La Commissione si è rivolta all’autorevolezza e prestigio di Mario Draghi per avere uno studio
sullo stato dell’UE. L’analisi è stata presentata dall’autore che ci trasmette una serie di
messaggi, molti espliciti e qualcuno implicito.
Quello più traumatizzante, anche se non sorprende, concerne lo stato disastroso nel quale si
trova l’UE.
Il rapporto con l’economia degli USA è umiliante, specie per la pesante perdita nel confronto
degli ultimi 20 anni. Nel 2002 l’economia europea era pari all’87% di quella USA, oggi
raggiunge appena il 70%. Il PIL degli abitanti dell’UE arriva solo ai 2/3 di quello degli americani.
La comparazione ci dà il messaggio implicito: l’UE è stata gestita da politici e burocrati in modo
disastroso, conseguenza anche dell’aver emanato tra il 2019 ed il 2024 13.000 leggi contro le
3.500 negli USA.
È la responsabilità di commissioni e commissari orientati allo statalismo centralizzatore con
l’impatto di esigenze irrealistiche e forzatamente ideologiche dell’estremismo verde.
Le riflessioni di Draghi invitano noi svizzeri a porci un interrogativo. Come mai insistiamo ad
attaccare il nostro vagone, subendo le condizioni dell’UE, sapendo che il treno UE è in tali
pessime condizioni, su binari poco sicuri e con il rischio di deragliare?
Il nostro Ministro degli Esteri ed i collaboratori non saranno dei geni ma non sono talmente
sciocchi da non conoscere la misera condizione dell’UE. Rappresentano con i loro
atteggiamenti la politica della paura, mascherata e trafugata quale espressione di equilibrio e di
conoscenza delle esigenze dell’attualità. Per timore delle rappresaglie – ne abbiamo già avute
senza grande effetto – dei rancorosi burocrati di Bruxelles si arrendono preventivamente.
Che il quadro offerto dall’UE sia desolante lo sapevamo, ma oggi che “il re è nudo” lo afferma
Draghi competente e non certo avverso alla costruzione europea.
Il fallimento totale in materia di immigrazione, con conseguenze pesanti in molti Paesi, gli errori
in materia e come è stata gestita la cosiddetta transizione ecologica, aderendo agli estremismi
del commissario Frans Timmermans, socialista olandese. Una politica dimentica della realtà e
della necessità di tempi di adeguamento per le vetture elettriche, che ha contribuito a mettere in
ginocchio l’importante industria automobilistica europea.
Altro punto debole la convinzione statalista di tutto regolare nei minimi dettagli nell’intento di
mettere in ogni parte di Europa tutto sotto il manto protettivo e ugualitario dell’Autorità UE, ciò
che porta ad ostacolare piuttosto che favorire lo spirito di iniziativa e la concorrenza.
Se fosse un medico Draghi sarebbe un eccezionale diagnostico, ma preoccupa come
terapeuta. Mentre l’aspetto del suo rapporto concernente l’esame e la valutazione del
preoccupante stato attuale è fattuale e convincente la sua ricetta per il rilancio con la famosa
cifra degli 800 miliardi di euro annui necessari convince meno.
Il suo è l’approccio dell’eccezionale tecnocrate, con tutti i limiti della tecnocrazia che crede che
un’autorità competente ed i soldi necessari bastino per risolvere i problemi. Ovviamente spesso
soldi dello Stato e perché no ulteriore indebitamento ipotecando risultati e generazioni futuri.
Uno dei punti deboli dell’UE è la mortificazione della concorrenza dei sistemi, invece di
permettere agli Stati più efficientemente amministrati di svilupparsi autonomamente, si cerca il
livellamento verso il basso in modo da premiare gli inefficienti.
Draghi punta giustamente sul valore dell’innovazione. Dimentica però che ci vogliono gli
innovatori che non sono né i politici né i burocrati. Vuole imitare gli USA ma scorda che Bill
Gates, Elon Musk, Jack Bezos, Mark Zuckerberg, Steve Jobs e migliaia di altri anche a titolo
più modesto non sono mai stati impiegati dello Stato e sono partiti senza particolari aiuti statali.
Gli operatori nel campo dell’economia hanno una capacità di rischio che, giustamente, manca
totalmente al burocrate.
800 miliardi non sono bruscolini, anche se ormai viviamo nell’era dei miliardi. Una raccolta a
livello di UE potrebbe penalizzare certi Paesi e favorire l’inerzia e mala amministrazione di altri.
Cadiamo nella politica di aiuto (spesso senza successo perché non è solo problema di soldi)
per zone sottosviluppate.
Il rilancio dell’Europa, che auspichiamo, non sta nell’aggiungere migliaia di miliardi ai già
numerosi spesi (spesso male e inutilmente) ma nel ricreare un “humus”, una realtà che
favorisca l’espansione della ricchezza (che viene dal mondo economico e dai commerci)
caratterizzato da meno leggi, meno burocrati e maggior libertà operativa. In una parola:
cambiare politica.
Per contro, Draghi per uscire dalla stagnazione propone l’aumento dell’intervento pubblico
tramite imposizioni di politiche industriali e commerciali. L’Economist evoca lo spauracchio del
dirigismo.
Nel marzo 2000 a Lisbona il Consiglio europeo si prefiggeva per l’UE per il futuro decennio “di
diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva del mondo”. Il risultato l’abbiamo
sotto i nostri occhi. Proclami e studi permettono purtroppo di guadagnare tempo concedendo a
politici e burocrati che si arroccano sul potere di continuare con gli stessi errori.
Non illudiamoci, Bruxelles non cambierà politica e il declino continuerà.