A che punto è l’”educazione al gender” nelle scuole di ogni ordine e grado, in Italia? Per educazione al gender si intende spingere sulla prevalenza dell’ “identità di genere” rispetto al sesso biologico, ovvero l’ideologia per la quale un bambino coi genitali maschili possa essere portato a sostenere di essere una bambina.

Ovviamente, ci sono stati e ci sono casi delicati per cui una persona si ritenga di sesso diverso a quello in cui è nato, ma non sono la maggioranza. Secondo alcune associazioni per l’infanzia, l’educazione al “fluido” comporta la conseguente normalizzazione della transessualità e del transgenderismo.

Il tema – che dovrebbe essere delicato e raro – è di scottante attualità. L’associazione Provita e famiglia, per esempio, denuncia: “Le posizioni gender, per arrivare nelle scuole, fanno spesso ricorso a progetti “educativi” mascherati come tali – soprattutto nei titoli e negli obiettivi di massima – che, con la scusa di educare bambini e ragazzi ad alcune tematiche sensibili e di attualità, finiscono poi per proporre tutt’altro. Spesso e volentieri all’insaputa dei genitori, proprio perché docenti, dirigenti e associazioni Lgbt che propongono questi progetti sanno benissimo che, nella maggior parte dei casi, le famiglie non sarebbero minimamente d’accordo con tali iniziative e non darebbero il loro assenso alla presenza dei loro figli in aula.”.

Tutto ciò comporta una precoce sessualizzazione dei bambini. Non si tratta, infatti, della “normale” educazione sessuale che veniva proposta agli adolescenti, onde prevenire malattie sessualmente trasmissibili e gravidanze indesiderate, bensì di un’educazione al “terzo” sesso, proposta non ad adolescenti ma a bambini giovanissimi.

Sempre la stessa associazione, riporta di aver ricevuto 210 segnalazioni in tutt’Italia di questa educazione al fluido. Per esempio, dal 2015 al 2017 in varie scuole di importanti città tra cui Palermo, Roma e Bologna, è stato eseguito lo spettacolo teatrale “Fa’afafine” per i bambini di terza elementare, che parla esplicitamente di «bambini che non amano identificarsi in un sesso o nell’altro»; segue poi il libro “Nei panni di Zaff”, in cui un maschietto che vuole vestirsi da principessa, diventa una principessa “con il pisello”. Dal 2021, infine, sono stati distribuiti a insegnanti e professori vari opuscoli per bambini e ragazzi da 0 a 13 anni che istruiscono su coming out e identità di genere.

Passiamo poi a Torino, dove come riporta il Corriere il liceo classico Alfieri e il liceo Gioberti hanno inaugurato i primi bagni neutri, che potranno perciò essere usati da maschi, femmine e persone che non si ritengono né uno né l’altro. Se si pensa cosa gli adolescenti di sesso differente possano fare in bagno, viene la pelle d’oca sull’utilità, nelle scuole, di un tale bagno.

Il classico e musicale Cavour ha adottato per primo la «carriera alias» un anno fa, il Regina Margherita a fine marzo e il Convitto Umberto I il mese scorso: in queste scuole si riconosce ufficialmente il nome desiderato e il genere sentito, diverso da quello registrato in anagrafe. Se si pensa ai docenti precari che ogni anno devono impararsi dai 60 agli 80 nomi diversi, che così saranno potenzialmente duplicati viene il magone per loro.

Dalle primarie alle secondarie, ovvero dalle elementari alle superiori, per ora è tutto sulla cultura gender.