Il venerdì santo del 1520, a Roma, moriva il talentuosissimo pittore, architetto e archeologo (il primo del suo tempo): Raffaello Sanzio. Aveva la febbre alta da due settimane e quel sei aprile, lo stesso giorno in cui compiva 37 anni, si spegneva. Sul letto di morte aveva voluto che fosse apposto il suo ultimo capolavoro, La Trasfigurazione, cosicché molti, nel vedere il giovane morente e la sua opera che pareva viva, piansero lacrime sincere. Anche Papa Leone X, (figlio di Lorenzo de’ Medici), gli porse omaggio e i più eminenti personaggi ne compiansero la scomparsa.
Ma quale fu la causa di una morte così prematura per il più famoso artista del suo tempo? Il Vasari scrive che a condurlo alla morte fu una febbre dovuta alla “passione amorosa” e che il giovane non disse nulla al medico che lo visitava, quasi volesse nascondere la cagione del suo male. D’altra parte Raffaello aveva molto successo con le donne, era bellissimo e molto amato. Eppure, per un’altra versione della tradizione, un suo fedele amore fu Margherita Luni, la Fornarina, che, secondo lo studioso ottocentesco Antonio Valeri, Raffaello avrebbe sposato in segreto, poiché un documento che il Valeri stesso riesumò, riportava la monacazione della ventisettenne Margherita, definita vedova, pochi mesi dopo la morte di Raffaello. Perché Raffaello fu quindi presentato come un amante sfrenato da alcuni e, da altri, come un fedele marito?
C’è chi ipotizza un avvelenamento. Amato e rispettato, Raffello era anche molto invidiato, per la bravura e le grandi ricchezze accumulate. Anche Michelangelo si ammalò, in quella primavera del 1520, ma si trovava a Firenze. C’era forse qualcuno di estremamente invidioso, alla corte papale, da arrivare a tanto? E perché negarlo?
Ad oggi sono in molti a voler far luce su quello che è stato definito l’”Enigma Raffaello”: la direttrice dei musei vaticani, Barbara Jatta, ha dichiarato di voler lanciare il progetto così definito, per riesumare i resti del genio del Rinascimento e analizzarli. Sarebbe d’accordo anche l’Accademia dei Virtuosi del Pantheon che dall’ottocento presiede le sepolture nel monumento romano.
D’altronde, non sarebbe la prima volta che la salma di Raffaello venisse riesumata: nel 1674 Carlo Maratta, restauratore, fece aprire la tomba a proprie spese per ricavare un calco dal cranio del pittore, che servisse da modello per il busto.
Ma il corpo sepolto è veramente di Raffaello?
Come Pierluigi Panza, studioso, raccontava a Dagospia, nel 1833 e nel 1930 la tomba fu aperta e lì dentro fu rivenuto uno scheletro alto 1.64. Quel corpo minuto era veramente di Raffello? Sedici anni dopo la sua morte, scrive il Ligorio, nello stesso sepolcro fu messo anche Baldassarre Peruzzi, e, per altre fonti, anche Annibale Carracci. In un pertugio accanto alla tomba, fu trovato un altro scheletro, acefalo.
Le ossa trovate sembrarono appartenere a più corpi e poi sarebbe stato improbabile che uno scheletro sepolto nel Pantheon tre secoli prima fosse intatto, nonostante tutte le inondazioni del Tevere. A questo proposito, anche Rai Storia concorda sul fatto che i resti recuperati sarebbero stati esigui, eccezion fatta, forse, per il teschio.
Panza racconta poi che c’è anche un’altra tesi secondo cui Raffaello sarebbe sepolto non al Pantheon ma in Santa Maria sopra Minerva. Diversi calchi furono fatti dal teschio di Raffaello e uno fu persino commissionato da Goethe. Ma chi sa dire se veramente quel cranio fosse di Raffaello?
Di cosa morì, dunque, Raffaello? Affaticamento amoroso o avvelenamento o nessuna delle due?
Su che corpo si effettuerebbero, dunque i test per il presunto avvelenamento? O meglio, su quali ossa, visto che del corpo, poco ne rimane?
l mistero permane anche sulla sua tomba. Raffaello negli ultimi giorni della sua agonia sapeva di morire. Chiese lui stesso di essere sepolto al Pantheon, nella terza cappella, quella un tempo occupata dalla dea Venere. Un suo allievo talentuoso fu incaricato di scolpire la Madonna sovra la sua tomba. Maria o, piuttosto, una dea pagana?
I personaggi illustri del tempo venivano sepolti in una bara di piombo. Perché a Raffaello fu assegnata una semplice bara d’abete?
Molti furono i letterati del suo tempo a dedicargli epitaffi o elegie. Ludovico Ariosto gli dedicò un’elegia latina, in cui scrive che egli fu deposto in un’urna di marmo. Finzione letteraria o realtà? se fosse realtà è molto strano che Ariosto non conoscesse la cassa di pietra in cui fu deposto il divino pittore.
Gli enigmi sulla morte del più grande e bellissimo pittore sono infiniti, degni di un romanzo, dal triste finale, in entrambi i casi. Eppure la bellezza di Raffaello trionferà per sempre.
Chantal Fantuzzi