DOSSIER VILLA PANZA 3
Anna Bernardini, Direttrice di Villa Menafoglio Litta Panza, si è formata come seicentista sul seicento lombardo, è stata curatrice della mostra da Moroni a Ceruti (dal 1550 al 1750) e ha una forte connotazione artistica legata ai Sacri Monti. “E’ per questo che Panza è stato felice di avermi” dice “per la mia formazione, fondata sul passato, ma che guarda oltre.”
Varese, Colle di Biumo Superiore, 14 giugno 2016. Mi trovo a Villa Panza, in un dialogo d’arte continuo tra settecento e contemporaneità. Intervisto Anna Bernardini, la Direttrice del complesso museale, per indagare i misteri che l’Arte, nel suoi sempiterni segreti, asconde e rivela a chi vi si accosta.
Chantal Fantuzzi: Dott.ssa Bernardini, come vede il passaggio dal seicento al settecento, dal realismo sacrale al classicismo naturalista del rococò che prelude al neoclassicismo, da Caravaggio a Watteau, a Fragonard?
Dott. Anna Bernardini: Sono due percorsi propri della Storia dell’arte e della cultura, ogni cambiamento è un processo della storia, come il passaggio dal barocco al ‘900, colto per l’appunto da Giuseppe Panza. Il conte dirà “sono entrato in Villa Panza e sono subito stato colpito dalla luce.” Ciò che colpisce il conte è quindi la natura, della quale si circonda la villa stessa. Domina Varese, da una posizione regalmente elevata, senza nessun tipo di differenza infrastrutturale, in un’unione architettonica tra diverse epoche, che dal settecento arriva sino all’importata purezza californiana, alla quale, per l’appunto, si ispirò il conte.
Come nasce, dunque, la compresenza di arte contemporanea e architettura neoclassica?
AB Il conte Panza ha avuto la grande capacità di far dialogare epoche diverse. Pur provenendo da una formazione storica conservativa, ha saputo sfruttare la propria vena imprenditoriale, ha saputo intraprendere un percorso verso l’innovazione, compendiando così la cultura storica nella quale si era formato con la modernità. Va in America per un viaggio lavorativo, rimane colpito dalla cultura americana e dall’arte newyorkese. Invita pertanto gli artisti a soggiornare presso la sua dimora.
È quindi un mecenatismo post litteram, l’azione del conte? che si riallaccia alla tradizione rinascimentale?
AB È un nuovo mecenatismo, è la peculiarità stessa di invitare gli artisti a casa propria, è la capacità di integrare cultura e imprenditoria.
Trova che il passaggio nei confronti della tradizione debba per forza essere un’innovazione o possa anche essere una reinterpretazione, una rilettura del passato?
AB L’innovazione è di base. Trovo che si possano fare entrambe, con qualità e genialità, se si ha la coscienza della storia.
Vi sono due correnti artistiche che si pongono differentemente, nei confronti della natura: quello di ritrarre la natura intesa come physis, nella sua forma più perfetta ed ideale, perseguita dal quattrocento di Piero della Francesca e quello invece di ritrarre la natura nella sua imperfezione, e fare del realismo l’arte stessa. A quale di queste correnti trova che la Land Art o l’arte ambientale esposta a Villa Panza si riallacci maggiormente?
AB Da quello che vedo in questa Villa, vi è la staticità geometrica che rispecchia la perfezione della natura, vi è un bilanciamento geometrico perfetto che penso che lei abbia individuato subitaneamente, menzionando Piero della Francesca. È un bilanciamento anche architettonico, oltre che artistico. Non è solo una impostazione estetica. Oltre quest’aspetto vi è, infatti, la spiritualità. Dalle installazioni di Ettore Spalletti, perseguite sotto la supervisione di Giuseppe Panza, si instaura un legame con il quattrocento italiano, non solo con Piero della Francesca ma anche molti altri artisti, quali il Beato Angelico e i suoi predecessori, è una rilettura della perfezione geometrica tardo trecentesca.
Il chiamare artisti negli anni ’70 è un riallacciarsi alla storia. Tuttavia, ha suscitato polemiche il fatto che la Villa, un edificio settecentesco, ospitasse una collezione d’arte contemporanea?
AB Certamente, come continua a suscitarne oggi l’arte contemporanea. Io credo però che si stia finalmente andando oltre, che si stia accettando il cambiamento. L’arte contemporanea è un’arte molto diversa da quella della tradizione, non è statica, ma cambia in continuazione. Basti guardare Ganzfeld, di James Turrel. Al mattino i colori sono freddi, vertiginosi; alla sera più morbidi.
Si potrebbe applicare Eraclito a Turrel, panta rei, tutto scorre?
AB Sì, certamente (sorride n.d.r). Tutto è relativo, tutto si modifica.
Crede che l’arte contemporanea, rispetto all’arte tradizionale, sia incentrata su tutti i sensi anziché, come la sua predecessora, soltanto sulla vista?
AB Oggi è proprio questo aspetto dell’arte contemporanea, ad attirare gli amatori. Si tende ad amare l’arte legata alla percezione. Non come Panza avrebbe voluto.
Cioè?
AB Filosoficamente quella del conte Panza nasce come una ricerca, che poi riesce in una collezione d’arte. La sua indagine è quella del guardare sempre oltre, oltre quello che appare. In un perenne cambiamento del pensiero.
Ritiene che il bello classico, inteso come ideale ottocentesco e sempiterno, sia andato perduto nella modernità? Pensa che il moderno abbia abolito il bello classico?
AB L’arte è costituita da cicli e ricicli, non possiamo dire con sicurezza se il bello sia stato abolito, recuperarlo sarà, in parte, necessario.
L’idea dell’ideale di bellezza artistica è quindi superata o recuperabile?
AB Richiede capacità, disciplina, sforzo. La fatica del saper disegnare si è persa. Abbiamo perso la figuratività. A volte, questa perdita è di moda. Il nostro paese è caratterizzato da una forza straordinaria, credo che debba recuperare la fatica ad intraprendere il disegno. L’arte contemporanea, rispetto a quella classica, si presenta più accessibile, è più facile costruire che disegnare.
Come vede, dunque, il compendio tra questa villa settecentesca e neoclassica e l’arte contemporanea che si trova ad accogliere?
AB Quella di Villa Panza è una finissima architettura assoluta nella sua perfezione. Il rapporto interno/esterno è quello che colpisce di più, nel suo allungamento simmetrico sul parco e nelle sue stanze piene di luce. Tutto ciò si riflette benissimo nelle opere che accoglie, Irwin arriva a rompere il muro, quindi c’è un continuo incontro tra mondo fuori stante e l’interno della villa. Questo incontro si riflette anche sul ponte epocale, in completa armonia tra sette e novecento.
Villa Panza nasce nel Settecento, lo stesso secolo nel quale l’uomo riscopre filosoficamente il suo rapporto con la natura, la sua vita bucolica. Penso, per esempio, al movimento dell’Arcadia, a quel ritorno alla natura idealmente pura e incontaminata, o a Rousseau, che filosofeggiando nelle sue passeggiate, assottiglia il rapporto uomo-natura. Ritiene che la Villa sia esponente del tempo in cui sorge?
AB A Villa Panza questo rapporto dell’uomo con la natura, con il mondo esterno, si riflette, poiché si incomincia a fare esperienza dell’esperienza. Ovvero si prova il senso dell’essere a metà tra cielo e terra.
In questa esposizione, molta arte richiama all’architettura. Cosa pensa della Biennale di Venezia? Ci sono legami artistici con Villa Panza?
AB Ritengo molto interessante il tema dell’architettura sociale e il recuperare la bellezza dei materiali. Questo stesso valore di recupero si riflette nelle opere custodite qui. Le creazioni architettoniche di Irwin, Carrol e Turrel sono tubi di luce fluorescente, con continua innovazione.
Quando Villa Panza divenne la dimora dell’arte contemporanea, vennero spostati beni mobili settecenteschi preesistenti?
AB Parte di questi fanno parte dell’arredamento attuale, come il cassone nuziale di Bartolomeo Scheggia. Altri vennero spostati, ma in minima parte. C’erano grandi quadri che ora sono all’ingresso, c’era il piccolo quadro a soggetto sacro che proveniva dalla cappella della Villa è qua, nel corridoio fuori (dallo studio in cui siamo, n.d.r.) che il Conte Panza ha ritenuto idoneo spostare; diciamo che quest’esposizione è stata e continua ad essere un percorso/avventura, dall’ottocento sino ai giorni nostri.
È quindi questo il prodigio dell’arte, di instaurare un dialogo continuo tra le epoche?
AB Certamente, un dialogo di bilanciamento, un ponte tra epoche diverse, tra linguaggi diversi. C’è un filo rosso, che va dagli anni ’80, agli anni ’90 sino ai giorni nostri, in una chiave di sempre nuova dinamicità. Poiché l’arte, nella sua peculiarità, è soprattutto una chiave di accesso e continuità.
Intervista a cura di Chantal Fantuzzi.
Esclusiva di Ticinolive. Riproduzione permessa con citazione della fonte.