Martina di Giovanni

Nell’ottavo trattato dell’ Enneade, Plotino espone la dottrina del male come non essere. Quivi, infatti, dopo avere ricordato che il bene, cioè l’Uno, è il principio ed il fine di tutto ciò che esiste e che esso “trae da se” lo Spirito e l’ Anima del mondo, per cui tutte le cose che sono tra esso comprese e l’anima sono belle e buone, Plotino pone il problema di cosa sia il male.
Esso non può essere un essere in quanto il vero essere è compreso nello Spirito e dunque è buono. Non resta, allora, che identificare il male con il non essere che viene inteso come una “ombra dell’essere” ossia diverso dall’essere. Nel non essere rientra, a rigore, anche l’universo sensibile che però non è male poi questo ultimo è qualcosa di ancora più basso.


Plotino afferma che il male è ciò che “sta sotto” figure, forme e limiti ossia quello che, con termine aristotelico, bisognerebbe denominare materia e di questa Plotino dice che è “essenza del male.
Come oggetto di conoscenza il alle è paragonabile alla tenebra ossia contrario della luce.
Si può dire che il male è la morte, nel senso che l’anima del singolo muore quando si immerge nella materia e si riempie di essa però senza cessare di esistere.


Il male è però non un unicamente male perché sta al di sotto di qualcosa di buono ed è questo aspetto buono che permette agli uomo di risalire verso il bene.
La concezione di male di Plotino è quindi metafisica e non morale