CRISPR: è ancora possibile accettare la malattia nell’era dell’edonismo?

Intervista a cura di Liliane Tami, Filosofa della Scienza.

Mons. Vincenzo Paglia, nato nel 1945, è presidente della Pontificia Accademia per La vita, Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II e consigliere spirituale della Comunità Sant’Egidio. È autore di decine di saggi su importanti tematiche biotiche. Alcuni dei suoi libri più interessanti sono “Sorella Morte. La dignità del vivere e del morire”, “La forza della Fragilità” e “Storia della povertà”. Il suo impegno istituzionale per tutelare la vita, dal concepimento al reparto di cure palliative, è preziosissimo. L’Accademia Pontificia per la Vita, infatti, organizza incontri, conferenze e gruppi di lavoro per comprendere e indirizzare verso al bene il progresso scientifico e i costumi sociali.  Ad esempio il 20 febbraio 2023 era stato organizzato un convegno di risonanza mondiale con Andreas Reis, che si occupa di etica e governance per il WHO (World Health Organization) e Katalin Karikò per parlare di editing genetico,  tecnologia CRISPR e intelligenza artificiale nel campo della cura. In questa intervista parleremo della Pontificia Accademia per la Vita e della sua importanza nell’orientare usi e costumi sociali nella post-modernità.

Mons. Vincenzo Paglia
Giovanni Paolo II con Madre Teresa di Calcutta

Mons. Vincenzo Paglia, innanzitutto complimenti per il suo impegno: può parlarci, per iniziare, del suo ruolo nell’Accademia Pontificia per la vita? Di cosa vi occupate?

PAGLIA. Papa Francesco, in sintonia con l’ispirazione originaria di Giovanni Paolo II, che ha voluto e fondato la Pontificia Accademia nel 1994, oggi ci chiede di essere luogo di confronto e dialogo tra società e culture, a servizio del bene di tutti. Cechiamo di partecipare alla riflessione sui diritti umani, che costituiscono uno snodo centrale nella ricerca di criteri universalmente condivisibili. È in gioco la comprensione e la pratica di una giustizia che mostri il ruolo irrinunciabile della responsabilità nel discorso sui diritti umani e la loro stretta correlazione con i doveri, a partire dalla solidarietà con chi è maggiormente ferito e sofferente. Questo impegno si svolge su diversi fronti, a partire da quello delle nuove tecnologie oggi definite “emergenti e convergenti”. Esse includono le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, le biotecnologie, le nanotecnologie, la robotica. Avvalendosi dei risultati ottenuti dalla fisica, dalla genetica e dalle neuroscienze, come pure della capacità di calcolo di macchine sempre più potenti, è oggi possibile intervenire molto profondamente nella materia vivente.

Leonardo Conti era un medico nazionalsocialista, nato in Canton Ticino, che per Adolf Hitler ha organizzato l’operazione T4. Il suo obbiettivo l’uccisione di tutte le persone diversamente abili ed ammalate. Il terzo Reich aveva giustificato il genocidio degli ammalati col concetto di Gnadetöd, ossia morte dolce. L’eutanasia oggi si avvicina pericolosamente a questo concetto: lei cosa ne pensa del fatto che in Olanda esista il Groningen Protocol, ossia un documento ufficiale che autorizza l’eutanasia dei neonati ammalati?

PAGLIA. Certamente il caso dei neonati gravemente ammalati è particolarmente delicato, perché occorre individuare il giusto equilibrio fra i trattamenti da somministrare e quelli da evitare, per scongiurare una insistenza eccessiva, per di più con persone che non sono in grado di esprimere la propria opinione. Tuttavia, a partire dal presupposto di favorire al meglio il bene integrale della persona, con una comunicazione onesta tra medici e genitori, nella grande maggioranza dei casi si riesce a trovare una soluzione accettabile per tutti, senza ricorrere alla soppressione della vita.

A questo proposito è bene chiarire che nella riflessione della Chiesa non si è mai sostenuto che la vita biologica vada mantenuta a tutti i costi. La differenza che va messa a fuoco è quella tra sopprimere la vita e lasciare che la morte accada. Mentre la prima è eutanasia, moralmente illecita, il secondo può essere lecitamente praticato. Quando? Quando la morte consegue alla sospensione di trattamenti non proporzionati. Il criterio della proporzionalità si colloca al punto di convergenza tra due ordini di fattori, entrambi necessari per valutare i trattamenti da somministrare. Sul primo versante si trova il personale sanitario, con la propria competenza professionale. I medici dispongono delle conoscenze per valutare l’appropriatezza clinica dei trattamenti, considerando le loro caratteristiche proprie (reperibilità, complessità di utilizzo, costi, rischi) in relazione ai benefici attesi in termini di salute e di benessere del paziente. Questi aspetti non sono però sufficienti. Per porre un giudizio di proporzionalità, occorre considerare anche un secondo ordine di fattori, che riguarda l’onerosità e la sostenibilità per il paziente degli interventi indicati. E questa è una valutazione che può essere svolta solo dalla persona malata, che ha consapevolezza delle forze fisiche e psichiche di cui dispone. Quindi un giudizio di proporzionalità non può essere posto senza il coinvolgimento del paziente.

In Svizzera, pochi mesi fa, è scoppiata una polemica a causa di Sarco, la capsula del suicidio. Cosa può spingere le persone, secondo lei, a scegliere il suicidio assistito? Cosa si potrebbe migliorare in campo sanitario-assistenziale affinché gli anziani e gli ammalati non vengano sedotti dall’idea del suicidio?

PAGLIA. Anzitutto bisogna rendersi conto che molto spesso le persone gravemente ammalate temono la sofferenza, sia fisica sia psichica. E oggi nella società si sviluppano forme di sofferenza mentale – di grave depressione – che sembrano refrattarie ad ogni trattamento. Da qui le soluzioni – che non sono ‘soluzioni’ – come lei indica. Cosa possiamo fare? Nessuno deve venire abbandonato e nessuno deve sentirsi abbandonato. È il principio che ispira la riforma dell’assistenza alle persone anziane che in Italia ho proposto e il governo ha varato nel 2023. Per dare una Sanità umana a chi è più fragile.

Sarco, la capsula del suicidio

Se da un lato vi è la ricerca della morte, dall’altro vi è la ricerca spasmodica della vita a tutti i costi. Lei cosa ne pensa degli organoidi cerebrali che, nelle loro provette, muovono gli occhietti per seguire gli stimoli luminosi? L’editing genomico solleva molte problematiche etiche. La tecnologia CRISPR, ad esempio, muta il DNA di un essere umano vivente e questa mutazione viene trasmessa agli eredi. Attualmente questa tecnologia sembra utile per curare malattie genetiche come l’anemia falciforme. Vantaggi e svantaggi…come si possono giudicare queste operazioni alla luce dei Vangeli? Da un lato la compassione e la carità vorrebbero spingere la scienza a trovare una cura per tutto, dall’altro non possiamo cascare nella tentazione transumanista di diventare perfetti cyborg OGM eternamente giovani, sani e belli. Secondo lei la società edonista in cui siamo immersi è ancora capace ad accettare la malattia e la vecchiaia in modo equilibrato col progresso scientifico?

PAGLIA. La scienza e la tecnologia collegata portano ogni giorno a nuovi sviluppi. Ma sono tutti leciti? Sono possibili, certo. Ma a che prezzo? E perché? Scienza e tecnologia devono andare di pari passo con una riflessione etica, per capire il senso di quello che stiamo facendo. Viviamo in un mondo dove impera una visione individualista della vita, quella che chiamo ‘egolatria’, a scapito di una dimensione collettiva, comunitaria, fatta di relazioni che danno significato all’esistenza. Così il cosiddetto progresso e la suggestione della moda, dei media, spingono a considerare la vita un eterno successo, un’eterna era di bellezza e benessere. In realtà sappiamo – tutti lo sappiamo! – che non è così. Siamo persone che nascono, vivono, muoiono alla fine. Certo è giusto e doveroso un impegno medico e scientifico per curare, e malattie un tempo mortali oggi per fortuna non lo sono più. Anche la genetica può collaborare e, occorre precisarlo, l’editing genetico sulle cellule somatiche non si trasmette alla prole. Ma più profondamente, come la Chiesa insegna – insieme alle religioni –, il destino degli uomini e delle donne non si conclude nel percorso terreno. La morte è il segno che la vita va vissuta all’insegna di una ricerca permanente del senso dell’esistenza, in collegamento con gli altri. Se pensiamo a una vita segnata dall’individualismo, dalla ricerca spasmodica del successo individuale, abbiamo una visione triste. Ecco perché le dicevo che non tutto quello che si può fare può essere lecito. Se la società ci abbaglia proponendo modelli di vita e di comportamento alla portata di pochi, dimenticando che la maggior parte dell’umanità vive in condizioni di povertà, di mancanza di cure, di miseria, allora il senso della nostra vita dovrebbe esprimersi nell’impegno.

Gesù cristo che cura gli ammalati

Nel mondo sono state conseguite circa 70 nascite per mezzo del trapianto d’utero. Tale pratica genera problemi sia nella donatrice – se in vita – che nella ricevente che, di conseguenza, anche al bambino. Come mai la scienza si accanisce a fare simili esperimenti sebbene l’adozione di un bambino risulterebbe più semplice?

PAGLIA. Mi sembra che il grande problema della scienza e della tecnologia, come accennavo prima, sia di avere sganciato le possibilità dall’etica. La domanda sollecita esattamente tale problematica. La vita nuova nasce dalla relazione di due persone, un uomo e una donna, che nel loro progetto di vita contemplano la possibilità di diventare genitori. È qui che trova il suo contesto più adeguato al suo sviluppo. E se non è possibile avere un figlio in modo naturale, ci si rivolge alle tecnologie riproduttive, che risultano problematiche nella misura in cui disarticolano la genitorialità, separandone le diverse dimensioni: genetica, gestazionale e socio-educativa. In questo senso, meglio sarebbe percorrere ad altre vie, come l’adozione, che è una pratica da incoraggiare, a fronte di tante situazioni di abbandono di minori che gridano allo scandalo.

Organoidi cerebrali

 L’Italia sta soffrendo gravemente il problema delle culle vuote. Come si potrebbe valorizzare di più la “Teologia del Corpo” di Giovanni Paolo II tra i giovani per invogliarli a rispettare il proprio corpo e vivere relazioni profonde e durature? A livello di pastorale, come potrebbero fare i sacerdoti nelle parrocchie per fornire dei rudimenti di educazione affettiva agli adolescenti?

PAGLIA. È un problema etico, politico, culturale, questo a cui lei accenna. La linea della Chiesa è molto precisa e chiara, da sempre. Noi diciamo sì alla generazione, ad una visione della vita che è fatta di relazioni significative e importanti, ed è basata sulla famiglia come un’autentica scuola di vita, di relazione, di ‘addestramento’ e preparazione al futuro. Non a caso il documento post-sinodale Amoris Laetitia parla della Chiesa come una ‘famiglia di famiglie’. Per indicare che questa prospettiva relazionale è fondamentale e fondante. La linea della Chiesa è chiara, dunque. Ma non possiamo né vogliamo ‘imporla’. I credenti la seguono. E dicono ai governi, alle diverse sensibilità culturali presenti in ogni paese, che naturalmente senza una politica verso le famiglie e i giovani, non potrà esserci un futuro. La Chiesa contribuisce con il suo impegno di formazione delle coscienze. Poi ognuno – politici, gruppi sociali e culturali – dovrà fare la propria parte.

Per concludere ci parli un po’ del concetto di Sinderesi, ossia la capacità della coscienza di discernere naturalmente il bene dal male. Perché questo concetto teologico è importante anche oggigiorno ?

PAGLIA. Penso che dobbiamo guardare avanti. Guardare avanti significa impegnarci a riflettere, ad approfondire i problemi, a studiare soluzioni e impegnarci in una riflessione etica. Quanto alla coscienza è importante sottolineare come la riflessione etica ha elaborato ulteriormente il suo significato, recuperandone anche la portata biblica: non si tratta tanto di una funzione che applica la norma alla singola situazione, ma del centro della persona, capace di decidere in modo responsabile di sé per compiere il bene. Abbiamo sviluppato questa prospettiva in diverse pubblicazioni della Pontificia Accademia per la Vita, rivolte a ogni donna e uomo di buona volontà. Mi riferisco ai nostri due libri “Etica Teologica della Vita” e “La Gioia della Vita”, editi dalla Libreria Editrice Vaticana, in cui forniamo una rilettura profonda della teologia morale. E penso al più agile libro “Piccolo Lessico del fine-vita”, anche questo edito dalla Libreria Editrice Vaticana, in cui sui temi fondamentali e delicatissimi del fine-vita, appunto, presentiamo la visione del Magistero. Chi ha davvero desiderio di comprendere cosa dice la Pontificia Accademia per la Vita, nella scia del Magistero, potrebbe certamente partire da qui.

Piccolo lessico del fine vita
San Tommaso