Francesco Pontelli – Economista – 6 Gennaio 2025
Tanto il governo Draghi quanto il governo Meloni hanno enfatizzato l’effetto economico della politica governativa la quale avrebbe destinato, a loro dire, 9/10 mld di risorse pubbliche nel taglio del cuneo fiscale. Esattamente come con il governo precedente i dati reali relativi all’impatto di questa strategia fiscale in relazione al reddito disponibile risultano controversi e per molti casi decisamente imbarazzanti.
In termini generali queste manovre si dimostrano essenzialmente come una semplice operazione di natura politica e mediatica, in quanto non va dimenticato come ogni “riduzione del cuneo fiscale” viene accompagnata da una completa e radicale revisione delle tax expenditures.
L’effetto combinato di tale rivisitazione fiscale si manifesta con la neutralizzazione degli effetti economici reali della riduzione del cuneo fiscale per le diverse fasce di reddito, in più i vantaggi risultano risibili in rapporto alle dotazioni di finanza pubblica dichiarate. Soprattutto emerge evidente come questa grande operazione di “finanza pubblica” ad “esclusivo interesse dei lavoratori” alla fine si dimostra per lo Stato una semplice operazione a costo zero ma con un impatto mediatico ed elettorale molto forte.
Nel frattempo, solo nel 2023, lo Stato italiano si è trovato maggiorata la propria dotazione finanziaria di oltre 24 miliardi grazie al Fiscal drag, alla quale va aggiunta una cifra molto simile (23 miliardi) proveniente dalla lotta all’evasione fiscale.
Una semplice somma aritmetica dimostra come risultino quasi cinquanta (47 per la precisione) i miliardi di entrate extra alle quali andrebbero aggiunti anche i risparmi nei costi di servizio al debito pubblico conseguenti ai tassi di interesse decrescenti. Di questa dotazione finanziaria non si trova alcuna traccia all’interno delle leggi finanziarie del governo in carica.
Tenendo comunque in conto come una quota di tali risorse aggiuntive sia obbligatoriamente destinata al riequilibrio del rapporto debito/Pil come inevitabile conseguenza della approvazione del nuovo patto di stabilità, rimane ingiustificabile la continua crescita del debito pubblico (2981 miliardi) contemporaneamente all’aumento della spesa pubblica alla quale fa riscontro un continuo aumento della pressione fiscale.
Viceversa, in rapporto ad una strategia fiscale che volesse riconoscere un immediato e verificabile ristoro per i lavoratori italiani, basterebbe considerare come un decimo di questa dotazione finanziaria aggiuntiva sarebbe stato sufficiente per mantenere lo sconto fiscale sulle accise dei carburanti. Questo, per cominciare, si sarebbe dimostrato un aiuto vitale soprattutto per le fasce economiche più deboli, in considerazione anche del fatto che la cilindrata media in Italia delle automobili è di 1.524 cc, e quindi l’applicazione inversa del principio dell’utilità marginale decrescente porterebbe un vantaggio immediato e tangibile per le fasce di reddito più basse.
In più se per una volta un governo italiano intendesse adottare una politica assolutamente Innovativa e quindi anticipatrice delle problematiche anche solo per il breve termine, si potrebbe adottare. in previsione dell’aumento del 30% delle bollette energetiche nel 2025, la medesima riduzione dell’IVA dal 22 al 5% adottata dal governo Draghi.
Quella manovra ebbe un impatto sui conti dello Stato nel 2022 per circa 16 miliardi ma che ora invece necessiterebbe di risorse inferiori agli 8 miliardi in quanto il prezzo di riferimento del gas attuale, sul quale andrebbe calcolata la riduzione percentuale di 17 punti di IVA, risulta inferiore del 55% rispetto a quello del 2022.
Viceversa, si continua ad adottare la medesima politica della illusione fiscale.