate e, come tali, destinate sin dall’inizio ad essere cedute. L’atto della vendita, quindi, non mi ripaga mai pienamente. D’altro canto, fatico a concepire il mio come un lavoro e mi risulta paradossale che debba essere pagato per qualcosa che farei a prescindere. Ricevendo centinaia di richieste per nuove commissioni, mi sono imposto sin da subito di accettare solo quelle che sono congeniali alla mia poetica artistica e spirituale. Le proposte che ho ricevuto sono fra le più disparate, talvolta davvero surreali, al limite del tollerabile. Tanto è vero che ho declinato diverse commissioni, persino per una pala d’altare in una delle chiese più importanti di Roma, perché non ne condividevo la proposta sul piano iconografico. Mi si chiedeva di effigiare un personaggio controverso con il chiaro intento di “canonizzarlo” agli occhi dei fedeli, senza che costui fosse riconosciuto, come santo, dalla Chiesa. Credo ci sia un grosso problema con la committenza ecclesiale e laica. Ma sono stato anche molto fortunato incontrando menati e committenti ben più saggi e ortodossi. 

Cosa pensa dell’attuale mercato dell’arte ? è difficile oggigiorno per un artista sopravvivere del proprio talento? Chi riesce ad emerge e perché?

Difficile tracciare un bilancio in modo assoluto. I fattori che concorrono a determinare la fortuna critica e commerciale di un artista sono tanti e tali che si può ragionare per sommi capi. Certo è che il sistema dell’arte contemporanea sia profondamente viziato da forme di speculazione e connivenze con il mercato, il sistema critico e museale, giornalistico, spesso interessati per ragioni poco nobili, di natura economica, ideologica o politica, a promuovere un artista piuttosto che un altro. In Italia, ad esempio, c’è un fortissimo pregiudizio critico verso la figurazione contemporanea, perché ancora legati a forme manierate d’arte performativa, aniconica, concettuale che si ripropone in modo stanco dal dopoguerra, soprattutto dagli anni ’60. Una forma di provincialismo legata al complesso di inferiorità verso le mode statunitensi del secondo ‘900. All’estero ho avuto molta più facilità a proporre la mia opera, senza pregiudizi di sorta. Un paradosso visto che vivo ed opero nel Paese che dovrebbe essere la culla delle arti figurative e del Cattolicesimo. Oltretutto non sono iscritto a club esclusivi, non ho tessere di partito, non sono ricattabile. Ho visto sin troppe belle menti svendere la propria dignità per beneficiare di favori politici e ideologici. In generale è difficile vivere di pittura, soprattutto se figurativa e sacra. Io posso considerarmi una felice eccezione. Sono in pochi a resistere perché la committenza è limitata, le gallerie sono poco avvezze alla promozione di questo genere di arte. Per me è stato più facile esporre nei musei d’arte antica, anche a confronto con titani del passato, da Pinturicchio a Mattia Preti, da Guido Reni a Bernardo Strozzi, fino ad Angelo Morbelli e Felice Casorati, piuttosto che approdare in gallerie d’arte contemporanea. Ho seguito il percorso inverso. In Italia, il primo gallerista a proporre la mia opera è stato Fabrizio Russo a Roma. Ero appena uscito dall’Accademia di Belle Arti della Capitale e si può dire che mi abbia dato grande fiducia quando ero un perfetto sconosciuto. Ora posso esporre negli stessi mesi al MART di Rovereto e alla Stadtgalerie di Kiel in Germania, templi dell’arte contemporanea, e inaugurare un dipinto in una chiesa di Siena o di Trani. Ho molti santi in Paradiso e non in senso metaforico.   

Quanti quadri produce all’anno e quanto tempo impiega per realizzarne uno?

La mia tecnica non è seriale e le mie opere, anche a livello meramente tecnico, richiedono tempi ideativi e realizzativi lunghi. Pertanto, dipingo in media circa quindici dipinti all’anno, di varie dimensioni, dai piccoli formati a quelli monumentali. Un numero tutto sommato abbastanza alto

Lei ha comprato o possiede opere d’arte di altri artisti? Chi sono i suoi pittori di riferimento e preferiti?

Ho una mia piccola collezione che cresce nel tempo. Non sufficientemente grande da poter essere considerata degna di nota. Per ovvie ragioni non ho opere degli artisti che desidererei possedere. Mi accontento di acquistare in modo bulimico monografie d’arte. Di recente, ho trovato sul mercato antiquario una terracotta di Pietro Canonica ed un bronzo di Vincenzo Gemito. Ho troppi pittori e scultori, di ogni epoca e nazionalità, come fonte d’ispirazione, anche quelli meno evidenti pensando alla mia pittura. Non riesco a fare pochi nomi. Tra quelli che ho più ho amato nel tempo citerei certamente, oltre Michelangelo e Caravaggio che tutti si affrettano a identificare come i miei riferimenti immediati, Carlo Crivelli, Veronese e Tiziano, Rubens e Van Dyck, Rembrandt e Frans Hals, Ribera e Velazquez , Tiepolo e Francesco Solimena, fino a Domenico Morelli, Fausto Pirandello e l’amatissimo Antonio Mancini, un genio pressoché trascurato dalla critica italiana.

Attualmente vanno di moda le NFT, ossia le Not Fruible Thing, opere d’arte digitali, certificate mediante blockchain. Queste creazioni inconsistenti possono venir quotate anche decine di migliaia di dollari. Lei cosa ne pensa? Rischia di essere una bolla che a breve esploderà?

Nelle scorse settimane ho ricevuto un’importante proposta in tal senso. Francamente non ho ancora ben inteso cosa sia tutto ciò perché sono totalmente incapace ad approcciarmi alla tecnologia. Non riesco a comprenderlo e la qual cosa mi allontana con diffidenza. Vedremo in futuro cosa succederà. Per me le opere sono materiali. Il digitale va benissimo solo per la divulgazione e la conoscenza. La fisicità dell’originale è irrinunciabile. Di questo resterò sempre graniticamente certo.

Denaro…un vizio o una virtù. Lei cosa ne pensa di questa società perlopiù atea fondata su un edonistico capitalismo che inevitabilmente porta ad alcuni accessi e vizi morali?

Non ho una visione manichea o giansenista in tal senso. Il denaro non è il male assoluto come una certa narrativa pauperistica, falsamente cattolica, va propagandando negli ultimi cinquant’anni, sin dalle più alte gerarchie apostate. Come tutte le cose mondane, il denaro può e deve essere usato per fini nobili. Persino la ricchezza personale non è condannabile nella misura in cui la si vive con debito distacco, certamente complicato sul piano pratico, ma non impossibile. La ricchezza non è mai intrinsecamente negativa. Grandi santi sono stati sfacciatamente ricchi, di origini nobiliari o persino regali e ciò non ostante hanno raggiunto le vette della perfezione. Si pensi a san Luigi IX di Francia, a santa Elisabetta d’Ungheria o san Carlo Borromeo. La società attuale, soprattutto nel mondo di luci effimere delle arti, rischia di condurre più facilmente verso vizi ed eccessi. Quando manca la grazia della Fede è più facile essere abbagliati. Personalmente, mi capita di conversare o pranzare con persone modestissime o ricchissime. Bisogna saper mantenere la barra dritta in entrambi i casi e la Fede mi ha aiutato ad avere un equilibrio. Nel settore delle arti c’è anche una grande disinibizione verso la corporeità e i vizi carnali. Anche per questo mi tengo sempre a debita distanza, nel mio eremo pugliese.     

Lei fa pittura sacra, quindi parliamo di vizi capitali, pensando agli scritti di Evagrio Pontico, monaco cristiano che ha teorizzati gli 8 veleni dell’anima che affliggono lo spirito umano, poi divenuti 7. (Superbia, gola avarizia, ira, lussuria, accidia e invidia). Come reputa il peccato di superbia tra gli artisti del giorno d’oggi? Secondo lei molti suoi colleghi ne sono afflitti?

Temo di sì. In certi casi, essendo adulati continuamente, accolti con ogni onore e grandi ovazioni mediatiche, è facile cadere in forme più o meno manifeste di delirio d’onnipotenza. Credo che la superbia sia il vizio del nostro secolo, per certi versi anche più della lussuria. Spesso mi sorprende come le opere tradiscano i vizi dell’artefice.

Lussuria: parliamo adesso della carne. Nelle sue opere sono spesso presenti, dipinte con pennellate veloci, quasi a dare quel senso di dinamicità del maestro Boldini, molte figure di mani che si ripetono e compongono/scompongono la figura. Perché le mani? Cosa rappresenta per lei il gesto del toccare, del prendere e del ghermire?

In molte mie opere, comprese quelle di soggetto religioso, le mani sono ripetute più volte, rimandando idealmente ad antiche iconografie sacre del XV secolo, soprattutto le celebri Arma Christi di area fiorentina o fiamminga, la Pietà di Lorenzo Monaco e quella del Maestro della Madonna Strauss, entrambe nelle collezioni delle Gallerie dell’Accademia di Firenze, Il Cristo in Pietà nel trittico di Domenico di Michelino al Musée des Beaux-Arts di Chambéry, le opere di Lorenzo Lotto, Bicci di Lorenzo, Niccolò di Pietro Gerini, Pietro e Ottaviano Nelli o il più celebre Cristo deriso fra san Domenico e la Santa Vergine in meditazione nel convento di san Marco a Firenze, opera ad affresco del Beato Angelico. Proprio questi dipinti del beato domenicano legittimano la mia particolarità nell’arte sacra. Il riferimento alle visioni estetiche avanguardiste del Futurismo e del Cubismo, che in tanti hanno evidenziato, non corrisponde ad un mio proposito ideale. A contrario, nella pittura di Balla, Severini e Boccioni, insieme all’esaltazione meccanica del movimento fisico, è sottesa l’ideologia modernista di rinnegamento e disprezzo della tradizione, tanto quanto nella scomposizione stilizzata di Braque e Picasso è presente, in nuce, il concetto di multiformità della visone e quindi quello di relativismo. Il carattere rivoluzionario del Futurismo, a scapito della tradizione, del museo, dall’accademia, è così evidente che fu lodato trasversalmente dai belligeranti fascisti mussoliniani come dal comunista ateo Gramsci che ne lodava il fervore distruttivo e dissacratorio.  In ultima istanza, Futurismo e Cubismo possono essere ascritte nell’alveo del pensiero di Rivoluzione, la mia pittura e le mie molte mani in quello di Controrivoluzione.

Angelo, etimologicamente, è colui che porta un messaggio, e Vangelo significa appunto “ portare una lieta notizia”. Con la sua arte lei desidera farsi portatore di un messaggio? Se si, quale? Cosa auspica al mondo e quali sono le sue speranze per il futuro dell’umanità?

Per il mondo auspico la conversione. Viviamo tempi terrificanti. Per la mia pittura che possa essere anch’essa portatrice del messaggio divino, quindi evangelizzatrice. In questo recupererebbe il suo intento primigenio, come  nel glorioso Medioevo e mi sentirei meno debitore verso Dio. Con la Biblia pauperum, gli affreschi, i portali istoriati e le vetrate che trasmettevano le narrazioni evangeliche ai fedeli incolti, senza apparati didascalici, l’arte era comprensibile ed assolveva, in chiesa, alla sua funzione catechetica.

Il decadimento estetico contemporaneo è connaturato con il decadimento morale ed il rinnegamento di Dio, perpetrato in forme embrionali sin dal XVI secolo, ed evolvendo nel pensiero degli umanisti rinascimentali, di Pico della Mirandola e Marsilio Ficino,  di Lutero e Calvino, Diderot e Voltaire, Kant ed Hegel, Marx e Freud, sino a Heidegger e le forme più abominevoli e triviali della nostra età.

Non potendo far leva sulla bellezza per coinvolgere emotivamente i fruitori delle opere, il sistema dell’arte contemporanea ripiega su vacui intellettualismi salottieri con il plauso compiaciuto di un sistema critico e mercantile sempre più corazzato. In questo senso l’arte contemporanea rispecchia la nostra società così volta all’effimero, alle apparenze autoreferenziali che nascondono un vuoto profondissimo. Spero di farmi vessillifero di ben altri significati e messaggi.   

Intervista di Liliane Tami