di Tommaso Berletti

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Prima di parlare in dettaglio del tempo del Natale incipiente e intercorrente tra il 24 dicembre e il 6 gennaio, giorno della Teofania di Nostro Signore Gesù Cristo, occorre dare uno sguardo alla seconda domenica d’Avvento,  alla terza domenica d’Avvento, alle Quattro Tempora, alla quarta domenica d’Avvento per una sorta di continuità nella preparazione dell’animo nostro alla venuta interiore di nostro Signore Gesù Cristo, che è oggetto quasi esclusivo della preghiera della Chiesa.

Nella domenica seconda di Avvento la stazione è alla basilica romana detta di Santa Croce in Gerusalemme[1]. Il divino ufficio di codesta domenica è ripieno di speranza e di gioia che per il lieto annunzio del prossimo arrivo di colui che è Salvatore e Sposo. Apriamo dunque i cuore e prepariamoci nell’attesa di quel grido che si farà sentire nel bel mezzo della notte: “Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus, bonae voluntatis”.  Il Cristo sta per offrirsi vittima d’espiazione per i peccati dell’umanità

Basilica di Santa Croce

Questo gaudio aumenta nella terza domenica, detta, “Gaudete” dall’incipit dell’introito. La Stazionale viene celebrata in San Pietro.

La funzione vigilare, nel secolo XII cominciava media nocte, audito signo[2] ed era duplex. Dapprima un ufficio con tre salmi e tre lezioni cantato nell’ipogeo della Confessione dell’Apostolo, poi il Mattutino (celebrato nella basilica superiore, ad altare maius) e la Messa.

L’Ordo X risalente al secolo XIII osserva che le lezioni del primo notturno sono lette dai canonici ecclesiae, la quarta e la quinta[3] dai vescovi, la sesta e la settima dai Cardinali e l’ultima dal Papa. Alla messa si cantava il “Gloria in excelsis” e dopo colletta tutto il clero esegue le laudes[4] in onore del Pontefice.

La Santa Chiesa sente avvicinarsi il Signore, quindi crede di poter mitigare l’austerità di questo periodo di penitenza e preparazione. Si osservano le medesime usanze della IV domenica di Quaresima detta “Laetare”. Durante la messa l’organo riprende a suonare,m il clero posa i paramenti violacei per assumere quelli di colore rosaceo, diacono e suddiacono riprendono rispettivamente dalmatica e tunicella e nelle cattedrali il Vescovo assiste ornato con la mitra. L’ufficio notturno incomincia con una nuova antifona all’ Invitatorio: “Prope est iam Dominus, venire adoremus”.

Il Profeta Isaia e l’Apostolo Paolo ci invitano a rallegrarci e a rivolgere i nostri desii verso il Signore. Il Signore è vicino; vicino alla Chiesa e all’anime nostre.

La pericope evangelica è tratta dagli scritti di San Giovanni. I giudei inviano a Giovanni sacerdoti per interrogarlo. Giovanni risponde: “In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, uno che viene dopo di me, al quale non sono degno di sciogliere il legaccio dei sandali”. Tutto questo sta a significare che il Signore può essere sì vicino, forse già arrivato ma ancora sconosciuto ai più.

Nella liturgia gallicana, si presuppone si volesse presentare San Giovanni Battista non tanto come precursore, come la voce di uno che grida nel deserto, ma come battezzatore in quanto, vi era usanza, nelle chiese di Gallia, di battezzare i catecumeni nella festa dell’Epifania.

Prima di procedere con l’esposizione della domenica IV di Avvento, pare d’uopo ricordare che durante questo tempo era in uso, durante la celebrazione del Divin Sacrificio, tenere un corso speciale di predicazione, come ricordato in un sermone attribuito (a torto?) a San Cesario d’Arles da cui si evince che i Santi Padri, preparassero i fedeli coi loro sermoni acciocché nella purificazione dell’anima, potessero solennizzare più degnamente il Natale del Signore.  

Particolarmente solenne, nel Medioevo, la feria IV nella quale la pericope evangelica era quella dell’Annunciazione. Tutta la messa “Rorate” del mercoledì delle Quattro Tempora di Avvento merita una particolare attenzione. Era chiamata, sempre nel Medioevo, “Missa aurea Beatae Mariae”. Era ritenuta di particolare efficacia nelle necessità spirituali. Vi si dicevano sette collette:

  • Della Beata Vergine,
  • Dello Spirito Santo
  • Dell’Incarnazione
  • Della Santissima Trinità
  • Di Sant’Anna
  • Di San Giovanni Battista
  • Di tutti i Santi.

Si direbbe che la Chiesa di Roma, con la stazione a Santa Maria Maggiore, in questo giorno, voglia celebrare la festa dell’Annunciazione considerato che spiccano la profezia della Vergine Madre, dell’Emmanuele, e il messaggio dell’Annunciazione.

In Spagna, fin dal 656 (Concilio di Toledo), poi estesa nelle Gallie e in Italia settentrionale, addì 18ndicembre festeggiavasi la “solemnitas dominicae Matris” sul mistero dell’incarnazione che la Chiesa latina festeggia, in quaresima, addì 25 marzo.[5]

Eccoci ora alla Quarta domenica di Avvento, segnata anticamente ne’libri romani come “dominica vacat”. La vigilia incominciava la sera precedente in San Pietro e nell’inframezzo venivano compiuti i sacri riti delle Ordinazioni per concludersi all’alba con la celebrazione del Divin Sacrificio della Messa e tutto questo costituiva l’ufficio liturgico domenicale. Ma dal secolo VIII, queste cerimonie erano anticipate al sabato mattina e quindi occorreva dotare questa domenica di una stazione e di un formulario proprio. Vennero presi i testi delle ferie precedenti.[6] La stazione è la Basilica dei Santissimi Apostoli con la commemorazione di S.ta Eugenia[7].

De Nativitate Domini Nostri Jesu Christi secondum carnem

Dopo questo piccolo excursus sulla seconda parte del tempo di Avvento, dato giusto per descrivere un poco di storia delle sacre cerimonie di questo periodo, eccoci pronti ad affrontare il tema di Natale in tutte le sua sfaccettature. Useremo qui il termine «vigilia» nel senso moderno del termine di giorno precedente la festa. Anticamente, per chi non abbia dimistichezza, precisiamo che si indicava l’ufficio notturno della solennità con la Messa conclusiva.

La domanda che ci dobbiamo porre è la seguente: Che cosa significa il Natale per noi cristiani? Ce lo dice San Leone Magno, il grande Pontefice che, leggenda narra, fermò Attila. Ma è anche il grande Pontefice del Concilio di Calcedonia[8].

Oggi è nato il Salvatore; rallegriamoci; non è bene che vi sia tristezza, scrive San Leone magno, nel giorno in cui si nasce alla vita, che, avendo distrutto il timore della morte, ci presenta la gioiosa promessa dell’eternità. Nessuno è escluso a prendere parte a questa gioia perché il Signore, distruttore della morte e del peccato, è venuto a liberare tutti senza eccezione. Esulti il santo perché si avvicina al premio, gioisca il peccatore perché è invitato al perdono, si rianimi il pagano perché chiamato alla vita. Il Figlio di Dio ha assunto la natura umana per riconciliarla al suo creatore, acciocché il diavolo, autore della morte, fosse sconfitto.

Dunque, il verbo di Dio, Dio stesso e Figlio di Dio, che, «in principio erat apud Deum, omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil, quod factum est; in ipso vita erat et vita erat lux hominum, et lux in tenebris lucet, et tenebrae eam non comprehenderunt»[9], per liberare l’uomo dalla morte eterna si è fatto uomo, abbassandosi ad assumere la nostra condizione umana, senza per altro dimininuire la sua maesta rimandendo ciò che era e prendendo ciò che nonera; unendo la reale natura di servo a quella natura per la quale è uguale al Padre. Ha congiunto ambedue le nature in modo tale che la glorificazione non ha assorbito la natura inferiore né l’assunzione ha sminuito la natura superiore.

Ed eccoci giunti alla vigilia di Natale.

Hodie scietis quia veniet Dominus, et mane videbitis gloriam ejus. Così risuonano le parole dell’Invitatorio al Mattutino che si ripete gioiosamente ne’ responsori del Notturno, nell’ Introito, nel Graduale della Messa.

In coro, alla celebrazione dell’ora di prima, viene data la lettura dell’annuncio del giorno di Natale presa dal martiriologio e annunciata dal sacerdote, indossante il piviale, in pompa magna.[10] Vi era usanza, al termine del canto, inginocchiarsi e pregare in silenzio. Infatti, un ordinario della chiesa di Chartres dice: «Statutum tenemus a Patribus, ut hodierna die ex quo lector in capitulo pronunciaverit festum Nativitatis Dominicae et dixerit Jesus Christus Filium Dei in Bethleem Judae nascitur, memores humilitatis dominicae, omnes simul ad terram prosternamur; lector vero, finito ipso versiculo, nobiscum prosternitur. Tunc quisque privatim dicit psalmos vel orationes quales ei placuerit. Cum autem D. abbas vel prior surrexit et signum aliquod surgendi fecerit, surgimus. Lector vero lectionem prosequitur».

Nella messa, il cui ufficio ha la precedenza su tutte le feste, Diacono e Suddiacono riprendono rispettivamente dalmatica e tunicella, viene letta la pericope evangelica “cum esset desponsata Mater Jesu Maria Joseph” acciocché, come nota il Durante, si sappia che alii fuit desponsata, scilitet Joseph et ab alio fui foecondata scilicet a Spiritu Sancto.

Non possiamo non accennare alla questione della data della nascita di Cristo. Nulla di certo è stato lasciato dagli Antichi e i Vangeli stessi non menzionano.

Il primo accenno al 25 dicembre, in Occidente, lo riferisce Sant’Ippolito nel commentario su Daniele. Tra oriente e occidente vi è una gran quantità di date e ipotesi che non ci sembra il caso riferire in questa sede anche per non appesantire troppo la lettura. Questo dimostra comunque che non vi era una tradizione intorno alla data del Natale del Signore e la Chiesa non ne celebrava la festa. Altrimenti si sarebbero avute dispute come intorno alla data di Pasqua. Infatti non era interessante troppo la data della nascita quanto il fatto che con la Sua venuta, si dava inizio al mistero della Redenzione.

In un documento romano del secolo IV troviamo l’attestazione della festa di Natale al 25 dicembre.

Eccoci giunti al tempo di Natale. L’attesa è quasi compiuta. Non sembra d’uopo il dilungarci in questioni relative alla data esatta della nascita di Cristo e questo soprattutto per non appesantire il testo. Diciamo che le autorità ecclesiastiche, mettendo la Festa della Natività di Gesù al 25 dicembre, volevano sostituire la festa solare pagana, come messo in risalto più volte dal Sant’Agostino. La festa della Natività quindi è stata istituita a Roma e da lì estesa a tutto l’ecumene cristiano; dapprima in Africa intorno al 362, mentre sul finire del IV secolo la festa passa a Milano introdotta da Sant’Ambrogio. Nelle Chiese Orientali si staccò dalle cerimonie del 6 gennaio in cui si trovava fusa con la festa della Teofania. La commemorazione dell’ottava di Natale fu tardivamente introdotta. Il lezionario di Würzburg non la conosce ancora. Probabilmente introdotta da papa Bonifacio IV (608 – 615) dopo la consacrazione del Pantheon in cui si celebra la messa stazionale.

Tutta l’ufficiatura primitiva della festa della Natività si svolgeva in San Pietro[11]. Quivi, nella prima metà del secolo V, a nona, il Papa cantava cum populo il consueto ufficio della feria vigilare a conclusione del digiuno, seguito dalla Messa, il cui formulario lo troviamo nel sacramentario leonino.[12]

In seguito, ad galli cantum, i chierici celebravano l’ufficio notturno proprio della festa, poscia si celebrava la messa; infine a terza, la messa ufficiale della solennità. Il formulario di codesta messa, trovasi sempre nel sacramentario leoniano. La pericope evangelica è il prologo di San Giovanni da cui si evince la generazione eterna del Cristo.

Da una missiva di Papa Celestino a Teodosio II datata 341, si evince che nel giorno di Natale davanti a tutto il popolo, in San Pietro aveva fatto leggere le notizie che annunziavano la riuscita del Concilio di Efeso. Queste dunque erano le usanze fino a Papa Sisto III, il quale, in omaggio alla Divina maternità di Maria, sancita ad Efeso in condanna alle teorie di Nestorio eresse ex novo, all’Esquilino la Basilica di Santa Maria Maggiore, contenente una cappella riproducente la grotta della Natività.

Secondo un uso prettamente romano, nella notte vigilare di alcune feste, tra cui il Natale, si cantavano due distinti uffici; uno consuetudinario (del corrente giorno), l’altro poco prima dell’alba intonato alla solennità commemorata. Questa semplice funzione incominciata da Sisto III non doveva rimanere tale. Uno sviluppo fu quello di celebrare anche presso l’oratorio ad Sanctam Mariam il primo ufficio natalizio, il più antico, l’ordinario, che si celebrava anche in San Pietro. Sappiamo non tanto quando fu introdotto, ma che esisteva già al tempo di Amalario. Era senza invitatorio, con soli tre salmi, senza alleluja e tre lezioni. Soltanto il clero vi prendeva parte col Papa, che eccezionalmente celebrava messa dopo le letture non all’altare della basilica ma nell’oratorio ad praesepem[13]. Solo lui si comunicava e si terminava con le lodi. Poi il pontefice si concedeva un poco di riposo prima di recarsi in San Pietro per la stazionale solenne diurna. Verso il secolo VI si introdusse la celebrazione di una messa quasi privata nella chiesa titolare di Santa Anastasia.[14]

Dall’ordo Romanus XIV si evince quanto segue:  «Pontifex, summo mane, indutus missalibus, vestimentis, vadit ad Sanctam Anastasiam, ut celebret ibi missam secundam». Quindi l’origine della seconda messa del 25 dicembre ha un’origine prettamente romana. Il culto di Santa Anastasia, martire di Sirmio, decollata addì 25 dicembre dell’ano 304 e molto venerata a Costantinopoli è comunque antecedente all’introduzione della festa della Natività del Signore. Da principio, possiamo desumere sia stata una messa molto semplice senza relazione alcuna con la Natività. Il Sacramentario gregoriano contiene il formulario con un prefazio proprio. In seguito vi si aggiunse la commemorazione della festa della Natività, e questo fino al secolo VIII ebbe il sopravvento[15] con un formulario proprio. Quindi la messa in onore di Santa Anastasia disparve, restandone solo la commemorazione[16]. Fu probabilmente in questo tempo che venne soppressa l’antica messa dell’aurora a San Pietro vista come un inutile duplicato[17].

Da Sant’Anastasia, fino ai tempi di Gregorio VII, il Pontefica soleva recarsi in San Pietro e si incominciava intonando l’invitatorio «Christus natus est nobis; venite adoremus». Dopo le lodi, il Pontefice celebrava la terza messa; quella ufficiale della solennità. E fu in questa circostanza che il 25 dicembre dell’anno 800 Leone III incoronava solennemente Carlo Magno, imperatore del Sacro Romano Impero.[18] A questa messa si comunicava clero e popolo e questo almeno fino al secolo XIV in cui si decise di anticipare la comunione del clero alla messa in Santa Anastasia.

Carlo Magno

Pare che recarsi in San Pietro da Sant’Anastasia fosse scomodo per il Pontefice vista anche la complessità delle funzioni precedenti; tant’è che, si evince dall’ XI Ordo Romano, si preferì tornare a Santa Maria Maggiore[19].

L’Ordo romano XI ci porta a conoscenza di una particolare cerimonia mentre il corteo papale sta per varcare la soglia del presbiterio. Un mansionario recava al Papa una canna con un cero acceso, e questi dava fuoco a della stoppa posta sui capitelli delle colonne. Questa cerimonia che forse in origine era intesa come espressione di gioia per il giorno di festa, è più probabile simboleggiasse la fine del mondo a mezzo fuoco[20]. Questa cerimonia la ritroviamo nel rito dell’incoronazione papale durante il quale un chierico brucia tre volte stoppa imbevuta di alcool che, deposta su un vassoio viene presentata al pontefice esclamando: «Sancte Pater, sic transit gloria mundi». Terminata la messa, il pontefice incoronato dall’Arcidiacono, faceva ritorno al Laterano. Qui, continuando una tradizione dei Cesari e dei bizantini, elargiva denaro; poscia, Leone III, nel gran triclinio, sedeva a mensa con Cardinali e ufficiali della propria corte, mentre i cantori giocondavano spiritualmente il convito eseguendo delle sequenze.

La celebrazione della trina celebratio nella festa di Natale, consolidatosi nel secolo VI, è un costume romano e riservato al papa. [21] Questa poli liturgia non entrò nell’uso comune della Chiesa in Occidente prima del secolo X[22] restando limitato al canto di tre messe solenni celebrate da tre distini sacerdoti. La prassi che fosse lo stesso sacerdote a celenbrare la trina, è attestata più tardi e si evince dagli “statuta” di Piero di Cluny.


[1] Trovasi a Roma nell’omonima Piazza e si dice che Costantino Imperatore vi abbia deposto una parte della vera Croce.

[2] Ordo XI

[3] Nota bene che le lezioni del 2° notturno non erano le attuali di San Leone “de jejunio decimi mensis” ma erano tratte dalla lettera “ad Flavianum de Incarnationis mysterio” sempre dello stesso Pontefice.

[4] Vedi primo volume di «Storia liturgica» di Mario Righetti, ed.Ancora

[5] Una festa «Espectatio partus B.V.M.» fu introdotta da Gregorio XIII nel 1573 ed estesa da Benedetto XIII a Roma e a molte diocesi italiane nel 1723.

[6] Vengono ripresi l’introito, il graduale e il communio del mercoledì, la pericope evangelica e la secreta del sabato e l’epistola paolina è quella della seconda domenica di Avvento in cui si parla della parusia del Signore: Nolite ante tempus judicare, quoadusque veniat Dominus.

[7] Celebre martire del cimitero di Aproniano sulla via Latina e le cui reliquie sono conservate in un oratorio presso la basilica. Siccome il natale della Santa ricorreva anche il 25 dicembre, giorno impedito dalla festa della Natività, se ne anticipava la memoria alla domenica precedente secondo un uso squisitamente romano.

[8] Quarto Concilio dell’era cristiana in cui si condanna il monofisismo e si sancisce la doppia natura del Cristo.

[9] Prologo vangelo secondo S. Giovanni

[10] Octavo Kalendas Ianuarii, Luna undetricesima, (questo numero cambia a seconda dell’anno. Questo si riferisce al 2011)

innumeris transactis saeculis a creatione mundi, quando in principio Deus creavit caelum et terram, et hominem formavit ad imaginem suam; permultis etiam saeculis ex quo post diluvium Altissimus in nubibus arcum posuerat signum foederis et pacis; a migratione Abrahae, patris nostri in fide, de Ur Chaldaeorum saeculo vigesimo primo; ab egressu populi Israël de Aegypto, Moyse duce, saeculo decimo tertio; ab unctione David in regem anno circiter millesimo; hebdomada sexagesima quinta iuxta Danielis prophetiam; Olympiade centesima nonagesima quinta; ab Urbe condita anno septingentesimo quinquagesimo secundo; anno imperii Caesaris Octaviani Augusti quadragesimo secundo, toto orbe in pace composito, Iesus Christus, aeternus Deus aeternique Patris Filius, mundum volens adventu suo piissimo consecrare, de Spiritu Sancto conceptus   novemque post conceptionem decursis mensibus in Bethlehem Iudae nascitur ex Maria Virgine factus homo. Nativitas Domini nostri Iesu Christi secundum carnem!

Eódem die natális sanctæ Anastásiæ, quæ, témpore Diocletiáni, primo diram et immítem custódiam a viro suo Públio perpéssa est, in qua tamen a Confessóre Christi Chrysógono multum consoláta et confortáta fuit; deínde a Floro, Præfécto Illýrici, per diútinam custódiam maceráta, ad últimum, mánibus et pédibus exténsis, ligáta est ad palos, et circa eam ignis accénsus, in quo martýrium consummávit in ínsula Palmária, ad quam una cum ducéntis viris et septuagínta féminis deportáta fúerat, qui váriis interfectiónibus martýrium celebrárunt.
Barcinóne, in Hispánia, item natális sancti Petri Nolásci Confessóris, qui Fundátor éxstitit Ordinis beátæ Maríæ de Mercéde redemptiónis captivórum, ac virtúte et miráculis cláruit. Ipsíus autem festum cólitur quinto Kaléndas Februárii.
Romæ, in cœmetério Aproniáni, sanctæ Eugéniæ Vírginis, beáti Mártyris Philíppi fíliæ, quæ, témpore Galliéni Imperatóris, post plúrima virtútum insígnia, post sacros Vírginum choros Christo aggregátos, sub Præfécto Urbis Nicétio diu agonizávit, ac novíssime gládio iuguláta est.
Nicomedíæ pássio multórum míllium Mártyrum, qui cum in Christi Natáli ad Domínicum conveníssent, Diocletiánus Imperátor iánuas Ecclésiæ claudi iussit, et ignem circumcírca parari, tripodémque cum thure præ fóribus poni, ac præcónem magna voce clamáre ut qui incéndium vellent effúgere, foras exírent et Iovi thus adolérent; cumque omnes una voce respondíssent se pro Christo libéntius mori, incénso igne consúmpti sunt, atque ita eo die nasci meruérunt in cælis, quo Christus in terris pro salúte mundi olim nasci dignátus est.
℣. Et álibi aliórum plurimórum sanctórum Mártyrum et Confessórum, atque sanctárum Vírginum.
℟. Deo grátias.

Per completezza riportiamo dal Martiriologio romano la lettura integrale

[11] Ne riferisce Sant’Ambrogio che S. Liberio aveva celebrato solennemente in San Pietro.

[12] Jesu Christi sollemnia quae quae praesentibus sacrificiis praevenimus

[13] Cfr. Ordo Romanus XI del secolo XIII

[14] Così annotato nel XIV ordo romano: Pontifex, summo mane, indutus missalibus, vestimentis vadit ad Sanctam Anastasiam ut celebret ibidem missam secundam.

[15] Indicativamente al termine della dominazione bizantina

[16] Seconda orazione colletta

[17] Cfr. Mario Righetti «Storia della Liturgia» ed. Ancora

[18] Carolo piisimo Augusto a Deo coronato, magno, pacifico imperatori, vita et victoria.

[19] Sed propter parvitate diei et difficultatem viae stationem ad Sanctam Mariam Majorem

[20] Ad figuram finis mundi per ignis.

[21] Un’antifona postcommunio annotata nel sacramentario gelasiano così recita: “Laeti, Domine, frequentamus salutis humanae principia, quia trina celebratio beatae competit mysterio Trinitati.

[22] Sacramentario patavino le attesta tutte e tre con le stazioni corrispondenti. (prima metà del secolo IX)