Figlia di un condottiero, sorella di un imperatore, da un imperatore fu esiliata, da un imperatore mandata a morte. L’accusa? Avrebbe amato il filosofo Seneca. Storia senza mito della spregiudicata e forse non invendicata Giulia Livilla.
Figlia del vendicatore di Teutoburgo, il generale Germanico, fu promessa sposa al figlio del generale che invece, a Teutoburgo, aveva perso tre legioni, l’omonimo Varo.
Inizio a raccontarvi questa storia, sconosciuta ai più, partendo dalla battaglia che segnò la sconfitta dell’Imperialismo romano, nel 9 d.C. Mentre infatti l’avvento del primo imperatore Augusto aveva portato la pace, che sarebbe durata circa trecento anni, all’interno dei confini romani, sul fronte i confini dovettero arretrare: gli invitti germani, guidati dal condottiero Arminio (“una vipera in seno” a Roma, essendo stato educato da romani ed avendo tradito Roma stessa, massacrando, con una trappola, tre legioni romane (circa 15mila uomini). protagonista e vittima del massacro, il generale Publio Quintillio Varo. Vendicatore, che riacquistò le perdute Aquile, Germanico Giulio Cesare pronipote di Augusto, che attorno al 13 d.C. riacquistò i territori romani perduti a causa di Arminio. Tornato trionfante morì improvvisamente nel 19 d.C. ad Antiochia, e non è escluso per mano di Tiberio, il quale, geloso del nobile popolare, egualmente pretendente di diritto al trono imperiale, avrebbe potuto presentare una minaccia.
Germanico lasciava otto figli, la minore delle quali, nata appena un anno prima della sua morte, era Giulia Livilla. Due suoi fratelli maggiori, Tiberio e Gaio vennero relegati su un’isola e fatti uccidere, insieme alla loro madre, da Tiberio, mentre Agrippina, Drusilla e Gaio (in seguito Caligola) furono risparmiati per l’età infante.
All’età di dieci anni fu promessa sposa al giovane ma già adulto Publio Quintilio Varo, il quale, vittima della congiura di Seiano, finì anch’egli sotto i colpi della scure imperiale. Il suo destino tuttavia cambiò, quando il fratello diciannovenne, Caligola, venne nominato dal (forse) pentito imperatore Tiberio, suo successore.
Sorella dell’imperatore folle, divenne tuttavia sua feroce oppositrice, partecipando, a soli vent’anni, assieme alla sorella Agrippina e al cognato Marco Emilio Lepido, a una congiura volta a spodestare Caligola e a sostituirlo con Lepido. Scoperta, fu graziata dal fratello e esiliata anziché condannata.
Nel frattempo Caligola aveva condannato a morte un uomo destinato a divenire illustre, l’allor trentaseienne Lucio Annea Seneca, che tuttavia, all’ultimo fu graziato.
Ma Caligola, a sua volta, fu tuttavia assassinato due anni dopo da Cassio Cherea e al defunto imperatore succedette lo zio Claudio.
Claudio il filosofo, l’erudito, che aveva sposato una lontana parente, più giovane di lui di trent’anni, bella quanto dissoluta: la spregiudicata Valeria Messalina. E fu Claudio, a richiamare a corte le due sorelle esiliate (delle due, Agrippina aveva già partorito un figlio, Domizio Enobarbo…).
Valeria Messalina, l’imperatrice dai capelli neri che, come ci testimonia Marziale, si dicesse si aggirasse, la notte, nella Suburra, sotto il falso nome di Licisca (“lupacchiotta”), anch’ella ventenne, si trovò così a rivaleggiare con la più diafana, bionda ed egualmente famosa per la sua bellezza Giulia Livilla.
Dalla morte di Caligola e dall’acclamazione di Claudio al trono era passato appena un anno, nel frattempo a Roma si era fatto notare per la sua personalità colta, calma, coltissima e saggia, il più grande esponente dello stoicismo romano, che tanto poco avrebbe poi parlato della propria vita privata: Seneca.
Lui, filosofo nel pieno della maturità, lei nobildonna giovane e determinata. Cosa accadde, tra loro? Non lo sapremo mai, ma Messalina, che vide in essi una pericolosa alleanza di amore, filosofia e potere, probabilmente gelosa della coetanea Livilla, gridò all’adulterio. E Claudio, che l’amava, cadde ai suoi piedi: il filosofo fu esiliato, la ragazza, mandata a morir di fame a Pandanteria, oggi Ventotene. Aveva ventitré anni.
Neppure sei dopo, anche Messalina avrebbe trovato la morte, raggiunta dalla spada di un centurione, in quanto cospiratrice contro il marito. Claudio si risposò, con l’ultima della dinastia di Germanico rimasta: Agrippina.
Fu lei, che, spregiudicata quanto la defunta sorella, detronizzò il giovane figlio che Claudio aveva avuto da Messalina, Britannico, in favore del proprio, Domizio Enobarbo, che sarebbe passato alla storia come Nerone, il folle imperatore dalla barba di rame, o l’incendiario. Per l’educazione del giovane, che ancora in giovane età appariva normale, Agrippina propose di richiamare dall’esilio, forse per riabilitare la figura della defunta sorella, Seneca, che divenne precettore del giovane destinato a regnare.
Ma quando questi uccise la moglie (la ventenne Ottavia, figlia di Messalina), il fratellastro Britannico, la seconda moglie Poppea, ed infine la madre Agrippina; Seneca, disgustato, si ritirò dalla vita politica, dedicandosi interamente a quelle opere che avrebbero toccato i vertici dell’umanità, in primis Le Lettere a Lucillio.
La follia di Nerone, avrebbe raggiunto anche poeti, letterati, scrittori, politici: Petronio, Trasea Peto, Lucano e anche Seneca. Ma vorrei ricordarlo nella sua villa di campagna, intento a scrivere le sue tragedie, le sue Naturales Quaestiones, e tutte le sue altre, splendidamente immani, opere.
Del suo giovanile esilio e dei contatti con la bella Livilla, nelle sue opere non parlò mai. Nel 54 d C, all’età di 64 anni, anche l’Imperatore Claudio morì. Ma non per morte naturale: Agrippina, sorella della defunta Livilla, gli propinò dei funghi velenosi. Voleva accelerare l’elezione di Nerone al trono, certo, ma forse anche vendicare la morte della sorella.
Alla morte di Claudio colui che di Livilla aveva ordinato l’esecuzione, Seneca scrisse un’opera di deificazione. O meglio, una satira: deificazione di uno zuccone, in greco Apokolokyntosis. Forse, quell’opera così giovanilmente spumeggiante, era stata la sua rivincita su quel dramma di gioventù.