di Tommaso Berletti
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Dopo aver descritto il tempo di avvento e la solennità della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, pare d’uopo la continuazione in questo viaggio attraverso la descrizione storica delle feste e delle sacre cerimonie così che ognuno di noi possa veramente capire i significati basilari delle festività che ricorrono a scandire ogni anno che passa.
Le fonti anteriori al secolo VIII tacciono di una domenica fra l’ottava di Natale di cui l’introito[1] merita attenzione. Secondo San Giuda, l’espressione «Omnipotens sermo tuus Domine…» è da considerarsi intesa come Teofania del Verbo incarnato. Si applicava infatti alla nascita di Cristo quel testo della Sapienza «Cum enim quietum silentium contineret omnia et nox in suo corsu medium iter haberet, omnipotens sermo tuus de coelo a regalibus sedibus, durus debellator in mediam exterminii twerram prosilivit». Come l’angelo sterminatore compì vendetta dei primogeniti egizi per liberare il popolo ebraico, così Gesù, nel silenzio della notte discese in terra per incominciare l’opera di Redenzione del genere umano dal peccato.
Il primo gennaio di ogni anno, è l’ottava della Natività ma non solo. Si parla dell’ottava natalizia, appunto, del Natale S. Mariae, l’Ufficio ad prohibendum ab idolis. Tutte queste feste hanno contribuito in modo più o meno vario, alla formulazione dell’attuale festa di capodanno.
La memoria più antica è l’Ufficio ad prohibendum ab idolis. Nell’antica religione pagana dei romani, il primo gennaio era dedicato al dio Giano bifronte; i cristiani meno ferventi, si lasciavano andare a pratiche non proprio consone come la partecipazione a feste orgiastiche e idolatre. Ce ne da notizia Tertulliano, e poi i Padri Greci e Latini, e i concili di questa ostinatezza tra i fedeli e gli sforzi della Chiesa acciocché questi comportamenti cessimo in seno ai fedeli.
Sant’Agostino, in una predica dice: «Acturus es celebrationem strenarum sicut paganus; lusurus alea et inebriaturus te? Quomodo aliud credis, aliud speras, aliud amas? Dant illi strenas, date vos elemosinas; avocantur illi cantionibus luxuriarum, avocate vos sermonibus scripturarum. Currunt illi ad theatrum, voc ad ecclesiam, inebriantur illi, vos jejuniate». Nessuna allusione al Natale.
Questo invito al digiuno e alla preghiera in espiazione trova riscontro negli antichi usi liturgici. Il secondo concilio di Tours (567) accenna a delle litania private penitenziali ad calcandam gentilium consuetudinem. Il IV concilio di Toledo del 633 prescrive un digiuno in stile quaresimale e vieta di cantare l’alleluia a messa. Il formulario della messa, intitolato ad prohibendum ab idolis, si trova nel sacramentario Gelasiano, nel Leoniano si trova sparsa qua e la, nei libri gallicani e mozarabici, mostra protesta e carattere penitenziale contro le folle. Doveva essere celebrata post nonam. Vespertini huius sacrificii libatione, si evince dal post pridie della vetusta messa mozarabica di questo giorno. Questa festa espiatoria cessò verso il VI – VII secolo. Il sacramentario gregoriano non ne contiene più il formulario, ma ha conservato, inserite nell’attuale messa del primo gennaio, la secreta e il postcommunio dell’antica messa penitenziale. La chiesa di Roma, al fine di lottare più efficacemente contro tutte le forme dell’idolatria, ha ritenuto opportuno una festa speciale commemorativa della Maternità verginale della Vergine Maria.
L’impronta mariana della festa del primo gennaio fu prevalente nella liturgia medievale, prima che prendesse piede l’attuale formulario. Bernoldo di Costanza (1054 – 1100) così scriveva: «In octava Domini, iuxta romanam auctoritatem, non officium Puer natus est, sed Vultum tuum, ut in graduali libro habetur… et orationem gregorianam Deus qui salutis aeternae, non illam Deus qui nativitate dicimus. Et notandum huius octavae Officium evidentissime de Sancta Maria agere.
A questo punto, saturnali pagani delle kalende di gennaio sulla via della distruzione, si poteva anche pensare ad una commemorazione della Natività. È il terzo elemento in ordine di tempo ad inserirsi nella liturgia propria di questo giorno. Dal sacramentario Gelasiano, sotto nome di Octava Domini, si evince lo spiccato carattere del testo delle orazioni e del prefazio. Della circoncisione, se non quanto si evince dalla pericope evangelica nessun accenno. Nel 610, Papa Bonifacio IV, eresse la stazione in quello che fu l’antico tempio di Agrippa dedicato a tutti gli dei ed ora consacrato a tutti gli eroi cristiani e a Maria, denominato Sancta Maria ad Martyres. Più tardi, Papa Callisto II trasferisce la stazione a Santa Maria in Trastevere dove è ancora oggi segnata sul messale.
La festa della circoncisione si trova nei libri gallicani e da essi è passata a Roma, inserita da San Pio V nella sua riforma, e depennata nel 1960 da papa Giovanni XXIII il quale la sostituì con la dicitura più antica e romana di Octava nativitatis Domini.
L’ufficio e la messa “Octava Nativitatis Domini” sono un mix mariano – natalizio in quanto le varie feste succedutesi nel corso dei secoli hanno fatto sì che il formulario attuale sia un mescolamento dei precedenti.
L’ufficio notturno è sostanzialmente quello di Natale introdotto a Santa Maria Maggiore da Papa Sisto III. La messa riprende alcuni testi della terza messa del giorno di Natale oltre che alcuni altri dalla missa ad prohibendum ab idolis.
Il motu proprio di Papa San Pio X Abhinc duos annos del 23 ottobre 1913 ha riavvicinato alla Circoncisione la festa del Santissimo nome di Gesù che Innocenzo XIII aveva fissato nel 1721 alla seconda domenica dopo l’Epifania.
Il nome di Gesù, sempre invocato e venerato dalla Santa Chiesa fin dai tempi apostolici non fu oggetto di culto liturgico fino all’epoca di S. Vincenzo Ferrer, domenicano e S. Giovanni da Capestrano e S. Bernardino da Siena francescani i quali ne furono ardenti promotori. A Volterra, ad esempio, nel 1443 fu eretta una chiesa ed una confraternita, a Salisbury (detta anche Sarum) in Inghilterra, si ha la prima istituzione di questa festa in onore del Santissimo Nome di Gesù. Un breviario di quella Chiesa la situa al 7 agosto. Nel 1530, Papa Clemente VII concedeva all’Ordine Francescano l’ufficio nel Nome di Gesù, e quasi due secoli dopo, Innocenzo VIII, su preghiera di Carlo VI, lo estendeva alla Chiesa universale.
Epifania del Signore
Salta all’occhio la provenienza orientale di codesta festa. La prima notizia la abbiamo grazie a Clemente Alessandrino, secondo il quale in questo giorno veniva commemorata la nascita e il battesimo del Signore dalla setta gnostica dei Basilidiani[2]. La gnosi eretica sosteneva che la divinità si era congiunta alla umanità di Cristo solo nel momento del battesimo.
Vi era uso, nella festa dell’Epifania, di battezzare i catecumeni. Le costituzioni apostoliche prescrivono che i servi in Epiphaniae festo racent, quia in lo demonstata est Christi divinitas, quando pater testimonium ei praebuit in Baptismo. I Padri Greci la chiamano festa delle luci i quali la celebrano cantando a Cristo che irradia con la sua luce il mondo.
Dall’Oriente, venne postata in Occidente verso la metà del quarto secolo, non si sa se dalla Spagna o dalle Gallie. Il concilio di Saragozza la conosce come festa preceduta da un digiuno di tre settimane. Una cosa è certa; la maggior parte delle Chiese occidentali (Africa, Roma, Ravenna) intesero commemorare non tanto il battesimo di Cristo, ma la visita dei Re Magi nella quale Egli si è manifestato come Re e Signore a tutte le nazioni della terra prefigurando, nella persona dei Magi, il futuro popolo di Dio. Sant’Agostino e San Leone Magno, nei loro discorsi non prendono in considerazione altro che i Re Magi e il loro significato. Il primo a parlare delle altre due Teofanie, ossia il Battesimo di Cristo e le Nozze di Cana è Sant’Ambrogio, seguito da San Paolino da Nola e da San Massimo da Torino.
Occorre osservare che il Battesimo di Cristo, in Oriente, ha sempre la prevalenza nei formulari liturgici, mentre le nozze di Cana non passarono nel campo liturgico di Roma (dalla Gallia) prima del secolo VII, quindi dopo San Gregorio Magno.
Similarmente al Natale, anche l’Epifania aveva una solenne vigilia notturna. Veniva celebrata dal Papa con doppio Ufficio; il primo verso mezzanotte con tre salmi e tre lezioni. Il secondo, con nove lezioni, come prescritto dall’ Ordo romano XII omettendo l’invitatorio. Il salmo 94 fa parte del III notturno e viene eseguito antiphonando[3]. In molte chiese si leggevano i vangeli relativi ai tre avvenimenti commemorati in questo giorno.[4]
La vigilia dell’Epifania, si celebra la commemorazione del Santo Pontefice Telesoforo. Ancora si usa benedire l’acqua nonostante non si usi più battezzare i catecumeni alla festa dell’Epifania. In Oriente si usa ancora benedire le acque in ricordo del battesimo del Signore nel fiume Giordano.
Comunque i testi dell’ufficio e della messa di questa solennità sono in massima parte diretti alla commemorazione della venuta dei Magi e dell’offerta che essi hanno presentato al Bambino Gesù in riconoscimento della Sua regalità divina di Cristo su tutti i popoli. L’introito, di carattere prettamente romano così incomincia: Ecce advenit dominator Dominus; et regnum in manu eius et potestas et imperium.
Il liber pontificalis narra che esse furono cantate dal popolo mentre il 25 gennaio 547, Papa Vigilio e l’Imperatore Giustiniano facevano ingresso trionfale in Hagia Sophia a Costantinopoli. Colletta e prefazio si devono a San Leone Magno, mentre la secreta è una delle poche provenienti dal messale mozarabico e accolto nel rito romano.
Un’altra particolarità del giorno dell’Epifania è l’annunzio del giorno di Pasqua. Secondo il Pontificale Romano, l’Arcidiacono, vestito di Piviale annuncia al popolo il giorno di Pasqua e la data delle altre feste dipendenti dalla Pasqua.[5]
Un’ottava della festa dell’Epifania, era già celebrata in Gerusalemme intorno al secolo IV. Se ne evince dall’ “Itinerarium” di Egira. Il secondo e il terzo giorno il Divin Sacrificio era celebrato nella Chiesa del Golgotha, il quarto in Eleona[6], il quinti in Lazariu a Betania, il sento nella chiesa del monte Sion, il settimo, nell’ Anastasi, l’ottavo ad Crucem. Ac sic ergo per octo dies haec omnis laetitia et is ornatus celebratus in omnibus locis sanctis quos superior nominavi. In Betlemme si faceva altrettanto. Nell’Occidente non se ne fa menzione ne’ libri liturgici avanti il secolo VIII; a Roma dovette esistere un triduo stazionale come si evince dalle pericopi scritturali trasmesse dal Lezionario di Würzburg. Possiamo ritenere che anche le pericopi evangeliche[7] oggi distribuite nell’ottava e nella domenica successiva ne facessero parte.
L’Ordo romano XI, (secolo XII) prescrive che il Mattutino, ne’ giorni dell’Ottavario, in San Pietro, constasse solo tre salmi e tre letture, mentre l’ Ordo Bernhardi card., riferisce che presso la basilica di San Giovanni in Laterano si ripetesse l’ufficio della festa iniziandolo con l’Invitatorio “Christus apparuit nobis; venite adoremus”. Nel giorno dell’ottava propriamente detto, causa influenze bizantine si soleva celebrare la commemorazione del Battesimo del Signore nel Giordano che, ricordiamo, nel rito Orientale ha un’importanza speciale.
In Roma, dall’Antifonario di San Pietro si evince che a Mattutino viene ripetuto quello dell’Epifania, mentre tutte le antifone alle Lodi sono commemorative del mistero battesimale di Cristo[8]. Nella messa vi accennava appena la pericope evangelica, ma dal Lezionario di Murbach (secolo VIII) si evince di una lezione da Isaia profeta alludente alle acque miracolose sgorgate nel deserto. L’ottava era stata dichiarata privilegiata da San Pio V e soppressa da Pp Giovanni XXIII nel 1960 disponendo comunque un maggior risalto alla preesistente memoria del Battesimo del Signore trasformandola in Festum Domini e titolata quale “Commemoratio Baptismatis D.N.J.C”.
Alla nascita secondo la carne, Dio assunse la nostra natura umana e mortale; allo stesso modo, nell’acque del Giordano, dopo 40 giorni trascorsi in penitenza, assunse ufficialmente in sé medesimo la nostra responsabilità morale dinanzi a Dio, sottoponendosi umiliato e peccatore al battesimo di Giovanni. In questo modo, Dio gli conferì l’investitura messianica. Il Battesimo del Signore, a pari del nostro, avrà il suo compimento nella Pentecoste.
Le domeniche seguenti l’Epifania e fino alla Settuagesima sono di numero variabile ma non più di 6. Anticamente se ne contano anche 11 a cagione del fatto che il tempo di settuagesima era sconosciuto in Roma anteriormente al secolo VII e quindi le domeniche si contavano fino all’inizio della Quaresima.
Calcoliamone 6. La seconda di queste domeniche era chiamata “Festum Architriclinii” a cagione della pericope evangelica narrante l’episodio delle Nozze di Cana. A partire dalla IV domenica, ne’ formulari delle messe cambiano solo le letture, e il resto è uguale alla III. Le domeniche che non si usano se la Settuagesima comincia presto[9], verranno recuperate tra la XXIII e la XXIV dopo Pentecoste se il computo supera le 24 domeniche tra la Pentecoste e l’Avvento.
In conformità alla Legge di Mosè, dopo i 40 giorni dalla nascita di Gesù, Maria si presentò al tempio per la purificazione legale e per il riscatto del suo primogenito, facendo l’offerta dei poveri consistente in un paio di tortore o colombe. E qui entrano in scena il vecchio Simeone e la profetessa Anna che riconoscono in Gesù il Messia. Da qui il titolo greco dato a questa festa di “Ipapante”. La prima commemorazione viene desunta dall’ Itinerarium di Egira che le dà il nome di “Quadragesima de Epiphania, perché fissata non al 2 ma al 14 febbraio in dipendenza dell’Epifania. Essa era celebrata valde cum summo honore… nam eadem die processio est in Anastase et omnes procedunt et ordine suo et aguntur omnia cum summa laetitia ac si per Pascha[10].
Egeria non accenna a lumi portati in tale occasione, ma riferisce che il sermone letto ai fedeli commentasse le parole di Simeone “Lumen ad revelationem gentium”.
Dietro l’esempio delle chiese orientali, la festa venne accolta a Roma da Papa Sergio.[11]
La festa doveva avere una propria processione che si concludeva a Santa Maria Maggiore con la celebrazione della messa senza Kyrie propter laetaniam (Ordo can. Benedetto).
A Roma, come in Oriente, l’Ipapante era celebrata in modo solenne ma improntata a penitenza secondo un uso squisitamente bizantino. Dall’ ordo romano del secolo VII – VIII si evince che, aurora ascendente, il popolo ed il clero delle varie chiese (titoli) salmodiando e recando seco candele, si radunasse nella Chiesa di Sant’Adriano e da lì, in processione si recasse a Santa Maria Maggiore indicata come stazionale.
Il pontefice, in Sant’Adriano, induit se vestimentis negris et diaconi similiter planitas induunt nigras ; la schola cantonrum intona l’antifona «Exurge Domine» con la dossologia ; poscia il Papa sale all’altare e recita l’orazione ad collectam e quindi ci si avvia processionalmente a piè scalzi verso Santa Maria Maggiore. Giunto colà, il Pontefice celebra la messa solenne tralasciando il canto del “Gloria in excelsis Deo”.
Sembra che in quest’epoca non sia ancora in uso la benedizione delle candele. Assai tardivo è anche il canto “Nunc dimittis” intercalato dall’antifona “Lumen ad revelationem gentium”.
I testi liturgici di questa festa sono, tranne quelli della messa, di origine greca come pure le antifone processionali.[12] Anche il responsorio “Gaude Maria Virgo, cuncta haereses sola interemisti fa parte dei testi greco – latini e nel secolo XI era facente parte dell’ufficio di questa festa da cui fu poscia estromesso restando in forma ridotta in quello dell’Annunciazione del 25 marzo (di cui parleremo nel prossimo excursus).
Questa nostra festa romana dell’Ipapante arrivò piuttosto tardi anche nelle altre Chiese di Occidente e tra queste Milano, ma senza un particolare tenore penitenziale.[13] In Spagna non se ne trova traccia prima del secolo XI.
Comunque sia questa festa si riallaccia al ciclo Natalizio, che oggidì si fa terminare con la festa dell’Epifania, in quanto, nonostante in tardivi libri romani porti il titolo di Purificazione di Maria, nella realtà, sia l’ufficio che la messa ha per oggetto primario l’offerta del Divin Bambinello a Dio nel tempio e il suo incontro con Simeone che ne riconosce il carattere messianico e che profetizza a Maria che il suo piano di salvezza sarà occasione di rovina per i propri contraddittori. Il titolo tradizionale di “De purificatione S. Mariae” sarà abolita dal messale del 1965 in là per dare risalto alla presentazione al tempio di Gesù e anche perché il concetto ebraico e pagano di purificazione della madre non è più ammissibile nella legge cristiana come tutti i rituali ebraici. Ci viene in mente a questo punto che ad un certo punto anche gli apostoli stessi decisero di staccarsi piano piano dai rituali ebraici quando si resero conto che sarebbe stato il caso di formalizzare il culto da rendere al Signore.
Il carattere di festa mariana imposto parzialmente da Papa Sergio, si accentuò più tardi quando la processione ebbe sempre per meta la basilica di Santa Maria Maggiore e nella quale 18 diaconi portavano al pontefice altrettanti stendardi della Vergine. [14]
A Milano, verso il secolo XII la letania partiva da Santa Maria Beltrade per giungere alla Cattedrale e i sacerdoti recavano sopra un portatorium l’immagine della Madre di Dio col Bambino. Un uso similare lo riscontriamo ad Aquileja e in Germania.
[1] Sap 18:14-15.
Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de cœlis a regálibus sédibus venit.
Ps 92:1
Dóminus regnávit, decórem indútus est: indútus est Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se.
℣. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
℟. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sǽcula sæculórum. Amen.
Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de cœlis a regálibus sédibus venit.
[2] Da Basilide, famoso eresiarca del secolo II
[3] Ossia intercalando, secondo l’uso antico, l’antifona ogni uno o due versetti.
[4] Tria sunt evangelia huius solemnitatis – dice Durando – unum de baptismo, secundum de Magis, tertium est de nuptiis.
[5] Riportiamo il testo in uso nella Chiesa di Roma: Noveritis, fratres carissime, quod annuente Dei misericordia, sicut de Nativitate Domini Nostri Jesu Christi gavisi sumus, ita et de Resurrectione ejusdem Salvatoris nostri gaudium vobis annuntiamus. Die (…) februari erti dominica in Septuagesima, (…) martii dies cinerum et initium jejunii sacratissimae qudragesimae: (…) aprilis, sanctum Pascha Domini Nostri Jesu Christi cum gaudio celebrabitis. Dominica secunda post Pascha diaecesana synodus habitur: (…) Maii erit Ascentio Domini Nostri Jesu Christi, (…) ejusdem festum Pentecostes; (…) junii festum sacratissimi Corporis Christi; (…) novembris Dominica prima Adventus Domini Nostri Jesu Christi, cui est honor et gloria in saecula saeculorum.
[6] La Chiesa del Monte degli Ulivi
[7] La narrazione del battesimo del Signore nel Giordano e l’episodio delle nozze di Cana ndr.
[8] Pare fossero già in uso al tempo di Carlo Magno.
[9] Tutto dipende dalla data della Santa Pasqua
[10] Così ne parla il Righetti nel suo “Manuale di Liturgia”
[11] Il liber Pontificalis ne da così notizia : Constituit ut diebus Adnuntiationis Domini, dormitionis et Nativitatis Sanctae Dei Genitricis semperque Virginis Mariae, ac S. Simeoni, quod Hypapante Graeci appellant, laetania exeat a S. Hadriano, et ad Sanctam Mariam populus accurrat.
[12] Adorna thalamum tuum; Responsum accepit; Obtulerunt pro eo; Ave gratia plena Dei Genitrix Virgo…, assai comune nel Medioevo che i greci ripetono alla fine di tutte le loro ore canoniche.
[13] Alcuino attesta che al suo tempo era ignorata dai più.
[14] Ordo romano XI