Fulgido come il balugino di un lampo, La favola del cavaliere di Cristoforo Gorno è un racconto di catastrofe e redenzione, sconfitta e rivincita, che restituisce, anzi fonde, l’epos al quotidiano.
Una lettura profonda e immediata, a tratti ironica a tratti straziante, In me io mi salvo (titolo originario ma non originale dell’opera) è prima di tutto un viaggio, reale e metaforico, ma soprattutto un ritorno alle origini del peccato (subìto e non commesso), alle radici del senso di colpa (sofferta e non inflitta), della violenza.
Due titoli, come per i poemi epici: l’uno che cita il verso conclusivo di una poesia su di una tavoletta d’argilla rinvenuta dal protagonista, in una campagna di scavo sull’Eufrate, nella quale il cantore dice di aver perso e rinnegato tutto, ma di salvarsi in se stesso; l’altro che richiama più l’epica medievale. Poiché, se è vero che nessuno si salva da solo, è anche vero, come scrive da qualche parte Seneca al suo Lucillio, che devono cambiare gli animi, non i cieli, per questo è in noi che ritroviamo la pace, dopo quella guerra che dobbiamo combattere coi nostri fantasmi del passato.
Una necessaria discesa agli Inferi, per incontrare – rimanendo vivi e, nonostante tutto, saldi – i propri assassini (che invece sono già morti); una katabasis, come quelle di Odisseo, Enea e Dante, compiuta nel mezzo del cammin di nostra vita, trent’anni dopo gli abusi subiti, per ritornare alla propria Itaca, alla propria Roma, a riveder le stelle.
Un tema atroce e delicatissimo, trattato con estrema acutezza, in un’autobiografia che diventa un viaggio: una cerca del cavaliere medievale, un nostos dell’eroe omerico, una partenza che deve essere un ritorno, alle proprie origini, al paradiso perduto, a cui si è stati strappati con violenza da un carnefice odioso, che ha inflitto una ferita lancinante, un orco che bisogna affrontare, combattere, quasi un Minotauro che per troppo tempo ha fagocitato ragazzini (singolare o plurale non fa la differenza, in questi casi), che Teseo deve estirpare, per trovare poi la forza di ritornare, vincente, alla propria Atene.
La scrittura è rapida e colta, tragica e ironica.
I riflessi, i richiami sono sbalorditivi: sullo sfondo della Roma contemporanea, di maestosa e caotica bellezza, emergono Giulio Cesare e il bombardamento di San Lorenzo, gli animali puri e parlanti alla Saba o alla San Francesco; una favola da Le mille e una notte, una cronaca di amore e di mafia, infine, nella campagna laziale, ancestrale, silvestre, pura e incontaminata, cavalca Camilla, la vergine guerriera dell’Eneide, mentre per roboante contrasto riecheggiano le grida delle migliaia e migliaia di donne e bambine e talvolta uomini seviziati dai soldati marocchini della Legione francese – e il sangue versato (e infettato) di innocenti, lacere fanciulle agonizzanti, irrora i campi di grano, nelle notti della primavera del ‘44.
Come possiamo paragonare le nostre croci a quelle degli altri, che ci appaiono più grandi, più tragiche, forse perché corali, forse perché riconosciute da tutti, persino dalla Storia? E ce lo chiediamo anche se si tratta di sofferenze gravissime, come abusi?
“La Storia non può imporci una resa senza condizioni”.
Deifobo detto Bino, il protagonista, reca un messaggio molto chiaro: “Se innocente vuol dire senza colpe, allora non lo sono mai stato […] non c’è un prima e un dopo, non c’è nessuna perdita. Ma se innocenza vuol dire volersi bene e volere bene a tutto il resto, se vuol dire fidarsi, se vuol dire, tutto sommato, la vita, se colpa vuol dire disprezzare se stessi e tutto il testo, se vuol dire la morte, allora sì che si può parlare di perdita dell’innocenza, di un prima e di un dopo”.
E così Deifobo va incontro alla sua battaglia. Lui, che reca il nome dell’eroe dell’Eneide (anima mutilata e sfigurata si aggrappa alla barca di Enea disceso agli Inferi e gli grida, mesto e disperato: “Vai, nostra gloria, vai, siano per te destini migliori!”), lui il Deifobo-Bino della contemporaneità, affronta una “Resurrezione” alla Tolstoj, in un viaggio nel proprio passato, nella Storia che tutti travolge, ma dalla quale è possibile emergere, ascendendo all’Assoluto, come gli dei Pàrvati e Shiva, che prima erano mortali. Forse, infondo, dobbiamo solo dimostrarlo a noi stessi.
Chantal Fantuzzi

La favola del cavaliere di Cristoforo Gorno, è acquistabile su Amazon: https://amzn.eu/d/08LVWAxR