A cura di Indro D’Orlando
La bibliografia su Dante e sulla Divina Commedia è immensa per non dire sterminata.
Sul Poeta fiorentino e sul Poema sono passati secoli di scrittura, commenti, interpretazioni che non consentono un’unica ed univoca risposta in merito all’enigmatica personalità di Dante e, sopratutto, riguardo al messaggio della sua opera maggiore.
Il suo Poema rimane ancora oggi un enigma che continua a stimolare i suoi appassionati lettori e studiosi, perché, di certo, non può dirsi conclusa l’impresa di esplorazione e di comprensione dei 14’233 versi che lo compongono.
In questi brevi contributi che ho deciso di caratterizzare con l’espressione “Oltre il velame” – riferendomi ai famosi versi del nono canto delI’Inferno O voi ch’avete li ‘ntelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde sotto ‘l velame de li versi strani – intendo trattare aspetti particolari di non semplice comprensione immediata, a volte enigmi esposti in evidenza, che, se enucleati e letti con la giusta luce, possono favorire una maggior penetrazione del senso del testo e ciò affinché il lettore possa avvicinarsi sempre più al valore spirituale del poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra come afferma Dante nel Paradiso.

Inferno, Canto I, Perché Virgilio?
Nel primo canto, dopo la paura causata dalle tre fiere e soprattutto dall’incontro misterioso con la lupa (argomento su cui ho scritto nell’articolo precedente), Dante, allorché perdeva “la speranza de l’altezza” e “rovinava in basso loco”, vede venirgli incontro una presenza:
“Miserere di me”, gridai a lui,
“qual che tu sii, od ombra od omo certo”
Ecco dunque Virgilio.
Una prima domanda s’impone: perché Dante sceglie proprio lui, un poeta pagano che non conobbe Cristo, come guida spirituale per iniziare il suo cammino verso Dio?
Non è una domanda oziosa se consideriamo che la Commedia è un poema rigorosamente teologico e cristiano e se consideriamo al contempo l’importanza fondamentale del personaggio Virgilio nell’economia del Poema.
Ricordiamo l’importantissimo verso del terzo canto, quando Dante e Virgilio hanno appena varcato la famosa soglia infernale, il Poeta dice del suo maestro:
“Mi mise dentro a le segrete cose.”
Sono parole misteriose che non vanno sottovalutate.
Chi è stato Virgilio per Dante?
La risposta più diffusa tra i commenti riduce semplicemente la figura di Virgilio a quella dell’autore dell’Eneide, quindi un poeta che Dante ha amato molto come riconosce e afferma lui stesso nei suoi versi:
“Tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore,
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
lo bello stilo che m’ ha fatto onore.”
Ma questa risposta può realmente bastare per giustificare una presenza così importante nell’economia del Poema dantesco? Virgilio accompagna Dante nel percorso iniziale e più pericoloso di tutto il viaggio; quindi è una figura essenziale, del tutto fondamentale.
I biografi antichi e moderni, riguardo a Publio Virgilio Marone (nato vicino a Mantova nel 70 prima di Cristo e deceduto a Brindisi nel 19) soffrono di una sorta di “horror vacui”. Sappiamo tutto sommato poco.
Fu indubbiamente un personaggio enigmatico ed un’individualità eccezionale.
Dopo la sua formazione svolta a Cremona (studi di grammatica), a Milano (studi di retorica) ed a Roma (studi di arte oratoria), Virgilio si trasferisce a Napoli per frequentare la scuola epicurea presso la quale vivrà per circa 10 anni.
Quindi si trattò di un’esperienza intensa, una vera e propria vita condotta con una disciplina filosofica iniziatica di matrice greca antica.
In queste scuole si praticavano esercizi spirituali molto rigorosi, il cui obiettivo era al contempo il potenziamento delle forze dell’anima (psiche) e lo sviluppo dell’attività dello spirito (pneuma).
Questi esercizi implicavano una rigorosa etica comportamentale fatta di una precisa alimentazione, ritmi ed abitudini disciplinati, conoscenze filosofiche specifiche, pratiche meditative giornaliere che miravano principalmente all’introspezione e, quindi, anzi tutto alla piena conoscenza del proprio mondo interiore.

Nel canto ottavo dell’Inferno, Dante sempre accompagnato da Virgilio è terrorizzato dai diavoli che tengono chiusa la porta della città di Dite, i quali con voce alta dicono (parlando di Dante):
“Chi è costui che sanza morte
Va per lo regno de la morta gente?”
La presenza dei diavoli incute paura a Dante che chiede a Virgilio se questa strada infernale sia davvero mai stata percorsa da qualcuno (ancora vivo).
Virgilio gli risponde che proprio lui medesimo già fece questo percorso:
“Ver è ch’altra fïata qua “giù fui”
Una traccia importante che conferma ciò che dice Virgilio a Dante, la troviamo nel sesto canto dell’Eneide, il canto in cui il poeta mantovano narra la discesa di Enea agli inferi e ciò a seguito dell’iniziazione con la sibilla cumana.
Evidentemente del mondo infernale, Virgilio sa qualcosa.
Le sibille nella cultura religiosa e spirituale antica, assumevano un ruolo non solo sacerdotale, ma anche iniziatico, mantico, di divinazione e di preveggenza fornendo informazioni inaccessibili ai comuni mortali.
Il sesto canto dell’Eneide è uno dei canti più importanti. Virgilio lo lesse personalmente all’Imperatore Augusto. Una ragione ci sarà.
Quindi la figura di Virgilio è anzi tutto ed indubbiamente scelta da Dante in virtù di questa peculiare cultura misteriosofica, di cui le opere virgiliane sono permeate, che lega il grande poeta mantovano a quella tradizione iniziatica sui misteri della psiche e del male (il mondo infernale).
Una lunga tradizione che trova le proprie radici nell’arcana antichità mediterranea e medio orientale, evidentemente conosciuta anche da Dante.
Ma c’è anche altro.
Molto importante e poco conosciuto è il “carme cumano” ovvero la profezia della sibilla cumana che Virgilio riporta nella quarta ecloga delle Bucoliche.
Questa profezia preannuncia un’epoca destinata a cambiare la storia e il volto del mondo: il grande cerchio dei secoli antichi sta per chiudersi ed un’epoca del tutto nuova sta per iniziare a seguito della venuta di un “bambino divino”.
Virgilio non fa il nome dell’infante, ma precisa che nascerà da una vergine.
I primi padri del Cristianesimo videro in questa profezia una preveggenza della nascita di Gesù-Cristo e dell’effetto redentivo della sua venuta.
La figura di Virgilio è dunque fondamentale perché non è possibile che Dante ignorasse l’importanza data dai primi grandi padri della teologia cristiana all’autore dell’Eneide e delle Bucoliche.
Una traccia di questo nesso stretto e misteriosofico tra Virgilio e l’evento Cristo la troviamo nel canto XXII del Purgatorio, quando il poeta Stazio dice a Virgilio:
“Facesti come quei che va di notte,
che porta il lume dietro e sé non giova,
ma dopo sé fa le persone dotte,
quando dicesti: ‘Secol si rinova;
torna giustizia e primo tempo umano,
e progenïe scende da ciel nova’.
Per te poeta fui, per te cristiano:
ma perché veggi mei ciò ch’io disegno,
a colorare stenderò la mano.
Già era ‘l mondo tutto quanto pregno
de la vera credenza, seminata
per li messaggi de l’etterno regno;
e la parola tua sopra toccata
si consonava a’ nuovi predicanti;
ond’io a visitarli presi usata.”
Qui Dante fa dire a Stazio una sua profonda ed importantissima convinzione che permette di comprendere il motivo profondo, sapienziale, per cui Virgilio è la prima guida del Poeta nell’economia del Poema: Virgilio iniziato ai Misteri dell’evoluzione spirituale dell’Umanità trasmise già nelle sue opere contenuti che preannunciavano il Cristianesimo ed i suoi contenuti esoterici.

Virgilio rappresenta dunque un anello di congiunzione tra la grande Sapienza antica della cultura greco-latina nonché del medio oriente antico e il Cristianesimo delle origini.
Ecco perché Stazio, poeta vissuto in Italia tra il 45 a.C. ed il 96 p.C., dice a Virgilio “poeta fui, per te cristiano”.
Questo dunque il motivo fondamentale che ci permette di comprendere perché Virgilio è la guida di un poeta cristianissimo come Dante.
Con la figura di Virgilio, collocata e compresa in questo quadro molto più ampio e più profondo, possiamo anche capire e valutare meglio il significato che una scelta di questo tipo possa rappresentare nella dottrina dantesca: Virgilio manifesta una precisa Tradizione sapienziale senza rotture di continuità tra l’evo antico e quello cristiano.