Era il 1968 quando Monicelli, Senego e Magni diedero vita con la loro regia, fotografia e soggetto a un’innovativa storia di emancipazione, attraverso lo sguardo carezzevole e ingannatore della bella e mascelluta Monica Vitti, che recitava allora nel suo primo film da protagonista.
La trama vede, nella Sicilia della fine degli anni ‘60, Assunta, rapita e svergognata da Vincenzo (Carlo Giuffré) che però, allor quando scopre nella donna un’iniziativa, una propensione attiva all’amore e non un’indole passiva adibita alla sottomissione, la rifiuta. E, per evitare il matrimonio riparatore a cui sarebbe costretto, fugge a Londra.
Assunta s’imbarca per Londra, con una pistola nella borsa: è decisa ad assassinarlo, per riparare all’onore strappatole.
Quello che doveva essere, però, un viaggio all’insegna delle regole arcaiche alla radice dell’ antropologia folkloristica siciliana, si trasforma nell’opportunità, per Assunta, di scoprire un mondo nuovo, libero da schemi e imposizioni di genere, dove l’’uomo e la donna sono liberi di dormire assieme senza rovinare la propria reputazione.
Prima da cameriera, poi da infermiera, Assunta alias Monica interagisce con l’Inghilterra del ‘68, in una spassosa serie di fraintendimenti culturali e stereotipi duri a morire, sino a scoprire di essere lei stessa divenuta una donna nuova. Da “alla ricerca dell’omicidio perfetto” a “alla rinascita propria”.
Due, gli elementi notevoli: in primis, la Sicilia. Alla domanda “sei italiana?” Assunta risponde “sono siciliana”: l’appartenenza alla Trinachia più che allo Stivale, ovvero l’estrema appartenza alla Sicilia prima che all’Italia, ovvero la differenza tra i siciliani e l’Italia tutta, è dura da comprendere per gli amici d’Oltremanica, che talvolta considerano ancor oggi l’errata (anzi, sbagliatissima) equazione Sicilia = Italia.
Secondo: il fatto che il film fu girato cinque anni dopo Sedotta e Abbandonata e quattro anni dopo i fatti di Franca Viola. Segno che il ‘68 fu davvero l’anno del cambiamento anche per le donne. Anche se il patriarcato resisteva, in Sicilia più che d’ogni dove.