In questa intervista faccio uso in via eccezionale del familiare “tu”. Chi è Chantal Fantuzzi? 21 anni, di Parma, studentessa in Lettere classiche (molto avanti con gli esami), con la passione della storia e del giornalismo. Chantal scrive di Trump, di Macron e di Salvini? Probabilmente sì ma… ha scritto anche una tragedia. Anzi tre. Della sua prima “La sposa dei ghiacci” parlerà a Poestate 2017, la sera del 3 giugno con inizio alle 18.
La vicenda è lunga e complessa ed ha come elementi centrali, attorno a cui tutto ruota, il Potere e l’Amore. Se togliete queste due forze indomabili, queste due seti insaziabili, che cosa resta della vita e del mondo? Quasi niente..
Un’intervista di Francesco De Maria.
* * *
Francesco De Maria Cara Chantal, dimmi una cosa. C’è qualcuno al giorno d’oggi che scrive… come scrivi tu? (penso alle tragedie in stile “alfieriano”). Perché sei così “speciale”?
Chantal Fantuzzi Se ci fosse, mi piacerebbe conoscerlo! Due anni fa ho scritto alcuni versi sorti nella mia mente, attorno ai quali ho gradualmente strutturato diverse scene, in una cornice di una trama che sorgeva quasi da sé. Non potevo immaginare che da quei versi sarebbe sorta una tragedia in V atti che adesso sto per presentare al festival internazionale di POESTATE! I versi in questione, che diedero vita alla tragedia, sono La sposa giaceva pallida, distesa / sul carro nuziale, accasciata come /un giglio senza stelo. (Prologo, Messaggero) e non donna sanza cuore / ma dal cuore di ghiaccio / e quando quei si spezza/ non reca a lei dolore /ma, impercettibilmente, muore. (Atto IV, scena terza, Gherardo). La tragedia, accolta come riscrittura alfieriana dal collegio accademico che cura la rivista internazionale Parole Rubate. Rivista Internazionale di Studi sulla Citazione – Purloined Letters. An International Journal of Quotation Studies è uscita in pubblicazione il 25 maggio di quest’anno nel numero 15 del fascicolo, visibile anche online, dedicato al teatro. Concedimi, caro Francesco, di confessarti che vedere il proprio nome accanto a Professori della Sorbona e di Avignone, di Ruen, sino alla Germania e al Canada, fa un effetto elettrizzante! In tutta sincerità non so spiegarti come mai scriva tragedie. La Sposa dei Ghiacci dev’esser nata, perché doveva nascere.
Video-promo realizzato da Massimo Pierazzi per LaSposadeiGhiacci (Taylor Swift – Out of the Woods)
L’Alfieri ha scritto numerose tragedie. Tu sai quante? E qual è la tua preferita?
Ben 19! E io, sinora, solo tre! Trovo Vittorio Alfieri geniale, l’ho adorato dal primo momento in cui l’ho studiato, per il suo animo indomito, la sua personalità mai soggiogata alla società (condivido appieno il suo schiavi spregiar ed aborrir tiranni), la condanna che egli volge ai suoi tempi, intessuta nella storia e nel mito, e tuttavia tesa verso un futuro velatamente intriso di speranza. La tensione del titanismo dei suoi personaggi, talvolta superficialmente interpretata come unicamente funzionale allo svolgimento delle tragedie, è invece la medesima senshut, umanissima e trascendente al contempo, dell’intellettuale consenziente (anche dei giorni nostri) che non trova riscontro in una società grigia e globalizzata, dimentica della metafisicità della storia. E la tragicità finale, simbolica se trasposta sul piano reale, è funzionale, quasi antifrasticamente, ad andare avanti. Spesso occorre rompere, per poi procedere. Ed è anche per questo che lo trovo d’un’attualità incredibilmente intensa. È un vero peccato che tutte le tragedie dell’Alfieri non siano, oggi, in commercio. Mi sono informata, praticamente sono andate fuori serie. È come se volessimo obliare un glorioso passato, in nome di uno sconosciuto nichilismo… Andrebbero rilanciate, messe in vendita in evidenza e, perché no, per quanto riguarda le (ardite) compagnie teatrali, messe in scena, per rilanciare la classicità. La rivoluzione è anche il classico che torna a sprigionare energia, no?
Le mie preferite sono l’Antigone, la prima che ho letto, a sedici anni, per un confronto con l’omonima opera di Sofocle, e Il Filippo, non più greca ma spagnola, nella quale ho trovato un’ispirazione a posteriori per La Sposa dei Ghiacci. Il Filippo nella cultura generale è stata oscurata dall’omonima opera di Schiller e dal Don Carlos di Verdi, e tuttavia penso che andrebbe riscoperta per la straordinaria tensione che, a distanza di tre secoli, trasmette con perfetta suspence degna di pathos. Tutto ei mi ha tolto il di, che te mi tolse dice Don Carlos a Elisabetta, (Atto I, v 110) verso che, a mio parere è emblematico della straordinaria capacità di coniugare in un verso umanità e virtuosismo poetico, rimpianti passati e vane speranze future.
Sono andato a leggermi l’avventurosa vita di Alfieri (ero alquanto ignorante sul tema). Ho trovato molti amori (spesso con donne sposate) e un amore dominante, durato sino alla morte, con una lady di alta nobiltà, la contessa di Albany. Tu conosci la vicenda?
Ho letto la Vita di Alfieri (la sua autobiografia, n.d.r): un coinvolgente e celere quadro settecentesco di una personalità unica ed energica. In essa, tra i numerosi intoppi amorosi così come li chiamava lui, c’è un divertente episodio del 1771, quasi cinematografico in cui a Londra s’innamora, ricambiato, di una lady già sposata, Penelope Pitt, finendo a duello in una sera al Green Park col marito di lei, la quale poi divorzia, pur senza convolare a nozze con l’Alfieri. Un bene, per lui, che nel 1777 a ventotto anni incontra la venticinquenne Luisa Stolberg, contessa d’Albany, occhi neri, capelli biondi e pelle candida. Gli sarà compagna di vita, e dopo la di lui precoce scomparsa, sarà lei a commissionare al Canova la marmorea e austera tomba in Santa Croce a Firenze, che sarà cantata dal Foscolo nei Sepolcri. Si, conoscevo questa storia e sono stata a Firenze a novembre, quando per Ticinolive ho intervistato Marion Maréchal – le Pen. Con me c’era anche il vignettista Alfio Krancic, che avevo intervistato, quando ancora non lo conoscevo, sempre per Ticinolive, l’estate scorsa. Quella mattina, a Santa Croce, ho colto l’occasione per meditare sulla sublime statua dell’Italia, con la stella d’Esperia in fronte, che piange la scomparsa del poeta. L’Italia oggi è avara dell’illustre ingegno.
Re, regine, cavalieri e maghi, incantesimi… Esistono queste cose? Sono esistite nel passato? Hanno un significato simbolico?
Ritengo che ogni cosa del mondo sensibile abbia un corrispettivo nel mondo delle Idee, e pertanto esista nella sua forma ideale. Il ciclo arturiano, da me amatissimo, è parte fondante della civiltà occidentale, così come lo è l’Eneide di Virgilio, sul quale sto lavorando molto per la tesi di laurea. Così lo è stato l’Impero romano, così il medioevo occidentale. La concezione metafisica dell’eternità dell’arte e della spiritualità la si trova sia nel tempio di Saturno nel Foro Romano (quattro colossali colonne, testimoni dell’immenso Impero che fu…) sia nelle cattedrali gotiche di Chartes (costruita su un tempio romano, che a sua volta sorgeva su un pozzo druida), e di Saint Denis (nel quale è racchiusa la sacralità della Francia dai gigli bianchi, nonostante le devastazioni delle furie dei rivoluzionari).
Tu sei una giovane donna moderna? Una giornalista moderna? Che cos’è per te il passato?
Assolutamente! Sono fan di Katy Perry e Taylor Swift, prima che si sciogliessero seguivo in Fun e Nate Ruess. Pratico atletica e ginnastica, suono il flauto traverso. Ho intervistato il filosofo Fusaro e l’economista Borghi, la deputata Le Pen e il critico d’arte Daverio… sì, penso di essere inserita nel mio tempo senza però mai dimenticare la Storia. Il Passato è per me la base fondante del presente e anche del futuro, con la storia ho un rapporto molto stretto: faccio un esempio. Vedendo edifici moderni specchiarsi da un ponte bombardato nel ’44 e oggi ricostruito, su un fiume che ora come allora scorre, non posso fare a meno di pensare quali case si specchiassero in quello stesso fiume senza però la stessa acqua, solo una settantina d’anni fa, e domandarmi quanto sia stato perduto, quanto si sarebbe potuto mantenere. Non possiamo immaginare di andare avanti, se non salvaguardiamo – e concretamente mi riferisco alle sovrintendenze archeologiche – le vestigia di quale passato senza il quale, oggi, non saremmo quel che siamo.
Tu presenterai a Poestate la tua prima tragedia intitolata “La Sposa dei Ghiacci”. Puoi raccontarcene sinteticamente la trama?
Premetto che è difficile raccontarla sinteticamente, poiché ha un intreccio alla stregua di un nodo celtico. Sto infatti pensando a come raccontarla al pubblico di POESTATE nella mezz’ora del mio intervento, intercalandovi i versi della tragedia vera e propria. Mentre la tragedia classica ha un intreccio leggero e una tensione molto forte, la mia, oltre a non rispettare le tre unità aristoteliche di unità, azione e luogo, ha anche un intreccio forte, il che la rende una sorta di avanguardia, nonostante l’abbia volutamente e naturalmente molto legata alla tradizione.
La Sposa dei Ghiacci è una tragedia basata sulla dicotomia dello scontro tra amore e potere, purezza e slealtà, speranza e disillusione.
La brama di potere si snoda simbolicamente tra le figure del protagonista e dell’antagonista, Ruggero e Rinolfo. Ruggero, giovane principe sdegnoso dei sentimenti e incurante degli affetti, che, consigliato da una misteriosa Donna Velata, sceglie di sposare Esteria, (figlia del re dei Ghiacci solo perché, si dice, senza cuore, e per questo esentata dai rischi dell’amore) e che avvelena il re, suo padre, per succedergli immediatamente. Sull’altro campo Rinolfo, dopo l’improvvisa morte del Re dei Ghiacci, suo padre, muove guerra, consigliato dalla stessa Donna Velata, a Ruggero per riprendersi la dote della sorella e usurpare il trono del cognato.
L’amore puro e ideale si libra attraverso le figure di chi è lontano, ma non per questo estraneo, dalla guerra familiare: la principessa Esteria e il consigliere Gherardo. Vedendosi fronteggiare fratello e marito, Esteria, dal cuore troppo nobile per comprendere l’umana cupidigia, trova conforto solo nell’onorevole amico Gherardo. A lui confessa di non essere, come tutti credono, senza cuore, bensì dal cuore di ghiaccio e, per questo, non incapace di amare o di soffrire, ma, come il ghiaccio è tanto gelido quanto facilmente condannato a sciogliersi, se toccato dal fuoco, ella è capace solo d’amare o soffrire follemente.
Come l’amore vero le può sciogliere il cuore, così il dolore glielo può spezzare. Dal canto suo Gherardo le confessa d’amarla da sempre e, scoprendo d’esserne ricambiato, le promette di domandare a Ruggero di scioglierlo dal giuramento di fedeltà e di cedergli la sposa, da lui veramente amata.
La cupidigia uccide l’amore. Ruggero accecato dalla gelosia, colpisce a morte l’amico Gherardo. Poi, incredulo che Esteria sia capace d’amare, ordina ad un messo di recarle la notizia della di lui morte, per vederne la reazione. Esteria, appresa la notizia che Gherardo giace morente, si suicida, gettandosi dalla torre più alta. Gherardo, appresa la morte dell’amata, muore, nella speranza di ricongiungersi, per sempre, a lei.
L’avidità stronca la vita. Ruggero e Rinolfo si affrontano in un ultimo duello, rinfacciandosi le proprie colpe, le proprie calunnie e accuse. I due giovani principi cadono entrambi, feritisi a vicenda a morte. A causa del pegno pattuito con la loro segreta consigliera, la Donna Velata, mentre Rinolfo, pur vincitore, muore, Ruggero è condannato all’immortalità, a regnare su un regno vuoto e obliato, privo di suo padre, del suo consigliere, della sua sposa. La Morte si porta via Rinolfo, mentre la Donna Velata si avvicina a Ruggero.
La causa di tutto ciò si rivela tuttavia non essere la Donna Velata, consigliera d’inganni, poiché ella non è un’entità esterna ed estranea all’uomo, ma vive in esso ed in esso, nei suoi pensieri d’avidità, si compendia. In un ultimo serrato dialogo tra Ruggero e la Donna Velata emerge l’illusione del potere e la vanità della cupidigia. Infine ella disvela il proprio volto, sparendo in un alone di mistero e di morte e rivelando la sua non esistenza, illusione dettata soltanto dalla brama di potere degli uomini e, per questo, da essi usata come scusante.
Ruggero seppellisce i parenti ai quali ha causato la morte, piangendo, amaramente pentito, e accetta la sua condanna.
La tragedia si chiude con l’intervento di coloro che, evocandola, vi avevano dato inizio, ovvero le due entità divine, il Messaggero e l’Ancella, che rivelano poi essere Ermes e Iris, messaggeri degli dei, incolumi alle disgrazie del mondo, mosse solo dagli uomini, i quali, incapaci di scegliere il bene, s’illudono d’affidarsi al fato, in nome del potere.
Come mai Armida Demarta ti ha invitata? E come l’hai conosciuta?
Luglio dell’estate scorsa, Lugano. Con te mi avvio al bar di Lugano ove ci aspettava Mattia di Mattinonline (che conoscevo di già) e Armida Demarta, con la quale ho fatto subito conoscenza, citando un verso del Tasso, che di Armida nella Gerusalemme Liberata fa un eroico personaggio femminile. Le ho citato un episodio nel quale Tancredi (mi pare) si volge verso Clorinda morente e A dar si volse vita con l’acqua / a chi col ferro uccise. E così abbiamo iniziato a parlare dell’importanza della poesia.
Come ti immagini Poestate? Che esiste da più di 20 anni e che (lo so) non hai mai avuto occasione di vedere?
Un onore esser stata ammessa a un festival internazionale. Se penso che l’anno scorso, da esterna, scrivevo articoli di cronaca a riguardo, senza conoscerlo di persona mentre quest’anno vi partecipo aprendo la terza serata… beh non posso che immaginarmelo … scintillante, come il sole che ne è il logo. Coincidenza carina: quest’anno partecipo POESTATE è alla ventunesima edizione e io, come il festival, ho ventun anni.
Hai già preparato la tua presentazione? Quanto tempo ti è stato concesso? Che vestito indosserai?
Farò una lettura recitata, non, tuttavia, previa una schematica preparazione. Quando tengo conferenze a Parma mi preparo ovviamente i contenuti (che solitamente mi stanno a cuore) ma non schematizzo quel che devo dire. Ci tengo alla spontaneità. E siccome La Sposa dei Ghiacci mi è scaturita dal cuore e dalla mente probabilmente frutto di un mio background culturale interiorizzato) così la presentazione scaturirà dall’animo. È anche questo che voglio trasmettere al pubblico. Ho mezz’ora di tempo, dalle 18 alle 18.30 del 3 giugno. È tanto, se ben impiegata, ma si tratta anche di virtuosismo offrire cinque atti in trenta minuti! Ed è anche questo che rende ancor più accattivante la mia opportunità. Veramente un’enorme opportunità. Indosserò un vestito bianco di pizzo dai ricami rinascimentali, e mi presenterò come nelle foto di lancio (per le quali desidero vivamente ringraziare Massimo Pierazzi, per la sua preziosa arte, autore anche della videoclip-promo), con una coroncina di rose bianche (non solo perché vada di moda in questo periodo, ma anche perché è un richiamo alle divinità classiche che aprono e chiudono la tragedia) e sandali grecizzanti.
Sei impegnatissima negli studi universitari, a Parma, in Lettere Classiche. Come vanno i tuoi esami? Quanto ti manca alla laurea?
Sono impegnatissima e mi stanno a cuore, sono la croce e la delizia del mio presente. Gli esami vanno, ormai manca veramente poco, anche se, come la dama velata della mia tragedia, preferisco mantenere un velo su questi preziosissimi segreti, che comunque a breve, come spero, saranno svelati. Posso dire che la tesi che sto scrivendo è Sperimentale, in filologia latina, su Rutilio Namaziano, l’ultimo poeta pagano dell’impero (siamo nel V secolo, sotto l’imperatore Onorio) e in particolare sugli influssi, in esso, di Virgilio. L’uno canta la fondazione di Roma, l’altro ne canta il tramonto, dal primo prendendo ispirazione. Due viaggi a confronto, quello di Enea che da Troia giunge a Roma, per fondarla, quello di Rutilio, che da Roma torna in Gallia, per rifondarla. Interessante vero? Mille iuncturae e loci similes da indagare, mille critici, mille ricerche, che rendono la rosa del latino spinosissima e per questo, credo, invogliano ancor più a coglierla, per entrarne in possesso.
Che cosa sono per te il latino e il greco?
Patrimonio estinto e al contempo eterno, difficoltà e bellezza estrema, fatica e soddisfazione, odi et amo. (dicotomie ossimoriche a mio parer estremamente affascinante).
Nel patio di Palazzo civico, dove presenterai “La Sposa dei ghiacci”, si legge la scritta “Studium quibus arva tueri”. Non la capisce nessuno! (o quasi…)
La prima volta che ho visto la scritta sono rimasta un po’ esterrefatta anch’io. Di Virgilio si ricordano altri versi. Poi, giusto quest’anno, scrivendo la tesi, studiando per una comparazione le Georgiche, al verso 21 del libro I ho letto “dique deaque omnes, stuidium quibusarva tueri” e mi son sovvenuta del Patio palazzo civico, splendente nel suo giallo ottocentesco in una giornata d’oro di sole e azzurra di lago. Ora posso finalmente dire di conoscerla: è una frase molto bella, è un’invocazione agli dei e alle dee, “che hanno cura di conservare i campi”. Coniuga cultura con agricoltura, religiosità pagana e invocazione poetica con quesiti rurali, arcaici e silvestri. Avete scelto una frase poco conosciuta ma che presenta con finezza ed emblematicità un Virgilio ancestrale.
Tra Parma e Lugano. 1) Descrivi la tua città; le sue bellezze, la sua cultura; e le sue debolezze. 2) Come vedi Lugano, il Ticino, la Svizzera?
Parma, un pianoforte suona un’aria verdiana, dal Teatro Regio sventola la bandiera ducale crociata gialloblu, Maria Luigia osserva bella e ieratica dal poster del museo a lei dedicato, dalle vetrine dei negozi fanno capolino i profumi alla violetta, mentre nel cielo si staglia la cuspide del Duomo e l’ottagono rosato e esoterico del Battistero. Sarebbe bello se fosse ferma così, la realtà. Poi vedo la Pilotta, quel che brilla ai suoi piedi sono cocci di vetro infranti, e a bivaccare non sono certo i turisti. L’immigrazione selvaggia ha colpito ancora. Il palazzo ducale, bombardato nel ’44, mai ricostruito, così come il colossale monumento a Verdi, letteralmente smembrato, lasciano un vuoto che, se colmato, attirerebbe molto più turismo (non trascurabile fonte di sostentamento civico) ma che nessuno osa riempire. Meglio costruire casermoni di cemento, che ricostruire la storia. Coi primi ci si guadagna, coi secondi… chissà. A Parma non è facile fare cultura, anche se, dal Parmigianino al Correggio, al Principe di Parma, a Napoleone al Neipperg di spunti e opportunità ne avremmo eccome! Ed è in questo che occorre, a parer mio, anzitutto cambiare: offrire ai volonterosi la possibilità di fare. Fare cultura, anziché reprimerla. Lugano è moderna, attiva, energica, soprattutto pulita. Sia in estate che in inverno mi è sempre parsa spumeggiante, piena di iniziative, solare. L’aria è tersa, per nulla paragonabile allo smog della pianura padana. La viabilità decisamente migliore. Mi è piaciuta molto la Chiesa di Santa Maria degli Angeli, in particolare la Maddalena affrescata da Bernardino Luini, dai lunghi capelli biondi, che pur essendo cinquecentesca conserva la purezza delle linee del secolo precedente, presentandosi a mezza via tra Masaccio e il novecentesco Burne Jones. La Svizzera sa condurre bene i propri meriti.
Per concludere, Lugano è diventata importante per te. Lugano come centro di attrazione culturale, brillante e vincente. Una realtà? Un sogno? Una chimera?
Ogni sogno è, per me, in fieri. Pertanto, sento l’afflato della trasmutazione dei miei sogni in realtà, senza mai dimenticare il sacrificio, la costanza, la volontà. E tendendo presenti questi, guardo avanti, sempre.