Il 29 dicembre 1170 a Canterbury l’arcivescovo Tomaso Becket fu ucciso davanti all’altare da quattro sicari
Becket era un prete orgoglioso, esaltato e testardo. Enrico II, pronipote di Guglielmo il Conquistatore, un re adeguato alla durezza dei tempi. Infiniti erano stati i loro contrasti, le loro aperte liti, infinite le loro effimere rappacificazioni. Ma un certo giorno Enrico mormorò, fu quasi un gemito: “Chi mi libererà di questo prete turbolento?” Quattro cavalieri della corte del re – Reginaldo FitzUrse, Guglielmo di Tracy, Ugo di Morville e Riccardo di Brito – udirono queste parole. Non domandarono nulla a nessuno ma, rapidamente e in segreto, partirono. Enrico, quando si rese conto dell’accaduto, tentò di richiamarli, ma nessuno li trovò più: si erano dileguati.
(… … …) [nella cattedrale] “Dov’è Tommaso Becket, traditore del re e del regno?” gridarono i cavalieri all’unisono. “Eccomi. Sono pronto a morire per il mio Signore, e che nel mio sangue la Chiesa trovi libertà e pace!” FitzUrse colpì per primo. Poi colpirono gli altri. Mentre l’arcivescovo giaceva a terra nel sangue, Riccardo di Brito vibrò un terribile fendente, che infranse la spada sul pavimento e gli staccò la parte superiore del capo. Un chierico traditore, complice dei quattro assassini, disse: “Andiamocene, cavalieri. Non si rialzerà mai più”.
Enrico, appresa la ferale notizia, fu tormentato dall’orrore e dal rimorso. “Io non volevo questo”, esclamò. Ma il delitto enorme graverà sul suo nome in eterno.