Sono stata stata a Roma dove Donatella di Pietrantonio, vincitrice del premio Strega 2024, con L’Età Fragile presentava nel corso della rassegna “ capolavori della letteratura” un libro vincitore di un altro premio, quello Nobel per la letteratura, 2022, ovvero Il Posto di Annie Ernaux. 

Di Pietrantonio nutrice attenta ai dettagli letterari e dell’anima, e con il suo L’età fragile era certamente perfetta per introdurre il romanzo di Ernaux.  

Il Posto, che secondo la di Pietrantonio, potrebbe chiamarsi anche “Il padre”, è innanzitutto quel che si lascia, ma anche quello a cui si ritorna per ritrovare se stessi.

Per Ernaux è il luogo dell’infanzia, ma anche della relegazione ha una vita che è stata contadina, una vita di stenti, tra la povertà e la paura di non farcela. 

Annie bambina cresce in una famiglia di piccoli proprietari di una bottega, ultimo traguardo del proprio padre. 

Annie sposata da poco perde il padre quando questi muore improvvisamente durante una visita della figlia. 

Annie ormai emancipate lontana dal proprio padre, soffre in senso di nostalgia per aver perduto un genitore molto prima che questi morisse e si sente in colpa per essere riuscita a studiare, emanciparsi, uscire da una classe sociale infima, alla quale invece apparteneva il padre. 

Da questo senso di vuoto, di mancanza, nasce per Annie, la necessità di raccontare, di colmare questa lacuna, di farsi perdonare – scrivendo – dal padre, per il suo abbandono. 

Ma come mettere in prosa una vita di stenti, di necessità? Attraverso un romanzo, forse?

L’autrice ci prova e si ferma a metà: una sensazione di disgusto pervade il suo animo, poiché ella, si rende conto, non ha il diritto di utilizzare l’arte per mettere in prosa una vita di necessità. Così, tutto quello che fa Annie, è semplicemente semplicemente scrivere i propri ricordi, con uno stile scarno, lontanissimo dalla retorica, che rifugge il patetismo, e che gli è costato il Nobel. 

Il Posto inizia con il ricordo dei propri nonni, contadini analfabeti, quindi dei propri genitori, che da contadini riescono a diventare proprietari di un piccolo negozio, con la costante paura di “mangiarselo”. In questo contesto il padre, prima di poter potersi permettere l’acquisto della bottega, lavora prima nei campi, poi in tetre ed alienanti fabbriche,  sino ad arrivare a un punto oltre il quale non si può andare: le colonne d’Ercole, non oltrepassabili, per chi da contadino è riuscito a comprare un negozio. 

Ed infanzia del padre che tocca la scrittrice Annie. Il 900, quello raccontato da Proust, infatti, non riguarda minimamente l’infanzia vissuta dal padre: tra maldestra e cure mediche e superstizioni, l’autrice dice che il tempo di suo padre non era quello dei salotti parigini, ma del Medioevo. 

Annie riesce a studiare, a laurearsi, a passare il concorso per diventare professoressa. Si sposa con un compagno di studi, genera un bel bambino. 

Lei invece è riuscita a fuggire dalla vita che aveva fagocitato suo padre. 

Questa fuga, però, Annie la vede come un tradimento, una sorta di rinnegati della propria classe di appartenenza. E così il libro si tinge di sensazioni di vergogna, per una parlata in dialetto, per essere saliti sulla carrozza del treno di prima classe quando si ha il biglietto di seconda; per aver sbagliato i verbi, per aver starnutito troppo forte. Quindi, le pagine esprimono senso di rivalsa, quando la protagonista riesce a farsi delle amiche che le chiedono in merito ai suoi gusti musicali: jazz o musica classica? Annie è riuscita a entrare in un mondo nuovo, fatto di agi e di tavolini anticati, ma ne rimarrà per sempre sempre il senso di abbandono di un mondo perduto, soprattutto quando il padre, dopo una vita passata a lavorare, muore prematuramente a 66 anni. 

Nell’Età Fragile della di Pietrantonio, invece, la figlia della protagonista, Amanda, decide di riprendersi la propria libertà non studiando, rifiutando la laurea, abbandonando gli studi, andando a far la vendemmia. 

Tra Amanda e Annie si interpone la differenza generazionale delle due giovani donne: l’una può rinnegare il mito della laurea imposto dai genitori, l’altra deve per forza inseguire la laurea per auto-affermarsi. Per entrambe si tratta tuttavia di emanciparsi ma anche di tradire, in fondo le persone che più amiamo: i propri genitori. 

Commento personale: forse non c’era bisogno di così tanto vittimismo.