Dal 2 al 6 settembre 1666 (o 12-16 settembre, secondo il calendario gregoriano) una delle più grandi calamità nella storia di Londra si abbatté sulla città: un enorme incendio, anzi il grande incendio, che distrusse 13.200 abitazioni, 87 chiese parrocchiali, 6 cappelle, quattro ponti sul Tamigi e tre porte della città.
Unico lato positivo: la morte dei ratti e la disinfestazione dai portatori della peste, che terminò, con le ceneri della stessa città.
Londra risorse, fu ridisegnata quasi completamente dagli architetti Christopher Wren, Robert Hooke e Samuel Pepys, per conto di re Carlo II d’Inghilterra.
Pudding Lane, domenica mattina, settembre 1666. A casa del fornaio reale Farrinor, alcuni tizzoni ardenti non muoiono sotto la cenere, ma producono alcune faville che, natanti nell’ombra, raggiungono alcuni tronchi di legna nelle vicinanze, avvampando su di essi. la domestica, è la prima a morire tra le fiamme. Farrinon, invece, si lancia dalla finestra del primo piano, salvandosi. Un’ora dopo il sindaco Thomas Bloodworth viene destato, ma alla notizia dell’incendio, vedendolo, non ne resta impressionato, e anzi pronuncia la poco fine frase secondo la quale si potrebbe spegnere “con un’urinata”. ma l’incendio avvampa, e raggiunge quelle case disabitate (lasciate tali o per paura della peste o perché tutti gli abitanti erano morti di peste) e prende vigore, iniziando a demolire le abitazioni.
Le macerie facilitano la diffusione, non potendo venire rimosse alla svelta; il corpo dei vigili del fuoco è composto da alcuni benestanti che addirittura gioiscono nel vedere bruciare i magazzini dei loro rivali. ancora non si rendono conto della calamità.
L’incendio continua, e i giorni passano. Mercoledì, il fuoco è ancora alto e raggiunge Westminster . Lì, Giacomo duca di York, futuro re d’Inghilterra, ordina di demolire la biblioteca perché le fiamme non divampino. Scelta sofferta, ma obbligata.
È il quarto giorno: l’incendio riesce finalmente a venire domato. Dietro di sé lascia macerie, e distruzione. La bella St Paul’s Cathedral, gotica, è distrutta. Centinaia, o migliaia di morti, di cui non si conoscerà mai il nome, l’identità, su cui le ali nere dell’oblio della storia passeranno silenti: solo sedici verranno identificate, gli altri, cenere.
Tutto, letteralmente tutto, è bruciato. Al prezzo di sofferenza e distruzione, risorse una Londra unica al mondo. pulita, vasta, seicentesca. Sulle rovine di St Paul Cathedral, Christopher Wren progettò la splendida cattedrale oggi famosa in tutto il mondo, con la sua cupola e la sua vasta, immensa sacralità.
Circolarono voci, su quel terribile anno: il 1666 è il numero del Maligno, si diceva; letto in numeri romani presenta una cifra decadente: MDCLXVI; il fuoco era il terzo cavaliere dell’Apocalisse, Londra era come Sodoma e Gomorra, persino un pazzo, Lucky Robert Hubert, volle confessare di avere appiccato il fuoco lui stesso, per conto di un complotto papista, dicendo di averlo appiccato prima a Westminster, poi nel forno di Pudding Lane. La follia gli costò l’impiccagione senza processo.
Wren, nominato dal re, e Hooke, nominato dal popolo, furono i due artefici della ricostruzione di Londra: in mattoni rossi, sulle strade medioevali. Londinium era scomparsa per sempre, London era rinata. I due architetti progettarono anche un monumento commemorativo, anzi il monumento: The Monument, terminato nel 1677, situato a 61 metri da Pudding Lane, dove iniziò l’incendio e alto esattamente 61 metri.
301 scalini, 61 metri d’altezza, e vertigini a più on posso, per chi ne soffre: l’emozione di salire su The Monument è davvero alta. Provate, io ci sono stata.