MODESTA PROPOSTA PER RISANARE I CONTI PREVIDENZIALI: SOSTITUIAMO I RAGIONIERI CON I POETI AL GOVERNO DELLA COSA PUBBLICA
Nei sistemi economici contemporanei quello delle pensioni è indubitabilmente uno dei nodi più spinosi che si trovano a sbrogliare i governi, divisi tra la volontà di pagare i debiti con i propri elettori e la necessità di far quadrare i conti.
Ad esempio in Italia uno dei cavalli di battaglia della Lega di Salvini è stata per diversi anni l’abolizione della nota “legge Fornero” sulle pensioni, tuttavia una volta al governo uno dei suoi esponenti più autorevoli , Giancarlo Giorgetti, attuale ministro dell’economia, si è espresso sulla questione con accenti molto vicini a quello dei tanto criticati governi tecnici affermando che “Chi esce prima paga, lo dobbiamo alle nuove generazioni dobbiamo premiare chi resta al lavoro, non chi vuole anticipare l’uscita”.
Il limite che chi ragiona di lavoro e pensioni adottando una mentalità da ragionieri, si tratti di Giorgetti, Elsa Fornero o Mario Draghi, non comprende che non vi sono “premi” tali da poter compensare l’usura psicofisica del lavoro, il declino delle capacità neuro-celebrali, soprattutto l’assenza di prospettive e di miglioramenti , la cupa consapevolezza di essere ormai giunti alla fine di un tunnel in un punto morto in cui si è troppo giovani per andare in pensione ma troppo vecchi per avere delle prospettive di carriera, di mobilità sociale e arricchimento professionale , condizione che contraddistingue una rilevante fetta di lavoratori una volta raggiunti i cinquant’anni.
Il modo migliore per incentivare i lavoratori a restare nel mondo del lavoro è invece umanizzare il lavoro, come era nei desiderata del Gentile teorico, nei suoi ultimi scritti, dell’ “umanesimo del lavoro”.
All’atto pratico ciò si traduce nel premiare concretamente il merito e la professionalità, l’esatto opposto di quanto si è fatto recentissimamente nel mondo del lavoro italiano dove, tanto per fare un esempio l’ultimo contratto collettivo per i dipendenti degli enti locali di fatto ha abolito il valore legale del titolo di studio adeguandosi a un piatto egualitarismo.
I ragionieri al governo della cosa pubblica (a prescindere dal fatto che spesso e volentieri non sono in grado nemmeno di fare i conti, come dimostra il tragico precedente degli esodati al tempo del governo Monti) non paiono le persone più indicate per raggiungere quest’obiettivo, molto meglio che a gestire l’economia e il sistema previdenziale siano i poeti.
Dobbiamo infatti a un poeta, Gabriele D’Annunzio, la formulazione di quella che resta “la costituzione più bella del mondo “ per adoperare un’espressione abusata, ovvero la “Carta del Carnaro” che avrebbe dovuto reggere la libera città di Fiume nel 1919.
Nel descrivere il funzionamento delle corporazioni D’Annunzio si sofferma su un’ultima, misteriosa corporazione .
“La decima non ha arte né novero né vocabolo. La sua pienezza è attesa come quella della decima Musa. È riservata alle forze misteriose del popolo in travaglio e in ascendimento. È quasi una figura votiva consacrata al genio ignoto, all’apparizione dell’uomo novissimo, alle trasfigurazioni ideali delle opere e dei giorni, alla compiuta liberazione dello spirito sopra l’ànsito penoso e il sudore di sangue. È rappresentata, nel santuario civico, da una lampada ardente che porta inscritta un’antica parola toscana dell’epoca dei Comuni, stupenda allusione a una forma spiritualizzata del lavoro umano: «Fatica senza fatica».”
Oggi il lavoro per troppi è fatica, fisica ma soprattutto morale e psicologica , gran parte dei problemi economici saranno risulti quando sarà ritornato ad essere “fatica senza fatica.
Fabio Traverso