Ottantaquattro anni.
Stalin non aveva dimenticato, Stalin non aveva perdonato.
Leone Trotsky, uno dei massimi rivoluzionari bolscevichi, caduto in disgrazia, perseguitato ed esiliato da Stalin, viveva a Coyoacán, un sobborgo di Città del Messico.
Il 20 agosto 1940, mentre si trovava a casa sua, egli venne aggredito alle spalle da Ramón Mercader, falso nome sotto cui si celava un sicario mandato da Stalin. Mercader gli sfondò il cranio con una piccozza. Trotsky morì il giorno seguente alle ore 18 e 48. Ecco l’assassinio descritto nelle parole dello stesso autore:
“Lasciai il mio impermeabile sul tavolo, in modo tale che io fossi in grado di toglierne la piccozza che si trovava nella sua tasca. Decisi di non mancare la meravigliosa opportunità che mi si presentava. Il momento in cui Trotsky iniziò a leggere l’articolo mi diede la chance. Estrassi la piccozza dall’impermeabile, la strinsi nel pugno e, con gli occhi chiusi, sferrai un colpo terrificante alla sua testa.”
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Ottant’anni tondi è un anniversario perfetto. Ricordare è importante. Torniamo con la mente a quell’anno. L’attacco tedesco a Occidente, fulmineo, aveva sconfitto totalmente la Francia. De Gaulle da Londra aveva lanciato il suo appello alla resistenza (18 giugno). La Terza repubblica – dopo 70 anni – era finita (10 luglio), da poco era salito al potere il maresciallo Pétain, vecchio eroe della Prima guerra mondiale.
Stalin era allora l’alleato di Hitler, e lo sarebbe stato per meno di un anno ancora. Trotsky, lontanissimo dalla patria sovietica, esule senza mezzi e senza potere, NON era stato perdonato.