Un bilancio storico a 75 anni dalla fine di Mussolini (2020)
Questo imponente articolo presenta per così dire una visione “di destra” sul 25 Aprile. Deplora l’ “antifascismo retorico” a 75 anni di distanza e, pur stigmatizzando impietosamente gli errori del Duce, avrebbe voluto per lui un equo processo e non l’ammazzamento sommario. Forse in ciò Minotti sottovaluta la terribile crudeltà della guerra civile, che aveva generato un odio immenso tra le fazioni nemiche.
Senza alcun dubbio al Comitato di liberazione non è mai venuto in mente che fosse opportuno processare Mussolini.
Per una ricostruzione “alternativa” dell’uccisione del dittatore segnaliamo il notevole libro di Giorgio Pisanò “Gli ultimi cinque secondi di Mussolini”. (fdm)
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Anche quest’anno ci sono state in Italia le rievocazioni del 25 aprile 1945, giorno della fine definitiva del fascismo mussoliniano (Repubblica di Salò) e nel quale le truppe partigiane entrarono in alcune grandi città del Norditalia. Insomma la cosiddetta festa della Liberazione (anche se quest’anno essa è stata celebrata in modo distanziato, coronavirus oblige).
Qualche giorno dopo, il 28 aprile 1945, Mussolini fu ucciso a Mezzegra sul Lago di Como da un commando partigiano. Non è ancora oggi del tutto sicuro chi siano stati gli autori materiali effettivi dell’uccisione, né chi avesse esattamente dato l’ordine. Molte versioni sono circolate negli scorsi decenni. Si scrisse che la «sentenza» era stata decisa dal CLN dell’Alta Italia. In quanto all’esecutore materiale, nel dopoguerra fu accreditata la versione «ufficiale» secondo cui fosse una pattuglia partigiana agli ordini di Walter Audisio, nel frattempo eletto deputato alla Camera del PCI (e che quindi godeva dell’immunità parlamentare); ma alcuni storici la mettono in dubbio e affermano che quando Audisio inscenò la fucilazione, Mussolini era già morto da alcune ore (sarebbe già stato ammazzato da altri emissari partigiani, c’è chi dice da Luigi Longo – capo partigiano che qualche anno dopo divenne presidente del PCI -, c’è chi dice da partigiani lombardi su mandato dei servizi segreti britannici……).
Ad ogni buon conto lo scopo di questo articolo non è quello di approfondire come e chi uccise Mussolini; in fondo non è così rilevante. A noi interessa piuttosto dare un giudizio generale complessivo sugli avvenimenti di 75 anni fa.
Che cosa vogliamo dire con «dritto e rovescio» ?
Cominciamo dal dritto :
L’avvenimento in sè è consegnato alla Storia, cioè è l’epilogo tragico di un dittatore che pagò alcuni errori capitali di valutazione, alcune azzardate scelte politiche (Patto d’acciaio con la Germania nazista, entrata in guerra) e forse anche alcune omissioni imprudenti (la mancata fuga, per esempio in Spagna, dopo la seduta del 25 luglio 1943 del Gran Consiglio del fascismo che lo aveva sfiduciato, o – successivamente – il non essersi sottratto all’imposizione fattagli da Hitler di ritornare a giocare un ruolo con la suaccennata Repubblica di Salò: ruolo che ormai era di pura marionetta nelle mani dei Tedeschi). Purtroppo questi errori, evidentemente e tragicamente, non li pagò solo lui, ma tutta la nazione italiana; e il risultato fu nel Centro-Nord del Paese un anno e mezzo di incattivita guerra civile, con un Governo fantoccio fascista che supportava e in qualche modo legittimava (almeno neile intenzioni di Hitler) l’occupazione tedesca. Va ricordato, per chi fosse del tutto digiuno di storia, che invece il Governo legittimo del Paese rappresentato da Re Vittorio Emanuele III – che dopo aver dato il benservito a Mussolini aveva insediato alla carica di primo ministro il maresciallo Badoglio – aveva firmato l’armistizio con gli angloamericani e in seguito, rifugiatosi nell’estremo sud dello Stivale, aveva praticamente cambiato campo, mettendo a disposizione degli angloamericani alcune unità combattenti e diventando co-belligerante contro i Tedeschi invasori.
I fatti sono ormai noti a tutti e quasi tutti, in Italia e all’estero, danno un giudizio negativo di questa ultima fase del regime fascista, anche coloro che hanno maggiore indulgenza invece per la prima fase del regime, ovvero approssimativamente fino alla guerra di Abissinia del 1935-36 (quest’ultima compresa).
L’errore capitale di Mussolini fu l’entrata in guerra a fianco della Germania nazista. Perché lo commise? Per dirla breve: frustrato dalla condanna da parte di Francia e Inghilterra della conquista italiana dell’Abissinia e dall’appoggio dato dal Governo francese agli esuli antifascisti italiani (soprattutto dopo la vittoria del Fronte Popolare nel maggio 1936), egli si crogiolò viepiù nelle recriminazioni e nel rancore contro gli anglo-francesi e quindi a poco a poco si avvicinò a Hitler fino a diventarne succube, lasciandosi indurre a firmare il «Patto d’acciaio» con la Germania nazista; infine nel 1940 egli credette che Hitler stesse vincendo definitivamente la guerra e quindi volle essere con lui sul carro dei vincitori. Puro opportunismo, quindi, cinismo avulso da qualsiasi scrupolo o principio morale.
Il secondo errore capitale (recidivazione e aggravamento incomprensibili, anche se forse a quel punto «obbligati» dalla scelta di aver voluto marciare assieme allo sciagurato Alleato) fu la dichiarazione di guerra agli Stati Uniti d’America nel dicembre 1941. Come ebbe a dire l’ex-ambasciatore italiano a Londra Dino Grandi (che era stato, diciamo così, un fascista moderato, artefice della destituzione di Mussolini nel 1943 indi emigrato in Sudamerica) in una intervista alla RAI verso l’inizio degli anni ’80, – citiamo a memoria – : «solo un provinciale, che non conosceva l’enorme potenziale economico americano, poteva commettere la sciocchezza di dichiarare guerra agli Stati Uniti. Se Mussolini avesse avuto modo di consultare una volta l’elenco telefonico anche della sola città di New York, forse avrebbe capito a che cosa andava incontro».
In questo secondo errore capitale (errore che per noi forse è stato provvidenziale) Mussolini era stato preceduto naturalmente da Hitler: un errore o comunque una scelta ancora oggi difficilmente spiegabile in modo razionale, perché in questo frangente il dittatore tedesco abbandonò la strategia che aveva adottato con successo nella prima fase della guerra, strategia tendente cioè ad attaccare e a liquidare i suoi nemici uno per volta evitando di condurre contemporaneamente una guerra sui due lati: est e ovest.
Il rovescio del 25 aprile?
Fin qui abbiamo detto del fatto storico in sé e per sé, da cui risulta a nostro avviso un giudizio negativo su Mussolini e quindi uno positivo sulla caduta del suo regime. Dove sta quindi il rovescio della medaglia? Dove sta l’aspetto negativo del 25 aprile storico e soprattutto l’aspetto equivoco della sua rituale commemorazione ogni anno ancora oggi?
Andiamo con ordine:
- Per quanto riguarda l’avvenimento storico, va detto prima di tutto che c’è un equivoco fondamentale, per non dire una sostanziale falsificazione della Storia, nell’enfatizzazione che in Italia (ma mutatis mutandis la stessa cosa si può dire anche in Francia) da parte della Sinistra si è sempre fatto del ruolo della Resistenza partigiana nella liberazione del Paese dai nazisti. L’Italia è stata liberata dalle truppe anglo-americane. L’apporto militare della resistenza fu marginale. È vero che ai partigiani riuscì l’exploit di entrare prima degli Alleati in alcune città del Nord (Bologna, Milano, ecc.) grazie al veloce ritiro delle truppe tedesche dalla linea gotica e alla più lenta avanzata delle truppe alleate. Ma i tedeschi furono indotti a ritirarsi dall’Italia a causa della pressione delle truppe anglo-americane (e soprattutto perché sapevano che quest’ultimi erano già penetrati in Germania e il Terzo Reich era agli sgoccioli), non certo perché vi furono costretti dai partigiani.
Anche la data è un falso mito: la guerra in Italia terminò ufficialmente il 2 o il 3 maggio, con l’entrata in vigore dell’armistizio firmato dai comandanti tedeschi in Italia e dai rappresentanti del Comando alleato stazionato a Caserta. Il 25 aprile è una data indebitamente enfatizzata; in quel giorno e nei giorni successivi avvenne solo una rivalsa “di pancia” di chi per anni aveva dovuto subìre le scelte nefaste del Duce e ora si proclamava vincitore, senza peraltro avere un mandato democratico che lo legittimasse all’uopo. La legittimità del nuovo regime democratico venne semmai fondata con le successive consultazioni elettorali (prime elezioni, referendum istituzionale, elezione della Costituente, ecc.). A fine aprile 1945 la legittimità era detenuta dal Governo del Re; il Comitato di liberazione dell’Alta Italia era solo un insieme di “bande armate”, per quanto potesse godere di un certo consenso in alcune regioni.
- Secondariamente il 25 aprile 1945 e i giorni successivi rappresentano per certi aspetti, per le modalità che li marcarono, una pagina nera della storia, di cui c’è poco da vantarsi. Esecuzione sommaria del Duce in fuga e dei suoi accompagnatori (compresa la sua amante Claretta Petacci e personaggi minori che non avevano commesso nessun delitto, come Nicola Bombacci, rivoluzionario amico di gioventù di Mussolini di cui poi divenne avversario – fu tra i fondatori del PCI dal quale in seguito si staccò per divergenze – e col quale più tardi si riconciliò, per infine seguirlo a Salò) e loro impiccagione a testa in giù a Piazzale Loreto a Milano (un modo di fare che in Lombardia per secoli e fino a quel momento si era sempre fatto solo con i maiali il giorno della “mazza”…..). E altre esecuzioni sommarie e ingiustificati “regolamenti di conti” avvennero in tanti luoghi in quei giorni e nelle settimane e mesi seguenti, un po’ in tutte le regioni del Norditalia, ma in special modo in Emilia, ad opera dei partigiani comunisti. Il macabro paradosso di queste spregevoli azioni è che esse facevano il paio con il comportamento di certi reparti delle SS e delle “bande nere” di Salò, contro cui i partigiani si vantavano di combattere ma di cui sostanzialmente in qualche caso adottarono i metodi (arbitrarietà delle decisioni, fucilazioni sommarie, eliminazione di “nemici terzi” innocenti per vendicarsi di torti subìti dai propri, eccetera).
- Mi si potrebbe obiettare: “ma Mussolini e certi suoi gregari fanatici se l’erano cercata”. Posso essere d’accordo, ma c’è sempre modo e modo di rispondere anche agli atti più infami. Un conto è fare un processo davanti a un’Alta Corte, che garantisca almeno delle elementari garanzie formali e il diritto dell’accusato di dire alcune parole a propria discolpa; cosa ben diversa è una esecuzione sommaria con una scarica di fucile mitragliatore, attuata su mandato (e in taluni casi anche senza) di un comitato segreto della resistenza. Se per punire degli atti infami e restaurare la democrazia la libertà e la giustizia, si adottano gli stessi metodi degli infami che si vogliono scansare, la società umana e la civiltà che la dovrebbe caratterizzare non fanno molti progressi. Quali titoli aveva Walter Audisio (o chiunque sia stato a farlo) per “giustiziare” il Duce? E quali titoli aveva il CLN dell’Alta Italia per ordinargli di ucciderlo (ammesso che tale decisione fu veramente presa)? Il CLN non era stato eletto da nessuno e in ogni caso in un paese democratico un “Governo provvisorio” (tale il CLN si considerava in sostanza) non ha competenze giudiziarie, figurarsi poi la competenza di giustiziare l’ex-capo del Governo, per quanto potessero essere gravi le colpe di quest’ultimo. Anzi, quanto più erano gravi le colpe da lui commesse (per esempio: alto tradimento, attentato alle istituzioni del paese, colpo di Stato), tanto più si sarebbero dovute rispettare certe regole basilari e tanto più sarebbe stato doveroso deferirlo e giudicarlo davanti a un’alta Corte e per così dire al cospetto di tutta la Nazione! Il popolo italiano, che era stato governato per 20 anni dal Mussolini, aveva ben il diritto di pretendere che costui venisse portato a processo in tutta trasparenza (al fine non solo di rendere giustizia ma anche per chiarire le motivazioni e i retroscena di certe decisioni che avevano portato così tante sofferenze al Paese), anziché essere ucciso come un cane. I reati di un ex capo del Governo nell’ambito del suo ufficio, sono infatti per definizione di interesse pubblico.
La verità è che i partigiani comunisti sognavano di fare la Rivoluzione e vedevano nella Resistenza e nella Liberazione solo una prima tappa sul cammino verso l’imposizione della loro dittatura. È vero che certe velleità rivoluzionarie comuniste alla fine nel dopoguerra non si realizzarono, perché i vertici del PCI – a seguito della spartizione dell’Europa decisa a Yalta – ordinarono ai loro militanti di agire all’interno delle regole democratiche. Ma ciò non toglie che molti delitti politici di quei tempi, in specie nelle regioni rosse, rimasero impuniti, e non inducono certo a festeggiare acriticamente la Liberazione e la Resistenza partigiana!
- Va poi fatta una ulteriore considerazione di carattere più generale riguardo all’efficacia, alla legittimità e all’ opportunità della “guerra partigiana” o guerriglia che dir si voglia. Il discorso potrebbe essere lungo, ma facciamolo breve, sorvolando sul quesito della legittimità filosofico-politica della ribellione armata che pur si dovrebbe porre: limitiamoci all’aspetto della sua efficacia pratica e quindi della sua opportunità e della sua sostenibilità da un punto di vista etico. L’esperienza storica dimostra che la guerriglia o guerra partigiana è un’arma a doppio taglio, che spesso – per non dire sempre – provoca feroci rappresaglie. Sono note le rappresaglie sanguinose fatte dalla Wehrmacht e dalle SS nel corso della guerra, sia in Italia che in Francia (per limitarci a questi due Paesi), in risposta a puntuali attentati a linee di comunicazione o all’uccisione di ufficiali o soldati tedeschi da parte di partigiani. Nel momento dell’inasprirsi della guerra nelle zone occupate, nel 1943-44 i tedeschi su ordine di Hitler uccidevano per rappresaglia 10 persone per ogni tedesco ucciso, poi in alcuni casi si passò persino a 50 persone per ogni tedesco ucciso. E il peggio è che in genere si trattava di persone del tutto estranee agli attentati: perlopiù erano persone incarcerate prima dell’attentato perché sospettate di essere vicine alla Resistenza, e che venivano uccise per rappresaglia; oppure addirittura persone scelte a casaccio con retate e criteri arbitrari fra i residenti.
Un caso estremo fu la rappresaglia eseguita dai tedeschi contro l’uccisione nel maggio 1942 del governatore della Boemia-Moravia occupata (l’attuale Repubblica ceca), l’alto ufficiale delle SS Reynhard Heydrich, da parte di un gruppo di partigiani cechi paracadutati dal Servizio segreto britannico: nei giorni e nelle settimane che seguirono l’attentato le SS sterminarono circa 2 mila persone; fu raso al suolo un intero villaggio e sterminati tutti i suoi abitanti, villaggio che aveva il solo torto di trovarsi a pochi Km dal luogo dell’attentato ma che non aveva nulla a che fare con gli attentatori; inoltre furono fucilate svariate decine di altri detenuti o persone innocenti; dulcis in fundo tutti i 4 o 5 membri del commando partigiano furono alla fine scovati e uccisi.
Un altro caso molto noto in Italia fu la strage delle “Fosse Ardeatine”, dove i nazisti assassinarono alcune centinaia di persone (10 per ogni soldato tedesco ucciso, ma alla fine il numero degli ammazzati eccedette il rapporto di 10 a 1) per rappresaglia contro un attentato che i partigiani comunisti avevano compiuto a Roma contro un reparto di riservisti sud-tirolesi della Wehrmacht e che ne aveva uccisi una trentina (33 se non vado errato). Per completezza va detto che il distaccamento sud-tirolese non era una truppa di élite o che si fosse macchiata di particolari gesta di guerra; si trattava di militi della Landsturm, già abbastanza in là con gli anni quindi, e che erano adibiti a funzioni di supporto per il mantenimento dell’ordine nella capitale italiana, per servizi di guardia ai palazzi dei comandi e delle autorità tedesche presenti e altre incombenze tutto sommato innocue. Non c’erano quindi motivi né militari né politici che potessero ragionevolmente giustificare un attentato contro quel distaccamento, mentre si poteva a priori facilmente immaginare che esso avrebbe provocato una feroce ritorsione da parte tedesca. Perché quindi esso fu eseguito? Forse appunto per suscitare quella feroce ritorsione? (E suscitare in tal modo la conseguente indignazione della popolazione romana – fino a quel momento su posizioni attendiste – inducendola a passare dalla parte della Resistenza?).
In tali casi si pone il quesito: è eticamente sostenibile un simile modo di condurre azioni di guerra da parte di persone non inquadrate militarmente in un esercito di Stato? L’attentatore in tali casi non è forse altrettanto criminale del nemico che poi reagisce con la rappresaglia? Si può discutere a lungo ed avere opinioni diverse al proposito. Però la risposta non è così ovvia e scontata come alcuni – seduti in comodi divani di talk show televisivi a più di 70 anni di distanza – danno a intendere.
Dal punto di vista (sicuramente cinico) della potenza occupante, tale tipo di rappresaglia con una proporzione di 10 a 1 aveva naturalmente l’intento di scoraggiare gli attentati e quindi perpetuare l’occupazione. Ma d’altra parte il partigiano che sa già a priori che il danno della rappresaglia (in termini di vite umane) potrà essere anche molto superiore al danno da lui stesso arrecato, non è forse anch’egli cinico? Forse anzi ancora più cinico dell’occupante, in quanto sa che metterà a repentaglio con il suo atto la vita di suoi compatrioti e non di cittadini di uno Stato estero occupato.
Attentati di questo tipo potevano essere giustificati quando – previa valutazione di “costi e benefici” – risultava che si potevano ottenere con essi dei vantaggi militari rilevanti: per esempio il blocco di una linea ferroviaria o di una strada tali da impedire l’afflusso di truppe in un determinato settore di guerra per parecchi giorni o settimane, infliggendo così al nemico una perdita considerevole. Anche per l’attentato a Heydrich – che pur solleva dei quesiti etici non da poco, viste le conseguenze che ebbe – si può sostenere (ed è per questo probabilmente che Londra diede l’OK all’operazione) che egli era una personalità così importante e decisiva nell’establishment nazista che andava eliminato, pur scontando un costo umano terribile per le prevedibili rappresaglie naziste. Heydrich era infatti a capo del servizio segreto delle SS (un servizio parallelo a quello del controspionaggio della Wehrmacht, la famosa Abwehr di Canaris), e Londra ritenne sicuramente che era troppo intelligente e pericoloso, perché avrebbe potuto scoprire alcune cose di importanza decisiva per lo svolgimento della guerra.
- Infine va detto che lo sfruttamento propagandistico del mito della Resistenza da parte della Sinistra è ormai diventato insopportabile. È da decenni che ci tocca sopportare questa retorica che ormai ci ha stancato. Non se ne può più. Da 70 anni si inneggia all’antifascismo e si lancia l’anatema contro i fascisti, come se il fascismo fosse un pericolo ancora attuale e incombente. La strategia è semplice: il calcolo della Sinistra è quello di dividere lo schieramento moderato. Infatti gli avversari della Sinistra si dividono in svariate parrocchie e filoni storici che nel passato talvolta si combatterono e, nel caso di specie, si dividono in special modo tra fascisti e antifascisti (intendendo qui per “fascisti” i discendenti dei fascisti repubblichini, coloro cioè che seguirono l’appello ad arruolarsi per la Repubblica di Salò o comunque furono almeno in un primo tempo dalla parte di quest’ultima o si barcamenarono fra le due parti per sopravvivere; e viceversa per “antifascisti” coloro che discendono da antifascisti). Se noi infatti alla maggioranza che chiameremo per semplicità “di centro-destra” sottraiamo una quota di vituperati fascisti (10 per cento? 15 percento? 20 percento? 30 percento?) e li releghiamo nel “limbo” degli intoccabili – che è quel che si fece per quasi 50 anni in Italia con ll cosiddetto “Arco costituzionale” che escludeva i missini rendendo i loro voti inutilizzabili per la formazione di qualsiasi maggioranza politica – la maggioranza moderata verrà meno e sarà superata dalla Sinistra o dovrà scendere a patti con essa. È un giochino che ha funzionato a meraviglia per lungo tempo in Italia. Fino all’arrivo di Berlusconi, che “sdoganò” i post-fascisti. E che fu un atto di puro buon senso, perché poniamo Ignazio La Russa – pur essendo figlio di un fascista notorio (anche se non repubblichino essendo siciliano) – poteva essere nell’anno 2000 più vicino alle vedute politiche di Berlusconi o di Letizia Moratti – i cui genitori militarono nella Resistenza – di quanto quest’ultimi lo fossero a quelle di certi esponenti della Sinistra antifascista. Indipendentemente dal proprio passato (o meglio: dal passato della propria famiglia) tutti e tre si possono trovare d’accordo su un programma politico sinceramente liberale e democratico.
Anche Mitterrand negli anni Ottanta fu un maestro di questa strategia di divisione della Destra: egli dapprima favorì i primi successi del Front National (con un cambiamento di legge elettorale) per sottrarre voti alla Destra gaullista e poterla battere più facilmente; poi, quando vi furono alcune velleità di collaborazione tra gaullisti e FN a livello regionale e locale in funzione anti-Gauche, fece partire una campagna stampa e lanciò un’anatema contro il “fascismo di Le Pen” perorando l’ “unité républicaine”, ciò che dissuase presto Chirac e i suoi da qualsiasi collaborazione con il FN (Occorre peraltro ammettere che Jean Marie Le Pen – con il suo temperamento focoso e le sue sortite provocatorie – ci mise del suo per far riuscire il giochino e farsi rinchiudere nel “ghetto degli intoccabili”).
La conclusione qual è? Semplice: oggi e domani occorre condurre le battaglie politiche di oggi e di domani, non quelle di 70 o 80 anni fa. Con gli schieramenti di oggi e non con quelli di allora. Per risolvere i problemi di domani, non quelli dell’altro ieri.
Quel che non si può perdonare a Mussolini
Tornando a bomba alla parte iniziale di questo articolo dove abbiamo accennato ai gravi errori e alle gravi (ir)responsabilità di Mussolini, vorremmo concludere enunziando un apparente paradosso, che corrisponde a un nostro profondo convincimento.
Oltre alla colpa di essersi alleato con il Führer e di essere entrato in guerra dalla parte sbagliata credendo – sbagliandosi – che fosse quella vincente, oggi noi non possiamo perdonare a Mussolini anche un’altra cosa che ha lasciato in eredità all’Italia. Con la sua avventatezza e facendo una guerra sbagliata e perdendola, e ancor più facendosi fantoccio dei Tedeschi a Salò e causando con ciò una guerra civile che venne a sovrapporsi alla guerra fra Alleati e nazisti attirata in Italia dalla sua scelta del 1940, egli creò le premesse per una radicalizzazione dello scontro politico nel dopoguerra e ci lasciò in eredità un fastidioso e strumentale antifascismo ideologico che è durato fino ad oggi e non accenna a scomparire! La forza del PCI nel dopoguerra (costruita sul mito della Resistenza) è infatti figlia diretta delle scelte di Mussolini.
Una retorica antifascista fastidiosa, perché tra l’altro è equivoca nella misura in cui usa il termine generico di “fascismo” che logicamente si riferisce a tutto il ventennio fascista, dalla marcia su Roma a Salò e a Dongo. Ma il giudizio negativo della maggioranza degli Italiani sul fascismo fu provocato principalmente, per non dire esclusivamente, dall’ultimo periodo (entrata in guerra e Salò). Prima gli Italiani furono in larga parte fascisti, nella migliore delle ipotesi neutri e acquiescenti; gli antifascisti erano una piccola minoranza. D’accordo che era una dittatura e non c’erano un dibattito libero e libere elezioni (quindi la verifica del grado di consenso al regime non è facile da fare), però per esempio la guerra d’Abissinia suscitò un largo ed entusiastico consenso nel popolo italiano, le cronache storiche lo attestano.
Si tratta di una constatazione, non di una perorazione. Io non sono fascista né mai lo sono stato. Mussolini non mi è mai piaciuto troppo e, più ne leggo, più il giudizio sul personaggio si conferma negativo (anche se gli si deve riconoscere che fu un giornalista intelligente e, negli anni immediatamente precedenti e subito dopo l’andata al Governo, dimostrò una certa abilità politica, in ogni caso superiore a quella dei suoi avversari). Non mi piace quasi nulla di lui: né il suo essere stato da giovane una “testa calda” e membro della corrente più estremista e rivoluzionaria del Partito Socialista, né il suo pacifismo violento dapprima (contro la guerra di Libia) – fino a fare appelli insurrezionali contro gli arruolamenti ordinati dal governo Giolitti – né il suo focoso interventismo nella Prima Guerra mondiale poi. Quella guerra che fu la madre di tutte le sciagure del 20° secolo!
Tra l’altro i “cugini francesi” e in specie i socialisti francesi che l’hanno sempre disprezzato o irriso, a rigore avrebbero dovuto invece ringraziarlo, perché fu anche grazie all’entrata in guerra dell’Italia, se dal 1915 al 1917 il fronte della Marne tenne, fronte che fu in due o tre frangenti sul punto di crollare…Quindi per ironia della Storia fu anche grazie all’Italia (e a Mussolini e D’Annunzio che l’avevano spinta a entrare in guerra) se la Francia potè permettersi nel 1919 a Versailles di ergersi a disegnatrice dei nuovi confini d’Europa umiliando la Germania e cancellando l’impero asburgico, ciò che provocò quel desiderio tedesco di rivalsa che portò dove sappiamo.
Infine non mi piace quell’atteggiamento gradasso e maramaldesco che aveva nelle sue apparizioni pubbliche al tempo del Regime (atteggiamento che era involontariamente umoristico), né tanto meno la retorica sui “destini immortali di Roma” e i rituali “imperiali” delle adunate organizzate da Starace (retorica imperiale e riferimenti alle glorie dell’antica Roma che si dice gli fossero stati istillati dalla sua amante Margherita Sarfatti, una colta signora di famiglia ebraica veneziana che leggeva i classici greci e latini in originale e che nel complesso contribuì non poco a dirozzarlo e ad incivilirlo).
Resta il fatto, inconfutabile, che Mussolini godette in certi momenti dell’appoggio e del consenso di vaste cerchie di cittadini italiani. E, se non fosse entrato in guerra nel 1940, sarebbe morto in carica nel suo letto come il generale Franco (e anche – è una constatazione, non un “j’accuse” contro Franco – con molti meno connazionali morti sulla coscienza)!
E, come diceva quella linguaccia di Indro Montanelli, si sa che gli Italiani sono sempre pronti a saltare sul carro dei vincitori. Ieri fascisti, poi per 70 anni e ancora oggi antifascisti. Ieri colonizzatori dell’Abissinia, oggi … colonizzati dai cinesi. “Francia o Spagna purché se magna” dicevano già nel Cinquecento.
Paolo Camillo Minotti