l’avvento della primavera, di ogni primavera che fa uscire dal grembo della terra i germogli delle piante, mmi da elementi per interpretare quell’imbarazzante enigma che è la morte e confuta l’incubo angoscioso che è per me il sonno eterno. La rondine che d’inverno appare intirizzita e che in marzo vediamo rianimarsi, il morto bruco che, rinato, torna a levarsi nell’aria come farfalla, ci offrono una pertinente allegoria della nostra immortalità.

– Schiller

 

canova

Nel monumento funebre a Maria Cristina d’Austria, Antonio Canova rappresenta quell’oscura entrata che le anime debbono percorrere, propria della concezione Omerica e Virgiliana. Riecheggia così l’addio Foscoliano al caro che più non torna, che il poeta riprende, a sua volta, da Catullo. Tuttavia il sepolcro, portando nell’iscrizione il nome del committente ancora vivo, vuole sottolineare come la morte possa togliere tutto tranne che il ricordo. Come per Foscolo nella poesia, così per Canova nella scultura, trionfa il valore dei sentimenti che legano gli uomini, ai quali la morte non può porre fine.

friedric

Il Cimitero Invernale di Caspar Friedrich rappresenta invece l’oblio che inghiotte tutto ciò che prima è stato; come per Seneca, che nel coro delle Troiane esprime la sua concezione secondo cui l’Ade non sia che il posto dei mai nati, qui traspare l’angoscia per l’ineluttabile fine che, dopo la vita, tutto scioglie nella nebbia. Vista da chi rimane, la morte appare come la crudele realtà che ha strappato alla vita il proprio caro. Così Lamartine piange, nella poesia L’Isollement, la sua amata Julie Charles, Carducci medita compostamente su come la natura rifiorisca a primavera, mentre il figlioletto Dante, morto l’anno prima resti invece, per sempre, sottoterra; Ungaretti, anch’egli toccato dalla dolorosa e straziante perdita per il suo bambino Antonietto spera di rivederne l’immagine quando, anche per lui, giungerà la sua ora. Da sempre la luce è correlata alla vita, così come la morte all’ombra.

E se Catullo incita ad amare in quel breve giorno che è la vita umana, così Orazio esorta a vivere senza curarsi del dopo, poiché il destino comune a tutti gli uomini è quello di giacere nel buio, sulle sponde dell’Ade. Così nel vibrante ermetismo di Quasimodo emerge la stessa concezione, dell’esistenza come breve e fugace raggio di sole, e la morte come sera che cala lesta. La morte oltre ad accomunare eguaglia, come scrive Gozzano, vanificando ogni sogno ed ogni ambizione. Secondo la teoria di Helmholtz e Clausius anche l’Universo, un giorno, raggiunto il grado di massima entropia, cioè di massimo disordine, potrebbe morire.

millais

Ma la morte può anche avere ruolo catartico, come accade per le sventurate eroine di Manzoni e di Verga che, come l’ Ofelia dipinta da Millais, attendono la morte come una liberazione. E se per Leopardi questa fine è addirittura invocata, per Foscolo è una quiete, che leva gli affanni terreni, come per il Werther di Goethe che, attraverso la morte, ottiene la libertà e, per Carducci, pur essendo un angoscioso termine, è anche riposo. Grazie ad essa molti eroi hanno posto termine alla propria vita con gloria, come Cleopatra cantata da Orazio, la quale, al contrario dell’Edipo di Sofocle, che pur avrebbe voluto porre fine alla sua esistenza, muore dignitosamente.

Molto spesso la morte è il prezzo da pagare per perseguire ideali più alti della vita stessa, come accade per Antigone, e come accadrà, seppur in chiave differente, ai patrioti risorgimentali. Così il giovane Pisacane muore nell’impresa di Sarpi, e Mercantini ne canta il sacrificio, immortalandolo nella poesia La Spigolatrice.

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Ma la fede dona speranza, la speranza dell’immortalità dell’anima, sia che si segua il pensiero ortodosso cristiano scritto da San Paolo, sia che si legga il ragionamento romantico secondo l’analogia del rifiorire della natura del filosofo Schiller, sia che, come propugna il Manzoni, si speri in un riscatto, dopo questa vita, nell’Eterno. E se Pascoli, vivendo alla fine del secolo XIX percepisce l’angosciosa incertezza di questa speranza, va ricordato che Michelangelo, scolpita la Pietà Vaticana, in risposta all’osservazione sull’apparente eccessiva giovinezza della Vergine, citò il Canto XXXIII del Paradiso, secondo cui chiamando Maria Figlia del tuo Figlio, si sancisce l’atemporalità del Sacro, ovvero l’eternità di quel sereno Altrove. Niente infatti meglio dell’Arte può rappresentare l’eternità in questo mondo, poiché essa, pur non essendo eterna, è una forma di eternità. Così Petrarca fa succedere al trionfo del Tempo quello dell’Eternità e così Ovidio e Orazio celebrano l’immortalità della loro poesia, che infatti è giunta fino a noi, sopravvivendo al susseguirsi delle epoche, sostenendo, a buon diritto, che sul Tempo trionfi l’Eternità.

Chantal Fantuzzi