La città di Roma si accinge a celebrare il futurismo con una grande mostra, fortemente voluta dall’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, “ennesima grande mostra” verrebbe da dire in quanto è dal 1986, data in cui a Palazzo Grassi a Venezia si tenne la prima mostra sul futurismo, il quale , scomparso come autonomo movimento artistico, non fa che celebrare se stesso, in una grottesca parodia della vita del suo fondatore, l’uomo che voleva abolire le accademie per poi divenire accademico d’Italia e che Mussolini definì “uno stravagante buffone che nessuno in Italia prende sul serio, io per primo”.
Peculiarità del futurismo è stata non tanto la fiducia nel progresso scientifico-tecnologico (che fu propria anche delle espressioni letterarie del positivismo come i romanzi del noto scrittore francese Giulio Verne) quanto la teorizzazione della necessità di distruggere il passato e le sue testimonianze per poter edificare il futuro.
Recita il celeberrimo punto 10 del “manifesto futurista” Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.
Dopo il 1909 , data di pubblicazione del manifesto, musei e biblioteche sono stati distrutti innumerevoli volte, insieme alle opere d’arte ed ai libri che custodivano: dai bolscevichi in Russia durante la rivoluzione d’ottobre, dai nazisti in Germania, dai maoisti durante la rivoluzione culturale in Cina, dagli integralisti islamici in Afganistan e in Siria, oggi dagli attivisti woke e NLM negli Stati Uniti e dagli ecovandali in Europa.
Se Marinetti avesse potuto assistere a un raid degli ecovandali di ultima generazione in qualche museo avrebbe forse disapprovato la finalità dell’azione ma sicuramente avrebbe elogiato in se stesso “il gesto distruttore del libertario”.
Il futurismo e i suoi epigoni hanno quindi distrutto ma non hanno costruito nulla, se non orrori, rovinando anche artisti di talento, basta paragonare le opere pre-futuriste di Boccioni con quelle della maturità.
Ma se vi è un ambito in cui gli esiti dell’iconoclastia futurista sono stati più tragici questo è stato quello dell’”ars costruendi” per antonomasia, l’architettura: il maggior esponente del futurismo in materia, Antonio Sant’Elia, ha teorizzato nel “manifesto dell’architettura futurista” il diritto di ogni generazione di edificare la propria città, distruggendo il tessuto architettonico precedente.
Quest’assunto ha costituito un alibi per avidi architetti complici di disonesti amministratori locali per promuovere, nel secondo dopoguerra, autentici scempi architettonici ed urbanistici abbattendo edifici e palazzi storici per edificare al loro posto orrendi falansteri realizzati sulla scorta degli schizzi di Sant’Elia per la realizzazione della “città nuova” : squallidi casermoni atti a ospitare folle di diseredati e baraccati, ecomostri destinati ad alimentare (perché il brutto non può che generare nuove bruttezze, fisiche e morali) degrado, alienazione mentale, microcriminalità, malaffare.
Cosa vi è dunque da celebrare in un movimento che ha avuto esiti così inconsulti? Al contrario vi è da auspicare che quella di Roma sia in assoluto l’ultima mostra dedicata al futurismo e che quest’ultimo sia ricordato soltanto , in un grottesco contrappasso, sui libri di storia dell’arte che voleva abolire.
(Fabio Traverso)