Sono trascorsi 80 anni dall’attacco giapponese a Pearl Harbor che segnò l’inizio del secondo conflitto mondiale per il Giappone e gli Usa. ma gli 80 anni non sono bastati per cancellare dalla memoria degli americani il vile e perentorio attacco alla flotta del Pacifico negli atolli corallini delle Hawaii. Ogni anno Rember Pearl Harbor ripropone al mondo un episodio che sarebbe il simbolo del carattere nazionale dei giapponesi, il disprezzo per la propria vita e quella degli altri, basti pensare agli attacchi suicidi dei kamikaze quando si tratta di difendere l’interesse del proprio paese. Nei decenni scorsi i giapponesi rifiutarono qualsiasi forma di autocritica. Oggi però le cose sono cambiate. Molti si domandano perché Pearl Harbor, altri si chiedono se non fosse legittima difesa contro la trappola del Presidente americano Roosvelt (il nazionalismo in Giappone è tuttora molto sentito).Il cinema ci ha raccontato in cento modi diversi ciò che avvenne il 7 dicembre 1941. La perfetta organizzazione giapponese in primis, un assalto aeronavale e portato a 6000 km di distanza. Eravamo negli anni ’40 del secolo scorso… E poi l’assoluta determinazione nel condurre un attacco così difficile, quasi incosciente. Molti oggi sostengono che dalle carte emerse dagli archivi si dimostra che l’attacco non fu improvvisato. È provato che Washington aveva decifrato il codice segreto giapponese ( il Magic) con il quale si scambiavano messaggi il governo di Tokyo e le ambasciate nipponiche, in primis a Washington. Persino le 13 pagine della dichiarazione di guerra che l’Ambasciatore Nomura consegnò in ritardo a Cordell Hull, allora Segretario di Stato americano, la mattina del 7 dicembre del 1941; tutto noto. Secondo le memorie di Tojo (Generale, Primo Ministro) giudicato dal Tribunale di Tokyo – replica di quello di Norimberga – condannato a morte e giustiziato il 23 dicembre ’48, l’ultima nota (ultimatum) a Cordell Hull era di fatto una dichiarazione di guerra perché le proposte di Roosvelt, ritiro dalla Cina dove il Giappone combatteva con un milione di soldati, riconoscimento del governo nazionalista cinese di Chiang Kai-shek e rispetto dei territori inglesi ed olandesi nel Sud-Est asiatico, erano inaccettabili. Solo così si può spiegare l’allarme rosso americano a tutte le ambasciate a stelle e strisce nelle zone critiche dove il Giappone avrebbe potuto attaccare. Alle Hawaii l’attacco nella Baia delle Perle era improbabile e per questo non si presero sufficienti precauzioni. Peraltro secondo William Honan nel suo volume Vision of Infamy si sostiene che il piano di attacco non è opera originale giapponese, ma bensì di un esperto di strategia militare, un certo Hector Bywater. Nella pratica i fatti ci dicono che colui che ideò il piano, l’Ammiraglio capo della Marina Yamamoto Isoroku, nel 1929, allora Attaché militare presso l’Ambasciata di Washington, lesse “the great Pacific Water” di Bywater ed ebbe contatti con lui approfondendo temi di interesse. Yamamoto, uomo d’élite della Marina, conosceva de visu la forza dell’America, il suo potenziale militare ed industriale ed era assolutamente contrario ad un confronto con gli Stati Uniti. Nei suo scritti risulta chiaro che Pearl Harbor poteva e doveva solo essere una strategia a tempo. Colpire nel cuore la Marina americana del Pacifico e metterla temporaneamente fuori gioco guadagnando tempo per negoziare da una posizione di forza temporanea con Washington. L’embargo americano aveva ridotto le riserve di carburanti e materie prime giapponesi a due-tre mesi. Peraltro i servizi segreti nipponici non erano al corrente che l’obiettivo principale, le portaerei americane, fossero al sicuro al largo e di conseguenza si salvarono. Bywater aveva previsto nei suoi scritti che” con il salto della rana” gli americani, di isola in isola, sarebbero ritornati ad attaccare il Giappone a casa sua, tanto preponderante era il loro potenziale bellico e così andarono le cose di seguito dopo la vittoria della flotta Usa alle Midway. L’attacco a Nord (gli Usa) fu la vittoria della linea dura del Giappone in quel momento storico, capeggiata dai nazionalisti dell’esercito. Gente che non aveva un’idea del mondo e delle forze in campo. Anziché attaccare gli Stati Uniti (con Pearl Harbor) avrebbero potuto assecondare gli inviti tedeschi di attaccare alle spalle l’URSS, anche sulla base dell’accordo tripartitico del marzo del ’41( Germania, Italia, Giappone) cambiando il destino dell’URSS assecondando Hitler che con l’operazione Barbarossa aveva iniziato la campagna di Russia. Altro errore strategico giapponese la firma di un patto di non aggressione con Stalin (13aprile 1941). Il patto liberava sì le forze belliche dalla Manciuria per dedicarsi al resto della guerra, ma fu un grosso vantaggio per Stalin che si sentì le spalle coperte. Vinse il partito della strike south che voleva dire iniziare la guerra contro Regno Unito, Olanda e poi con Pearl Harbor gli Stati Uniti: e furono decisioni fatali. L’operazione Pearl Harbor, abbiamo detto, fu formidabile. Per non dare informazioni la flotta di Yamamoto si raggruppò in una baia delle isole Kurili meridionali poco trafficate le quali verso la fine della guerra vennero occupate dall’URSS che ruppe militarmente il trattato di non aggressione. Le navi seguirono un percorso non ovvio,da nord, sempre in silenzio radio. Partirono il 26 novembre ’41 con attacco previsto il 7 dicembre a migliaia di km di distanza. Il convoglio era poderoso: 6 portaerei, 389 velivoli, due corazzate, due incrociatori pesanti, nove cacciatorpediniere, 3 sommergibili, 8 navi cisterne. Alle 07.49 ora di Honolulu diramò il segnale totsugekiseyo (attaccare), abbreviato in Tora! Tora! Tora! Ovvero tigre, tigre, tigre riferimento ad un antico proverbio giapponese “la tigre va lontano duemila miglia e ritorna infallibilmente”. Lo shock per l’attacco giapponese diede l’opportunità al Presidente Roosvelt di dichiarare guerra al Giappone convincendo gli americani che l’infamia giapponese andava vendicata. Ed ecco per finire la frase con la quale Roosvelt si rivolse ai suoi cittadini l’8 dicembre “Ieri, 7 dicembre 1941, una data che entrerà nella storia come il giorno dell’infamia, gli Stati Uniti sono stati improvvisamente attaccati dalle forze aeree e navali dell’Impero del Giappone”. Inutile dire che quel “improvvisamente”, sulla base dei fatti, potrebbe essere discutibile. V. Volpi |