«Ogni vero pensatore pensa un solo pensiero», scriveva Martin Heidegger. Nel caso di René Girard (1923-2015), antropologo, critico letterario e filosofo francese, questo pensiero è quello del capro espiatorio. Una intuizione che attraversa come un filo rosso tutte le sue opere principali, da La violenza e il sacro (1972) a Il capro espiatorio (1982), fino a Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo. Il cuore della sua teoria è che la violenza non è un accidente della storia, ma una componente strutturale dell’essere umano, intimamente legata al meccanismo del desiderio mimetico.

Il desiderio mimetico e l’origine della violenza

Girard parte da un’intuizione radicale: il desiderio umano non è autonomo, bensì mimetico. Non desideriamo direttamente un oggetto, ma lo desideriamo perché lo vediamo desiderato da un altro. L’altro diventa modello e, inevitabilmente, rivale. Da qui si innesca un processo di conflitto che si allarga a livello collettivo, portando a una violenza sempre più diffusa e incontrollata.

Come evitare il caos? Le società arcaiche hanno trovato una via di uscita istintiva ma efficace: deviare la violenza collettiva su una vittima arbitraria, un “capro espiatorio”. L’uccisione di questa vittima riconcilia temporaneamente la comunità e fonda l’ordine sociale. Questo meccanismo viene poi ritualizzato nel sacrificio e mitologizzato nelle religioni arcaiche. Il sacro, per Girard, nasce proprio da qui: è violenza trasfigurata.

Il Vangelo spezza il ciclo della violenza

Se La violenza e il sacro descrive la genesi mitico-religiosa della società umana, è con Il capro espiatorio che Girard compie un passo ulteriore. In quest’opera limpida e penetrante, egli prende per mano il lettore per mostrargli come la storia sia disseminata di persecuzioni fondate su questo stesso meccanismo vittimario. Analizzando miti, testi letterari e documenti storici, Girard mostra che ogni crisi porta con sé la ricerca di un colpevole: diverso, fragile, marginale. Eliminata la vittima, l’ordine si ricompone.

Ma con i Vangeli accade qualcosa di rivoluzionario. La vittima, nella figura di Gesù Cristo, non è colpevole: è innocente, e lo è in modo radicale. La sua morte svela e disinnesca per sempre il meccanismo sacrificale. «Quando verrà il Paracleto, disse Gesù, mi renderà testimonianza, rivelerà il senso della mia morte innocente e di ogni morte innocente, dall’inizio sino alla fine del mondo».

Girard interpreta in modo innovativo episodi evangelici spesso trascurati: il rinnegamento di Pietro, la danza di Salomè, l’episodio dei demoni di Gerasa. In tutti emerge l’oscillazione tra imitazione e persecuzione, tra desiderio e colpa, tra capro espiatorio e Agnello di Dio.

René Girard

Il nostro tempo: tra vergogna e nuove persecuzioni

La rivelazione cristiana ha interrotto la potenza generativa del sacrificio. Non è più possibile uccidere in modo anonimo e dimenticare. Ogni vittima innocente, oggi, ci interpella. Questo non significa che la violenza sia finita: al contrario, può assumere forme nuove, ideologiche, sistemiche. Ma la sua giustificazione religiosa si è spezzata.

Girard ci consegna così una chiave interpretativa potente per comprendere la storia e la nostra epoca: dove vi è persecuzione, vi è desiderio mimetico impazzito; dove vi è rivelazione, vi è l’innocenza della vittima che ci costringe a fare i conti con noi stessi.

La figura del capro espiatorio, da arcaico strumento di coesione sociale, diventa specchio della nostra responsabilità. E l’Agnello di Dio, lungi dall’essere un’immagine devota, è la verità storica e teologica che può ancora salvare l’umanità dal suo ciclo distruttivo.