a cura di Fabio Traverso

Probabilmente in Italia non esiste idea politica che suscita più simpatia di quella ghibellina: si sono proclamati “ghibellini” personaggi molto diversi tra loro, anche nel tempo , e che furono tra loro avversari , tra questi, ed è fatto su cui riflettere, anche un cattolico considerato “integralista” come Attilio Mordini.

A cosa si deve questa buona fama? Vi è in primo luogo il fascino che suscita la figura dello sconfitto, vinto si ma nobilmente sul campo di battaglia: vi è indubbiamente l’ostilità suscitata in molti dal potere temporale della Chiesa; vi è infine il peso del giudizio del sommo Dante che nel suo capolavoro dedicò alcune delle sue pagine più alte ai protagonisti dell’epopea ghibellina , dal Federico “ultima possanza dell’impero “ al figlio Manfredi “biondo e bello e di  gentile aspetto”.

Tuttavia una cosa è la poesia, un’altra la realtà storica dalla quale si deve concludere come in ciò che definisce ghibellinismo in Italia si alternarono luci ed ombre : tra queste ultime il rapporto con le comunità musulmane del sud che con’è noto vennero concentrate da Federico II nella città di Lucera, nelle Puglie, dando vita ad un’enclave di oltre 80.000 abitanti, abbiamo detto enclaves perché l’imperatore concesse ai saraceni di governarsi secondo le regole della sharia oltre che di affiancarlo in guerra con milizie costituite perlopiù da arcieri.

Questa condizione dei musulmani di Lucera risultava molto più favorevole a quella dei cristiani che vivevano in territorio islamico in quanto questi ultimi avevano uno status di “dhimmy” , poco più di servi e gli era preclusa la carriera militare, a meno che non si fossero convertiti come molti famosi condottieri arabi ; era comunque inconcepibile, nel dar al islam, che milizie cristiane fossero utilizzate nel corso di una guerra civile per terrorizzare le popolazioni civili, questo invece fu quanto accadde nel periodo 1240-1244 nel corso del conflitto tra Federico II e il papato.

I quieti borghi della Tuscia e dell’Umbria vennero razziati, come ormai non accadeva da secoli , dalle milizie saracene fedeli all’imperatore , razzie culminate nell’assedio di Assisi dove, secondo la tradizione e la devozione  popolare, soltanto l’intervento di Santa Chiara valse a debellare gli assedianti .

Il racconto si arrichì di tali e tante iperboli (la discesa in terra dello stesso Cristo bambino che sgomentò i saraceni) da rivelare il terrore delle popolazioni locali nei confronti delle razzie dei saraceni, antesignane delle “marocchinate” che interessarono secoli dopo quelle stesse terre e quelle stesse popolazioni.

Ora, è facile immaginare che , se il disegno centralizzatore ed egemonico dei sovrani svevi fosse andato in porto , il debito di riconoscenza con le milizie musulmane e i buoni rapporti con i sultani ayubbidi avrebbero intensificato un’immigrazione dai paesi arabi moltiplicando le enclaves come  quella di Lucera rendendo il regno di Sicilia uno stato multi-etnico e multirazziale ante litteraram e ciò avrebbe costituito un formidabile ostacolo, nei secoli a venire , alla costituzione di una nazione italiana “una d’armi, di lingua  , d’altare, di memoria, di sangue e di cor” come nei desiderata del Manzoni.

Manfredi di Hohenstaufen

Un’ipotesi come si vede del tutto antitetica a quella della storiografia accademica che considera causa del ritardo dell’unificazione italiana la sconfitta del disegno egemonico dei sovrani Svevi, i bivi della storia, come ormai ci ha insegnato la letteratura ucronica, sono innumerevoli.

E’ inevitabile che personaggi come Federico, Manfredi e Corradino continuino ad ispirare ammirazione, fascino ed umana simpatia, tuttavia questi sentimenti non devono trasformarsi in una vulgata storiografico ad usum di barbuti professori.

(Fabio Traverso)