Il libro del professor Pietro A. Ferrisi, La resurrezione della carne. La teologia dell’eschaton in Sant’Agostino, Edizioni Multimedia, Bologna 2024 nel panorama degli studi agostiniani costituisce una novità assoluta, rappresentando l’unico studio italiano in cui viene effettuata una ricostruzione puntuale dell’elaborazione teologica sul tema del corpo risorto da parte del più grande Padre della Chiesa Occidentale, Aurelio Agostino (354 – 430).
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Il filo conduttore che permette di ricostruire l’impegno speculativo del dottore d’Ippona sulla somaticità glorificata dell’eschaton si incentra nel tentativo di rispondere ad alcuni ardui interrogativi inerenti sia alle future attività del corpo risorto sia alla legittima presenza della realtà corporea nella dimensione trascendente della vita eterna. La questione teologica della substantia carnis, infatti, in ossequio al principio ontologico di proporzionalità tra l’essenza di una sostanza e la natura che essa fenomenizza, pone ad Agostino un’insanabile aut-aut metafisico-teologico: o il corpo glorificato dell’eschaton deve possedere la medesima sostanza di quello terreno, ma allora, data l’inscindibile connessione che unisce le operazioni di una natura alla sostanza da cui procedono, esso non dovrebbe poter attuare operazioni di ordine spirituale adeguate alla dimensione trascendente della vita celeste; oppure simili operazioni possono essere concepite anche per la dimensione somatica dell’uomo escatologico, postulando però quale conditio sine qua non di esse una totale transustanziazione dell’essenza del corpo pneumatico con il conseguente mutamento dell’agire della natura. Aut aut tertium non datur. L’elaborazione teologica di Agostino sul tema del corpo risorto giunge però, attraverso un complesso e sofferto iter speculativo, a prendere le distanze da entrambe le interpretazioni, evitando sia gli estremi del materialismo millenarista che quelli dello spiritualismo origeniano per approdare, dopo un percorso teoretico quasi quarantennale, ad una magistrale tematizzazione della questione escatologica.

Non solo. Il dogma della resurrectio carnis nella concettualizzazione teologica dell’ipponense giunge a porsi da un lato come il criterio selettivo di giudizio della visione platonica dell’uomo, mentre dall’altro viene altresì a configurarsi come la chiave di lettura paradigmatica alla cui luce sono affrontate tutte le principali questioni teologico-antropologiche della dottrina cristiana, dal significato della morte (tanatologia) allo status animarum post mortem (escatologia intermedia), dalla natura prelapsaria del corpo dei protoplasti (protologia) fino a determinare la risemantizzazione della stessa natura dell’ente (ontologia). Il tema dell’eschaton, conseguentemente, determina una presa di distanza dall’ontologia e dalla cosmologia greca, conducendo verso una ricomprensione di quelle categorie concettuali di cui, a partire dalla lettura dei «platonicorum libri», Agostino si era inizialmente servito nell’elaborazione teologica del dato di fede e che a tale scopo sembravano essere funzionali
L’autore nel procedere del libro evidenzia come l’impresa apologetica di Agostino non possieda i caratteri della sistematicità teoretica essendo il suo pensiero teologico caratterizzato da un incessante divenire intellettuale, come attestano le stesse Retractationes. Agostino si colloca infatti tra i pochi teologi dell’antichità che non affrontano l’ardua questione escatologica della resurrezione della carne in modo sistematico attraverso un trattato De resurrectione. Per questa ragione la ricostruzione proposta nel libro del prof. Ferrisi non cede alla tentazione di un forzato tentativo di concordare Agostino con sé stesso, quasi che le diverse fasi del suo pensiero inerenti alla dimensione ontologica del corpo dell’eschaton non siano altro che esplicitazioni o semplici ottimizzazioni di quanto già potenzialmente tematizzato fin dalle prime fasi della sua teoresi teologico-metafisica. Così lo studioso fiorentino, per il tramite di una puntuale storicizzazione dei brani presi in esame, guadagna per il lettore la possibilità di accedere al senso autentico dei testi agostiniani. Partendo infatti dal De musica (388) e dal De vera religione (390), in ordine cronologico, vengono esibiti gli sviluppi della tematica escatologica fino all’ultimo significativo libro del De civitate Dei (427). Mediate un’attenta analisi lessicale e testuale nei capitoli centrali del libro viene posto in luce come il dottore d’Ippona, dopo aver accolto in un primo momento la tradizionale tesi della teologia del millennio ed averla successivamente rifiutata in favore dell’antitetica visione dello spiritualismo origeniano sia pervenuto, anche grazie alle contingenze storiche della polemica origenista spostatasi dall’Oriente all’Occidente, ad una originale e successivamente insuperata sintesi teologico-metafisica sulla natura e le funzioni del corpo glorificato.
Nell’ultima sezione del libro viene infine tematizzato come l’elaborazione teologica di questa originale sintesi concettuale dell’ipponense costituisca il graduale risultato di una sincretistica cooperarazione tra il rifiuto dello spiritualismo platonico – le cui dualistiche categorie antropologiche si erano manifestate inadeguate nell’esprimere la verità del dogma – e la riconcettualizzazione della distinzione ontologica tra la nozione di sostanza e quella di natura mediante la risemantizzazione delle categorie di Aristotele finalizzata a coniugarle con la visione biblica dell’uomo indirettamente mediata dal grande biblista e studioso di ebraico Girolamo di Betlemme.
Il libro si conclude sottolineando come la teologia medioevale, nei suoi maggiori esponenti, attingerà a piene mani alla speculazione dell’ipponense sulla natura del corpo escatologico possedendo la sintesi speculativa dell’ipponense una tale profondità teoretica da riuscire a coniugare il difficile equilibrio concettuale tra l’identità e l’alterità del corpo risorto come richiesto dal dogma di fede. L’equilibrata sintesi della compresenza nella medesima dimensione somatica dell’eschaton dell’identità sostanziale della carne nella diversità qualitativa della stessa viene a costituire un’ortodossia teologica che caratterizzerà fortemente l’intera riflessione patristica dei secoli successivi a partire da Fulgenzio di Ruspe (460 – 532) – il quale afferma come nei corpi glorificati della resurrezione «pur permanendo realmente la natura della carne da Dio creata, non saranno corpi animali come quaggiù, ma corpi spirituali»[1] – fino a Tommaso d’Aquino (1225 – 1274), che assume l’esegesi dell’ipponense nella Summa Teheologiae laddove cita l’epistola 205 inerente all’interpretazione addotta da Agostino sull’identica substantia carnis, pur nel mutare della qualitas della stessa.
Il perdurare nei secoli della soluzione teologica agostiniana alla problematica questione escatologica della compresenza nella medesima corporeità glorificata dell’identità sostanziale della carne ed dell’alterità qualitativa della medesima è testimonianza non solo della profondità speculativa del genio d’Ippona, ma altresì del fatto che una tale insuperata sintesi concettuale affonda la propria forza teoretica nell’essere conforme alla peculiare essenza della dogmatica cristiana: la centralità della verità teologico-metafisica della sintesi degli opposti. L’autentica verità di fede accoglie in se la sintesi concettuale degli opposti la quale, rifuggendo la verità impazzita dell’estremizzazione propria dell’eresia, risulta essere conforme alla natura dell’intelletto quale conoscenza dialettica della verità che, fedele alla propria essenza, non può non abbracciare la totalità anche a costo di asserire un’apparente contraddizione tra concetti antitetici inconciliabili per la mera analisi razionale.
La consapevolezza che le verità sovrarazionali della fede rappresentano la giusta medietà tra le estremizzazioni razionalistiche proprie delle semplicistiche soluzioni speculative dell’eresia viene a costituire in Agostino un autentico criterio euristico, un metodo teologico in cui la verità del dogma giunge a transitare attraverso un dialettico percorso teoretico in grado di armonizzare in se stesso antitetiche polarità concettuali. All’aut aut del razionalismo ereticale fondato sui veti della logica, dell’ontologia e della cosmologica dei filosofi Agostino contrappone l’et et dell’intellectus fidei in una feconda sintesi tra fede e ragione, tra teologia e filosofia.
Se tuttavia dalla lettura delle opere di Agostino emerge come a questa operazione teologico-metafisica di difesa del dogma della resurrezione della carne e di chiarificazione concettuale del quesito escatologico inerente alle caratteristiche della dimensione somatica dell’uomo il genio di Ippona non ha potuto sottrarsi, riconoscendo egli stesso come la fede cristiana fosse ancora al suo tempo bersagliata soprattutto a causa del dogma della risurrezione[2], al tempo stesso deve essere evidenziato come una simile impresa apologetica non abbia avuto i caratteri della sistematicità teoretica essendo il suo pensiero teologico caratterizzato da un incessante divenire intellettuale, di cui le Retractationes costituiscono un’emblematica testimonianza. Agostino si colloca infatti tra i pochi teologi dell’antichità che non ha affrontato l’ardua questione escatologica della resurrezione della carne attraverso un trattato De resurrectione.
Osservando il divenire concettuale dell’impegno teoretico agostiniano vengono messe in luce le fonti, sia filosofiche che teologiche, da cui l’ipponate attinse nel tentativo di pervenire ad una esaustiva tematizzazione della teologia del corpo risorto. Esaminando i testi l’autore conduce la storicizzazione ad un livello di analisi profondo, fino ad esaminare, nei passi più rilevanti, il valore attribuito ai singoli lessemi, autentiche cifre linguistiche in grado di disvelare la dipendenza concettuale dalle idee teologiche di quei Padri della Chiesa che come lui e prima di lui si erano cimentati nel difendere e nell’illustrare il dogma della resurrezione finale.
In virtù del suddetto procedimento metodologico l’attenta analisi lessicale e testuale ha permesso di porre in luce come il dottore d’Ippona, dopo aver accolto in un primo momento la tradizionale tesi della teologia del millennio ed averla successivamente rifiutata in favore dell’antitetica visione dello spiritualismo origeniano sia pervenuto, anche grazie alle contingenze storiche della polemica origenista spostatasi dall’Oriente all’Occidente, ad una originale e successivamente insuperata sintesi teologico-metafisica sulla natura e le funzioni del corpo glorificato.
[1] De f. seu de reg. III, 35.
[2] «[…] in nessun altro argomento la fede cristiana subisce attacchi talmente violenti, ostinati, tenaci ed accaniti come a proposito della resurrezione della carne. Infatti, quanto all’immortalità dell’anima, anche molti filosofi pagani ne hanno largamente discusso, e hanno lasciato scritto, in numerosi e svariati libri, che l’anima umana è immortale. Quando però si giunge al problema della resurrezione della carne, non hanno esitazioni, ma apertamente vi si oppongono. E tanto forte è la loro contraddizione che sostengono essere assolutamente impossibile che questa carne terrena ascenda in cielo» (En. in Ps. LXXXVIII, 5).

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