di Vittorio Volpi
La pandemia in Giappone ha messo pesantemente in crisi il settore, grande dimensione, dell’intrattenimento, ovvero il “mizu shobai”.
Letteralmente si può tradurre con acqua (mizu) e commercio, business (shobai), ma è una metafora di “flottante”, bere e la volatilità della vita. Si riaggancia ad un periodo storico (Tokugawa, 1603-1868) che vide svilupparsi larghe sale da bagno e un largo numero di insediamenti ai margini delle strade che offrivano “bagni caldi e relax sessuali”. Contemporaneamente crescevano in tutte le città e villaggi del paese anche i quartieri per le case da tè con le “famose Geishe” (Gei sta per arte, Sha una persona) e le cortigiane… Una versione da Sol Levante dell’Isaia “mangiamo e beviamo perché domani muoriamo”.
Molte cose sono cambiate a seguito dell’influenza con l’Occidente, adattandosi ai canoni occidentali ed al progresso, come la restaurazione Meiji, ma molto è rimasto vicino alla tradizione. Ad esempio nel mondo delle Geishe c’è un ritorno, soprattutto nelle metropoli e nella ex capitale di Kyoto.
Appena arrivato in Giappone mi aveva colpito in particolare il quartiere di Ginza con le migliaia di bar, clubs, cabarets o il popolare Kabuki-chò a Shinjuku dove c’è più “fuzoku”, l’industria del sesso con soapland, pink salons (locali rosa), centri di massaggi, saune. Tutto offerto da ragazze/i che dipendono dall’andamento del business e dalla vicinanza ai loro clienti.
Bisogna dire che i giapponesi non sono monotoni, o abitudinari. Il politico americano Zbigniew Brzezinski in un bellissimo libro “The fragile blossom” descrisse così i giapponesi: “prussiani di giorno e latini di notte” identificando perfettamente il comportamento sociale, particolare del paese.
Mentre per una minoranza dei “samurai” giapponesi (lavoratori) l’intrattenimento serale è un piacere, per la maggioranza è lavoro.
Un giapponese di successo nel business mi disse “bere insieme alle tue controparti, paga nel tempo”. Bere, mangiare assieme è molto importante perché contribuisce a “sgelare” le relazioni in genere molto formali. Il carattere schivo e riservato con un bicchiere di birra aiuta a comunicare meglio, forse è così anche in Europa.
La controprova è il numero impressionante di locali di tutti i tipi per tutti i gusti e tasche, dove prima di ritornare a casa, mezzi ubriachi o completamente, si gettano le basi per sviluppare piani di lavoro o relazioni sociali.
Il Covid-19 ha arrecato un grave danno non solo economico, ma anche psicologico a molti. Oltre ai locali che si sono ritrovati senza clienti, anche a causa dello smart working, miriadi di ragazze che lavoravano per socializzare ed assistere il “mizu shobai”, il business liquido, sono rimaste a bocca asciutta.
Alla riapertura in giugno i locali hanno dovuto adattarsi alle nuove norme, come per altri business, orari di chiusura, distanze sociali, ma come imporre le regole quando i clienti vanno al bar per stare vicini alle hostess per conversare, bere insieme? Per di più lo Stato giapponese per legge non può imporre, ma solo suggerire provvedimenti.
I locali hanno dovuto inventarsi dei supervisori che quando le distanze fra persone si riducono sotto i due metri, devono richiamare all’ordine con garbo.
Una delle regole più spiacevoli per i locali è quella della lista nominativa dei clienti presenti necessaria per poter ricostruire la rete di contatti degli ipotetici contagiati e ciò è sgradevole perché la rigorosa privacy degli addetti ai lavori va a farsi benedire.
Campai!