dott.Ssa Liliane Tami, filosofa, bioeticista, riflessologa.
In questi giorni si è spenta, all’età di 98 anni, la figura di Étienne-Émile Baulieu, scienziato francese celebrato dai media per aver creato la RU-486, la cosiddetta “pillola abortiva”. La stampa internazionale ne ha esaltato il ruolo nella “liberazione” delle donne e nell’“autonomia riproduttiva”, ma non si è fermata a riflettere sull’altra faccia della medaglia: milioni di vite umane interrotte prima ancora di nascere, in nome di una libertà che troppo spesso sconfina nell’individualismo assoluto.

La pillola della morte
La RU-486 non è una cura, non è una medicina. È un mezzo per interrompere lo sviluppo di una nuova vita. È una soluzione rapida, impersonale, somministrata spesso con leggerezza, che priva silenziosamente e senza difese un essere umano del suo futuro. Chi può guardare questa realtà senza provare un brivido? Chi può davvero credere che un tale “progresso” possa essere motivo di vanto?
Il vero progresso è ciò che salva, protegge, consola, accompagna, non ciò che cancella. Eppure, con la RU-486 si è aperta una nuova stagione nella quale la scienza si è piegata al culto dell’efficienza, del rifiuto, della soppressione. Baulieu è stato celebrato come un benefattore, ma il suo nome è legato a milioni di vite spezzate, alla cultura della morte che avanza mascherata da emancipazione.
Una società senza pietà
Viviamo in una società in cui l’io viene prima del tu, in cui l’altro – anche il più piccolo e indifeso – viene considerato un ostacolo, un ingombro, un “problema”. Siamo diventati una civiltà che non vuole più generare, che sacrifica i bambini sull’altare del proprio benessere personale, come un tempo si offrivano vittime al dio Moloch. È una forma di idolatria moderna: l’idolo del controllo totale, dell’autonomia assoluta, della vita senza responsabilità e senza dono.
L’aborto non è una conquista: è una ferita profonda nel corpo della civiltà, un segno di rinuncia alla speranza. Il vero dramma non è solo nel gesto, ma nell’ideologia che lo giustifica, lo protegge, lo incoraggia: l’idea che la vita umana sia degna solo se desiderata, accolta, pianificata, e non già per il solo fatto di esistere.

Il primato dell’io sulla carità
Con la diffusione della pillola abortiva, la cultura ha consacrato il primato dell’individualismo sulla carità. La maternità, che dovrebbe essere la forma più alta dell’amore, è diventata una variabile, un’opzione da accettare o scartare. In nome della libertà, abbiamo abbandonato la compassione, rimosso la misericordia, cancellato l’accoglienza.
Ma senza misericordia, la scienza perde la sua anima. Senza amore, il progresso diventa un’arma. Non è la tecnica a essere malvagia, ma l’uomo che ne fa un uso egoista. E in questo senso, l’opera di Baulieu non è da esaltare, ma da interrogare. Perché una scienza che non protegge i più fragili non è degna dell’uomo.
L’alternativa: vita, accoglienza, speranza
Non basta dire “diritto di scelta” per giustificare l’eliminazione della vita. Ogni bambino concepito è una promessa, è una possibilità di bene. Ogni madre ha bisogno di essere aiutata, non di essere lasciata sola davanti a un farmaco che uccide in silenzio. La vera civiltà è quella che sostiene la maternità, che accompagna nella difficoltà, che offre alternative concrete.
È tempo di denunciare la menzogna dell’aborto come libertà e di promuovere una cultura dell’amore e della responsabilità. Non serve essere credenti per capire che una civiltà che rifiuta la vita non ha futuro. Serve solo onestà, coraggio e un cuore capace di riconoscere che il valore di ogni essere umano è sacro, fin dal concepimento.
L’essere umano, come ogni organismo biologico, è programmato per amare il sesso, e continenza e fedeltà sono contro natura. Eppure è proprio nello sforzo nel contenere le proprie pulsioni che l’essere umano, da animale che è, si eleva a creatura fatta ad immagine e somiglianza di Dio.