di Roberto Manzi
https://blog.messainlatino.it/2025/05/finanze-vaticane-cosa-resta-della.html?m=1

È di questi giorni la notizia che il Consiglio per l’Economia (organo di vigilanza vaticana) ha respinto la prima versione del bilancio 2025 per mancato contenimento del deficit. Solo recentemente è stato approvato un nuovo bilancio con un deficit più contenuto, ma la notizia non è stata comunicata ufficialmente dalla Santa Sede (qui, qui, qui e vedi foto). Ma questo è solo l’inizio. A dodici anni dall’inizio del pontificato di Papa Francesco, infatti, la gestione economico-finanziaria della Santa Sede lascia più interrogativi che certezze. In questo articolo analizziamo il deficit strutturale annuo – stimato tra i 50 e i 60 milioni di euro – che continua a gravare sulla Curia Romana, nonostante dichiarazioni riformiste e promesse di trasparenza. Tra le criticità irrisolte, emergono quelle del Fondo Pensioni, la caduta verticale dell’Obolo di San Pietro, la gestione opaca del patrimonio immobiliare e l’incompiuta valorizzazione dei fondi non contabilizzati scoperti dal cardinale George Pell, prima che lo costringessero a dimettersi da Prefetto della Segreteria per l’economia.
La sintesi? A fronte di un patrimonio netto stimato attorno ai 4 miliardi di euro, la Santa Sede continua a registrare perdite operative rilevanti, in assenza di una governance moderna – saldamente ancorata al reale – e di strumenti di controllo efficaci. Questo perché le riforme annunciate sono rimaste spesso simboliche, prive di una reale visione e capacità di intervento strutturale. Al di là delle buone intenzioni, l’impostazione di Papa Francesco è stata fortemente simbolica e orientata alla narrazione, ma debole sul piano operativo e strategico. Un’occasione storica di riforma strutturale andata perduta e che passa il testimone al futuro Pontefice.
Entriamo subito nell’argomento e proviamo a dare di seguito una fotografia della situazione attuale, basata sulle informazioni rese pubbliche dalla Santa Sede e riprese dagli organi di stampa più accreditati, di volta in volta segnalati. A questi “fatti”, seguiranno una “analisi ragionata” e le “conclusioni” che consegniamo al nostro lettore.
I. FATTI
Deficit Strutturale della Santa Sede
Secondo Maximino Caballero Ledo, Prefetto della Segreteria per l’Economia, la Santa Sede presenta un deficit strutturale annuo compreso tra i 50 e i 60 milioni di euro. Caballero ha sottolineato che, se si volesse colmare questo deficit esclusivamente attraverso tagli alle spese, sarebbe necessario chiudere 43 delle 53 entità della Curia Romana (ovvero, l’insieme di organi e uffici che assistono il Papa nel governo della Chiesa Cattolica). Una opzione definita impraticabile. Ha inoltre evidenziato che la missione della Chiesa, intrinsecamente deficitaria, non può essere gestita con criteri puramente aziendali (qui e qui).

Crisi del Fondo Pensioni
Papa Francesco a suo tempo ebbe modo di esprimere preoccupazione per il “grave squilibrio prospettico” del Fondo Pensioni vaticano, evidenziando che, senza interventi urgenti, il sistema attuale non sarà in grado di garantire le pensioni future. Ed in risposta, nominò il cardinale Kevin Farrell come amministratore unico del fondo, sottolineando la necessità di decisioni difficili che richiederanno sacrifici da parte di tutti (qui, qui, e qui).
APSA, immobili e Obolo di San Pietro
Inoltre, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA) ha registrato un profitto di 45,9 milioni di euro nel 2023. Tuttavia, il rendimento del portafoglio immobiliare internazionale della Santa Sede è stato di soli 35 milioni di euro, nonostante la gestione di migliaia di unità. Mentre il fondo dell’Obolo di San Pietro ha visto un calo significativo delle entrate, quasi dimezzate sotto il pontificato di Francesco, e nonostante un aumento delle donazioni volontarie. Per coprire le operazioni della Curia Romana, sono stati venduti immobili per milioni di euro (qui).
Fondi non contabilizzati scoperti dal Cardinale Pell
Nel 2014, un’indagine interna al Vaticano ha rivelato l’esistenza di circa 1,4 miliardi di euro non contabilizzati nei bilanci ufficiali della Santa Sede. «Il Cardinale Pell non ha parlato di fondi illegali, illeciti o male amministrati, ma di fondi che non risultavano nei bilanci ufficiali della Santa Sede o dello Stato della Città del Vaticano, e di cui la Segreteria dell’Economia ha appreso l’esistenza nel corso del processo in corso di studio e revisione delle amministrazioni vaticane» (qui). Questi fondi, precedentemente non registrati, sono stati successivamente inclusi nel patrimonio netto, portando il totale stimato a circa 4 miliardi di euro (qui).
- L’impatto dei Fondi. Nonostante la confluenza dei 1,4 miliardi di euro nel patrimonio netto, la Santa Sede ha continuato a registrare deficit significativi negli anni successivi. Ad esempio, nel 2018 il deficit era di 75 milioni di euro, mentre nel 2021, nonostante gli sforzi di contenimento dei costi, il deficit previsto era di 49,7 milioni di euro.
- L’effetto placebo. I fondi non contabilizzati scoperti grazie al lodevole e paziente lavoro di Monsignor Pell hanno sì migliorato il patrimonio netto della Santa Sede, ma solo temporaneamente. In quanto non hanno impedito il persistere di deficit annuali significativi dovuti a perdite operative. Questo perché mai si è messa mano a riforme strutturali nella gestione finanziaria per garantire la sostenibilità economica a lungo termine.
Financials
Ovvero, i dati ufficiali (accessibili) della Santa Sede sotto il pontificato di Papa Francesco (2013–2025):
- Patrimonio netto stimato: circa 4 miliardi di euro, includendo il bilancio del Governatorato, lo IOR, il Fondo Pensioni e le Fondazioni (qui)
- Deficit strutturale annuale: tra 50 e 60 milioni di euro
- Bilancio 2019: deficit di 11 milioni di euro, in miglioramento rispetto ai 75 milioni del 2018 (qui)
- Bilancio 2020: deficit di 66,3 milioni di euro, influenzato dalla pandemia di COVID-19 (qui)
- Bilancio 2021: deficit attestato di 49,7 milioni di euro, mitigato dall’Obolo di San Pietro (qui)
- Bilancio 2023: deficit operativo di 83 milioni di euro, con ricavi di 1.152 milioni e spese di 1.236 milioni (qui)
- Bilancio 2025: bocciato. Il Consiglio per l’Economia (organo di vicinanza vaticana) ha respinto la prima versione del bilancio 2025 per mancato contenimento del deficit. Solo recentemente è stato approvato un nuovo bilancio con un deficit più contenuto, ma la notizia non è stata comunicata ufficialmente dalla Santa Sede (vedi foto: Fonte MF – Milano Finanza)
II. ANALISI RAGIONATA
L’analisi della gestione economica della Santa Sede durante il pontificato di Papa Francesco rivela un profondo scollamento tra la narrazione riformista che si è voluta dare e le azioni effettivamente intraprese. A dispetto delle dichiarazioni mediatiche di trasparenza e moralizzazione (ne avevamo già parlato qui e qui), il governo finanziario vaticano sotto Francesco si è rivelato – nei fatti – paternalista, conservativo, incoerente e incapace ad affrontare strutturalmente i nodi del deficit e della sostenibilità finanziaria. Il suo approccio è stato prevalentemente simbolico – quasi catechetico – più preoccupato di condannare pubblicamente il “mondo della finanza” (qui e qui) che di elaborare una governance efficace, tecnicamente fondata e durevole nel tempo (qui e qui).

La miopia di Caballero
Il caso più emblematico è il deficit strutturale annuo della Santa Sede, compreso tra i 50 e i 60 milioni di euro (qui). Il Prefetto della Segreteria per l’Economia, Caballero Ledo, ha affermato che colmare tale buco richiederebbe la chiusura di 43 su 53 entità della Curia Romana. Un approccio a diro poco imbarazzante, che rivela una visione economicamente miope e tecnicamente insostenibile.
- Affermare che la gestione finanziaria della Santa Sede non debba mirare alla generazione di profitto equivale a negare il principio base della sostenibilità economica, anche per enti no-profit. L’idea che il Vaticano sia “intrinsecamente in deficit” è un’assurdità contabile: un’organizzazione che sistematicamente spende più di quanto genera è tecnicamente insolvente. Il rifiuto di Caballero di una logica patrimoniale virtuosa – basata su rendite, capitalizzazione dei lasciti e gestione attiva del patrimonio – condanna la Chiesa a una pericolosa deriva verso il default.
- È un’ideologia socialista mascherata da spiritualismo contabile. Al di là dei vaghi proclami moralisti – “noi non siamo un’azienda” … “ci dobbiamo dare da fare” – a Caballero è mancata una visione ristrutturante che prevedesse la razionalizzazione delle competenze, l’accorpamento degli uffici duplicati, l’introduzione di indicatori di performance e una distinzione tra “funzioni core” (pastorale, dottrinale, apostolato, formazione, etc.) e funzioni amministrative esternalizzabili o digitalizzabili. Insomma, quello che da un “tecnico” ci si sarebbe aspettati.
- In una vera riforma, la Santa Sede avrebbe potuto ispirarsi – ad minimum – ai modelli di spending review utilizzati da enti non profit internazionali (sulla falsa riga del WCC a Ginevra), con benchmark trasparenti (parametri) e accountability finanziaria (responsabilità) per ogni dicastero. Se non addirittura – ad maximum – creare ex novo sistemi e indicatori ispirati alla sapienza della ricca tradizione cattolica.
Gli obiettivi non raggiunti di Farrell
Il Fondo Pensioni resta un altro nodo irrisolto. Papa Francesco ha denunciato pubblicamente lo squilibrio del fondo, nominando il cardinale Farrell come amministratore unico nel 2024 (qui). Tuttavia, al di là dell’invito a prendere “decisioni difficili che richiederanno sacrifici da parte di tutti” che ha portato “il Papa a tagliare le pensioni dei dipendenti” (qui), non è stato attuato alcun piano credibile, né un’operazione di riposizionamento del portafoglio investimenti. E questo, nonostante i buoni propositi di Farrell che richiedeva una riforma strutturale. Eppure il Vaticano possiede importanti asset sia immobiliari che artistici, e che avrebbero potuto costituire un fondo di garanzia previdenziale separato, oppure essere cartolarizzati per alimentare un fondo pensione a capitalizzazione mista (un po’ come il modello svizzero). E invece, nulla di tutto ciò è stato fatto: si è preferita la soluzione più ecclesiasticamente rassicurante, ma economicamente devastante – del “sacrificio condiviso” di sovietiche memorie – , senza alcun piano nel breve o nel lungo termine (ne abbiamo parlato già qui).
L’Obolo precipitato sotto Francesco
Lo stesso dicasi per l’Obolo di San Pietro, le cui entrate sono crollate da oltre 100 milioni a meno di 50 milioni di euro annui (qui). Evitiamo di chiederci in questa sede come mai a tanta popolarità di questo pontificato non abbia corrisposto una tangibile manifestazione di generosità, visto che l’Obolo è il sostegno finanziario diretto che fanno i fedeli al Papa. Ed andiamo invece alle cause strutturali. In assenza di un serio piano di rendicontazione dell’impatto, di trasparenza sulle finalità e di coinvolgimento dei donatori con metriche simili a quelle ESG (ma opportunamente ri-declinate), l’Obolo ha perso credibilità e attrattività. Francesco avrebbe potuto ripensarlo come un fondo etico ad alto impatto sociale (qui), dotato di un board indipendente, reporting integrato e strategie di investimento responsabile, in linea con i princìpi della finanza cattolica e ispirata ad esempio alla Scuola di Salamanca. Ma non lo ha fatto.
L’affossamento delle riforme di Pell
Ma il più clamoroso fallimento è forse l’affossamento delle riforme avviate dal cardinale George Pell, il quale nel 2014 scoprì 1,4 miliardi di euro non contabilizzati nei bilanci ufficiali (qui). Vogliamo pure credere che non si sia trattato di fondi illeciti, ma il fatto stesso che non fossero registrati da nessuna parte rivela un sistema a dir poco opaco, dispersivo e frammentato. Pell tentò di introdurre un sistema centralizzato di gestione integrata (Enterprise Resource Planning), uno strumento di contabilità unificata e di controlli interni simili a quelli delle Nazioni Unite. Dopo il suo doloroso allontanamento nulla è stato portato a termine (ricordiamo che ad oggi la sua figura è totalmente riabilitata, e c’è da chiedersi se non si sia fatto un uso strumentale della pubblica accusa per rimuovere una persona scomoda). Così, con l’affossamento delle sue riforme, il Vaticano ha mantenuto una struttura economica da ancien régime, in cui le funzioni finanziarie sono parcellizzate e scollegate tra loro, spesso affidate a ecclesiastici senza competenze manageriali specifiche.
L’APSA che vende asset
Persino l’APSA, che ha registrato nel 2023 un profitto di 45,9 milioni di euro, ha ottenuto solo 35 milioni dal proprio vasto patrimonio immobiliare internazionale, una cifra risibile se rapportata al potenziale del portfolio (qui). Nessuna visione originale su economia e finanza (a fronte di argomenti validi qui, qui e qui), nessuna valorizzazione sistemica, nessun piano di riconversione immobiliare per usi sociali (università, think tank, nuovi luoghi di apostolato sul modello student housing, co-working, housing sociale), nessuna strategia attiva di asset management con visione pluriennale. Si è preferito vendere asset per coprire costi correnti — una strategia miope, che erode il patrimonio per salvare la liquidità.
III. CONCLUSIONI
Dunque, quale eredità finanziaria ha lasciato questo pontificato alla Chiesa e ai fedeli contribuenti?
- Papa Francesco ha avuto pieni poteri per riformare il sistema economico vaticano, eppure ha scelto un approccio narrativo e moralista, incapace di trasformarsi in una vera governance. Un confronto illuminante emerge se si analizza il mondo delle fondazioni (religiose e non), che coniugano missione etica e solidità finanziaria. Questi enti, pur non avendo finalità lucrative, operano con principi economici rigorosi: consolidano endowment, investono in asset strategici e generano rendite stabili per finanziare attività caritative e formative. Il modello culturale dell’uomo Bergoglio (alias Caballero), invece, rifiuta questa logica di gestione patrimoniale attiva, aderendo a un’ideologia pseudo-socialista che sacrifica la sostenibilità sull’altare di un’utopia redistributiva. Ma senza surplus non c’è redistribuzione. Il disavanzo strutturale che viene accettato come “intrinseco” è una rinuncia tecnica alla governance economica: un errore da manuale.
- Francesco avrebbe potuto costruire nel cuore della cattolicità un modello di finanza etica (atta a tradurre i principi di dottrina sociale in buone pratiche), scalabile (in grado di essere replicata e implementata ovunque, creando un moto virtuoso) e sostenibile (volta a impiegare le risorse per creare valore, e non per coprire debiti). Un modello basato verticalmente su accountability, impatto, innovazione e trasparenza. E trasversalmente sull’adozione di principii e comportamenti in linea con la sua missione salvifica. Ma ha preferito mantenere una gestione di fatto clericale e accentrata, che ha aggravato le fragilità sistemiche già note.
Un modus operandi – quello di Papa Francesco – che dimostra quanto non abbia fatto buon uso del suo potere. E che ha lasciato in eredità un sistema inefficiente, vulnerabile, ancora opaco e finanziariamente insostenibile. In una parola: una riforma tanto proclamata, quanto mancata.