Agata Boetti e Fosco Valentini

2017

Sono partiti “in banda” verso la mitica Biennale di Venezia – Arminio e Paolo Sciolli, Andrea del Guercio e Fosco Valentini – … e fortunatamente sono tornati sani e salvi. La Biennale è immensa e nessuno la può visitare in pochi giorni; ma i nostri eroi puntavano a una mostra particolare, di grande prestigio, allestita sull’isola di San Giorgio Maggiore: la minimum Maximum di Alighiero Boetti. Della grande mostra e della vita, dei sodali e dell’arte del Maestro si parla in questa intervista: Fosco Valentini l’ha conoscuto bene e molto da vicino!

Un’intervista di Francesco De Maria.

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Francesco De Maria  Fosco Valentini lei che è stato alla inaugurazione di Venezia, minimum Maximum di Alighiero Boetti, quali sono a suo avviso le opere più significative e perché?

Fosco Valentini  Le opere di Boetti sono un corpo unico,  dal minimum al maximum. In questa mostra il clou sfavillante e dionisiaco è quello  ideato da Agata Boetti e Hans Ulrich Obrist, che ritengo essere il più vedente di tutti gli amici che si incontravano nello studio Boetti. Lì si insegnava a essere  consapevoli dei limiti delle parole, per guidarci più in alto o più in basso, anche verso la sapiente ignoranza che onora Dio o l’Arte più con il silenzio che con le parole e sa vedere più chiaramente chiudendo gli occhi che aprendoli alle immagini. La vita in fotocopia. Come esempio pratico, a Venezia,  i presenti potevano ricevere la sferzata della luce della macchina sul viso, come faceva Alighiero Boetti, mettendo il volto sul vetro della fotocopiatrice  aspettando l’uscita della fotocopia. Solo il genio di Obrist poteva pensare di rinnovare questa visione.

Che cos’ha Boetti di unico secondo lei nell’ambito degli artisti della sua epoca?

FV  Ci ha insegnato che fare arte significa anche  incarnare  il proprio tempo. Ad esempio incarnare il presente e il futuro, il mostrare e il nascondere, il segreto e la pubblicità. Tra questi poli oscillano le società nello sviluppo storico, le civiltà e le Arti hanno origine dalla rivelazione di un segreto e si espandono con la progressiva pubblicizzazione dei loro segreti. E questo è quello che m nteressa raccontare oggi con le mie opere.

Il grande Obrist, tra Arminio e Fosco

Chiediamo ancora a Fosco Valentini che lo ha vissuto,  cosa era lo studio Boetti. Ci descriva la Roma di quegli anni.

FV  Il nucleo centrale dello studio Boetti  era composto  sempre da Artisti e intellettuali. In quegli anni ci sembrava, ed era, la via d’uscita che ci portava fuori dall’Università, fuori dall’Accademia di Belle Arti. Essere nello studio di Alighiero e Boetti per noi più giovani era come riscoprire l’ Accademia delle origini, l’ Accademia di Platone o quella di Ficino a Firenze, divino furore, ebbrezza dionisiaca. Si sperimentava il segreto dell’Arte,  “non dire mai cazzate ” era il motto di spirito.  Nello studio, con Anne Marie Boetti, passavano tantissimi amici, artisti e intellettuali: Francesco e Alba Clemente, Marco Tirelli, Luigi Ontani , Mario Schifano, Bruno Corà, Sol Lewitt, Fabio Mauri, Peppino Agrati, Mario Pieroni, Francesco Serrao, Gabriella Curiel, Mario e Marisa Merz, Gian Enzo Sperone, Franco Angeli, Mario Diacono, Giampaolo Prearo, Aldo Mondino, Lisa Ponti, Ettore Sottsass, Alessandro Mendini, Francesco Moschini, Valentino Parlato che abitava accanto. Alcune volte il grande tavolo su cui si lavorava, che era un tavolo da ping pong, veniva liberato e tornava ad essere il tavolo da ping pong per un torneo. Artisti contro critici, curatori contro storici dell’arte, giovani artisti assistenti contro maestri, artisti minimalisti contro  performer, artisti contro galleristi… Nei tornei giocavano  Gino De Dominicis, Emilio Prini, Eliseo Mattiacci, Maurizio Mochetti, Achille Bonito Oliva, Fabio Sargentini, Sergio Lombardo, Gianni Kounellis, Tano Festa e tantissimi altri,  praticamente il giro dell’arte contemporanea romano di quegli anni. Si trattava in definitiva di un centinaio di persone. Oggigiorno per fare tornei di questo tipo ci vorrebbe uno stadio.

Udo Guempel, giornalista, Fosco Valentini, Jane Costello direttrice del British Council Italia, Arminio e Paolo Sciolli

Come si lavorava  con Boetti?

FV  In emergenza, con la consapevolezza che solo un miracolo ci può salvare, la vita e il lavoro erano l’Emergenza. Nello studio eravamo un corpo unico, si insegnava che l’unica cosa che abbia un valore nel mondo é l’anima attiva.

Come si sono evoluti nel tempo i suoi interessi e il suo stile?

FV  Gli interessi e gli stili si sono evoluti come in tutti noi che crediamo veramente all’Arte “nel calore interno”. In Tibet l’istituzione preposta al rilascio dei diplomi di laurea si chiama “il collegio del rituale magico” offre corsi di studio in chiaroveggenza, telepatia (e pensate agli studenti di Fisica ), calore interno. Uno yoga che permette di ottenere il controllo sovrannaturale sulla temperatura corporea. L’esame è indossare di notte una pila di magliette ghiacciate ed asciugarle con l’ emanazione del calore interno. Per quello che mi riguarda, a Lugano si è rinnovata una profezia : “fui creduto quello che non ero non essendo quello che ero  per molti altri”.

(a babordo) Prof. Andrea Del Guercio Direttore Sezione Pittura Accademia di Belle Arti di Brera, Maestro Fosco Valentini, Fratelli Arminio e Paolo Sciolli, sullo sfondo la Chiesa di San Giorgio Maggiore, capolavoro del Palladio”

Per concludere, oltrepassando Boetti, quali a suo avviso i massimi punti d’interesse di questa Biennale 2017 ?

FV  La biennale é un mistero che si svela con il tempo; ci sono sempre dei picchi e delle cadute che il tempo ci rivelerà come veritieri o no. Sentiremo parlare del Padiglione della Germania che ha vinto il premio dei padiglioni, del Padiglione Cinese, di quello Italiano, di quello Svizzero. Il mondo dell’arte si sta velocemente globalizzando, le mie simpatie vanno all’attenzione che alcune aree di questa Biennale riservano al senso di una nuova magia, contro il consumismo autofago a cui l’occidente ci aveva abituato.

Esclusiva di Ticinolive