Tra un manifesto strappato e un’opera di Rotella c’è una grande differenza: lo sguardo. Lo sguardo dell’artista. È quello che può trasformare un poster lacerato in un simbolo dell’arte e la strada in un luogo di creatività. Dalla strada all’arte, è lo stesso percorso che segue Marilyn Monroe.
All’anagrafe Norma Jeane Baker, la diva si trascinò per tutta la vita la donna delle sue origini, quella maltrattata nell’infanzia e quella dei matrimoni falliti e gli aborti spontanei. Poi, sullo schermo, la sua immagine era perfetta, sexy, bellissima. Un’icona. A lei Rotella dedica molte delle sue opere. Le labbra carnose, il sorriso ammaliante, lo sguardo seducente rivivono sul décollage dell’artista nato in Calabria e morto a Milano, dieci anni orsono.
Nella sua vita che pare quasi un film, Mimmo Rotella calca le scene delle più grandi capitali dell’arte: Roma, Parigi, New York. Espone al Guggenheim, al Centre Pompidou e anche al Museum of contemporary art di Los Angeles, nel 1996 per il centenario del cinema, dove le sue Marilyn sono al fianco di quelle di Andy Wharol. In comune con il maestro della Pop art ha la capacità di interpretare la sua epoca, la società di massa, il consumismo e quella comunicazione sfrenata ed effimera. La vita non è un film, ma questo non vale per Rotella che, tornato da Kansas City dove era stato per una borsa di studio, gira per Roma vestendo e parlando come un americano. È lui a ispirare lo straordinario personaggio di Alberto Sordi in Un americano a Roma.
Parte da qui, la storia della sua impronta creativa. Quando, tornato in Italia, Rotella attraversa una profonda crisi: convinto di aver visto tutto e che nulla possa più essere inventato in arte, si dedica alla poesia “epistaltica”, di cui scrive il manifesto. “Poi una mattina, uscendo dal mio piccolo studio di Roma, vidi i muri della città tappezzati totalmente da questi manifesti strappati. Erano per lo più affissioni pubblicitarie e locandine di film americani. Avevano una forza enorme, dei colori meravigliosi”.
Era cresciuto fra i colori, Rotella, figlio di una modista di cappelli. Quei colori lo catturano nel 1953 e gli ispirano quella che lui chiama “illuminazione zen”. Inizia così a strappare i manifesti per strada e a trasformarli nel suo atelier. Nascono i décollage e i rétro d’affiches. In questi anni, lo stesso fanno Villeglé, Hains, Deschamps, che grazie al critico Pierre Restany confluiscono nel Nouveau Réalisme. Da qui hanno origine le sue provocatorie Marilyn, il re del rock Elvis, Cleopatra Liz. Anche Humphrey Bogart e Ingrid Bergman si ritrovano eternamente abbracciati in una sua opera, circondati da strappi energici. “Strappare manifesti dai muri è la sola compensazione, l’unico modo di protestare contro una società che ha perduto il gusto del cambiamento e delle trasformazioni favolose”
Di questa cifra stilistica (dal 13 marzo in mostra a Locarno, nella Pinacoteca Casa Rusca) Rotella affronta tutte le possibilità tecniche: il doppio décollage, la Mec-art o arte meccanica (opere eseguite proiettando fotografie di giornali e altri materiali su tela sensibile), e gli artypos o arte tipografica (prove di stampa riprodotte liberamente su tela). Qualunque forma prenda, la sua arte è testimonianza di una realtà da modificare, rielaborare, ma sempre da vedere. E se Marilyn era, tra tutti i miti dell’epoca, quello più popolare e simbolo universale di bellezza, nessuno la vide come Rotella. Immagine potente da celebrare e consegnare alla storia dell’arte.
“Non sai chi è Joe Di Maggio, mami? Questo intrepido bimbo prese la mazza e ha sposato Marilina. Se anch’io da bimbo, mami, fossi stato trasferito nel Kansas City…” (da Un americano a Roma)
Alessandra Erriquez