Un paesino abruzzese, sperduto nella realtà pastorale e rurale senza tempo intergenerazionale.
Una ragazza che torna alle origini, in fuga dal Covid e dalla violenza che l’ha sfiorata appena, della frenetica Milano.
Una madre che soffre l’isolamento della figlia, l’incapacità di comunicare con quella giovane che si chiude in camera, con quel marito che, nelle parole della figlia, l’ha abbandonata senza neanche accorgersene.
E poi un fatto di cronaca, terribile, cronaca nera.
Il 20 agosto del 1997 nel bosco di mandra castrata, nei pressi di passo San Leonardo, sul Monte Morrone, in Abruzzo, tre giovani villeggianti di origine padovana, furono massacrate dal pastore macedone Halivebiu Hasani, che per violentare una delle tre sparò alle altre due. Soltanto una si salvò, fingendosi morta, per poi fuggire, proprio mentre un’altra delle due, sopravvissuta – ma ancora per poco – tentava invano, a sua volta, di fuggire, prima di essere, violentata, uccisa. La testimonianza dell’unica superstite fu cruciale per testimoniare circa l’assassino, che confessò, con un sconcertante immobilità d’espressione.
Nel romanzo “L’età fragile” di Donatella Di Pietrantonio, vincitrice del premio strega 2024, il fatto è rievocato, in costruzione tutta pausa e tensione, su un duplice piano, tra presente e passato.
Da un lato, il nostro presente, quello della pandemia, degli hikikomori, dei millennials e della gen Z (anzi, degli Zillenials) dilaniati dall’incapacità di esprimere le loro sofferenze esistenziali ai genitori. A questo emisfero appartiene Amanda, la figlia infelice di Lucia.
Poi, abbiamo la generazione X, dei nati tra gli anni 60 e gli anni 80, fiduciosi nel passato, sfiduciati nel presente. A costoro appartiene Lucia, la voce narrante del romanzo.
Infine, abbiamo la generazione “ silenziosa”, quella dei nati negli anni ‘40, a cui appartiene il padre di Lucia, e tutti i suoi amici, perduti testimoni, di quei fattaccio degli anni 90.
La Di Pietrantonio riesce magistralmente a scandagliare i drammi generazionali, addirittura amplificandoli sin troppo, e nella sofferenza dell’individuo racconta l’ateismo, perdita di valori, la arrampicarsi sugli specchi di figure vuote, in una natura incontaminata, dove la violenza è dietro l’angolo.
Un romanzo basato sui contrasti, anche su quello tra finzione e realtà, poiché attraverso la finzione che io ho scoperto questo fatto di cronaca. Premio strega meritato. ma siamo nel 2024 e, all’interno della realtà silvestre e pastorale, un po’ di sana ecologia e – soprattutto -di diritti degli animali animali, non guasterebbe.