Daniele Trabucco Prof. univ. strutt. in Dir. Cost. it e Comp. presso SSML/Ist. ad Ord. univ. “san Domenico” di Roma.

Il recente “Memorandum of Understanding” siglato a Washington il 30 aprile 2025 tra gli Stati Uniti d’America e la Repubblica di Ucraina in materia di cooperazione strategica sullo sfruttamento e la valorizzazione delle risorse minerarie critiche, in particolare terre rare, litio, uranio, titanio e idrocarburi, assume rilevanza giuridico-istituzionale sotto una pluralità di profili. L’accordo, pur nella forma di memorandum politico-operativo, presenta una chiara portata giuridicamente vincolante (c.d. “binding agreement”), in quanto prevede obbligazioni puntuali in capo alle parti, quali la costituzione di un “Ukraine Reconstruction Fund”, alimentato per il 50% dai ricavi futuri dello sfruttamento delle risorse naturali statali, la cui gestione congiunta implica un trasferimento parziale di capacità decisionali in ambito economico-strategico.

Sotto il profilo del diritto costituzionale ucraino, la validità e l’efficacia interna dell’accordo è subordinata alla ratifica da parte della Verkhovna Rada, ai sensi dell’art. 9 della Costituzione del 1996 e successive modificazioni, secondo cui i Trattati internazionali che implicano modifiche legislative, spese significative a carico dello Stato o cessioni, anche temporanee, di sovranità economica, devono essere ratificati mediante legge ordinaria.

La natura sostanziale dell’accordo, che implica l’impegno a vincolare parte delle entrate statali a uno strumento giuridico comune con una potenza straniera, lo rende indiscutibilmente passibile di tale procedura, pena la sua inopponibilità ai cittadini ucraini e la possibile declaratoria d’invalidità interna. Nel sistema statunitense, invece, l’accordo sembra configurarsi come un “congressional-executive agreement”, ossia un Trattato internazionale concluso dall’Esecutivo ma la cui attuazione può richiedere il coinvolgimento del Congresso per l’adozione di misure legislative di supporto, segnatamente in ambito di autorizzazioni di spesa o disciplina regolamentare concernente l’investimento pubblico-privato nelle infrastrutture minerarie all’estero. Pur non richiedendo la ratifica formale ai sensi dell’art. II, sezione 2, della Costituzione federale, riservata ai Trattati propriamente detti, l’accordo potrà essere sottoposto al controllo politico del Congresso, soprattutto ove si prospettino allocazioni di bilancio o l’intervento di agenzie federali come l’International Development Finance Corporation (DFC) o il Dipartimento dell’Energia. In chiave di diritto internazionale, l’accordo rafforza il principio di cooperazione bilaterale in settori strategici e riafferma la tendenza crescente al ricorso a strumenti pattizi settoriali vincolanti in luogo dei grandi accordi multilaterali. Si osserva, inoltre, una tendenziale estensione della categoria delle “joint ventures” pubblico-private transnazionali, con funzione sia economica sia geopolitica, destinate a incidere in modo strutturale sull’equilibrio delle catene del valore globali. A fronte di ciò, l’Unione Europea emerge come attore marginale, nonostante la precedente sottoscrizione, nel 2021, di un “Memorandum of Understanding” con l’Ucraina sulle materie prime critiche, rimasto privo di effetti concreti. La mancanza, da parte dell’UE, di una capacità negoziale centralizzata e vincolante in materia di politica industriale e strategica, aggravata dall’assenza di personalità giuridica operativa in settori di sovranità economica, si traduce in una sostanziale ininfluenza giuridica.

La sua posizione in questo dossier risulta ulteriormente indebolita dalla natura intergovernativa della sua azione esterna e dall’assenza di strumenti di coercizione normativa nei confronti degli Stati membri e dei partner esterni. In conclusione, quindi, l’accordo Stati Uniti–Ucraina sulle terre rare costituisce un esempio paradigmatico di come il diritto internazionale pattizio e il diritto costituzionale interno si intersechino nella ridefinizione delle sfere di influenza geoeconomiche. Esso conferma la perdita di centralità dell’Unione Europea come soggetto capace di agire efficacemente nel diritto internazionale in settori strategici, e accentua la tendenza verso un nuovo ordine multipolare regolato da accordi bilaterali ad alta intensità giuridica ed economica. Insomma, l’ennesima sconfitta di Ursula von der Leyen.