Il mistero della Trinità rappresenta il vertice della rivelazione e l’alfabeto invisibile della comunione divina. Ma è proprio su questo mistero che si consumò, mille anni fa, una delle fratture più dolorose della storia ecclesiale: lo scisma d’Oriente del 1054, che separò la Chiesa d’Occidente ( cattolica), guidata da Roma, da quella d’Oriente ( ortodossa) , centrata su Costantinopoli. Il dissidio, formalizzato da reciproche scomuniche, aveva radici complesse: dispute liturgiche, tensioni politiche, divergenze ecclesiologiche. Ma uno dei nodi teologici più rilevanti fu proprio la discussione sul “Filioque”, la formula che afferma che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio.

Lo studio degli autori come Sant’Ireneo da Lione, i padri della Cappadocia ( Basilio Magno, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa) e Sant’Agostino possono aiutare l’europa cattolica a vivere in pace e fratellanza con la russia ortodossa, perchè le loro riflessioni sullo Spirito Santo ci uniscono.


La frattura del Filioque: questione di teologia o di cuore?

Il termine Filioque – “e dal Figlio” – fu inserito nel Credo niceno-costantinopolitano in ambiente latino per combattere l’arianesimo.

I Padri greci invece insistevano sulla “monarchia del Padre”, principio unico da cui procede il Figlio e, per mezzo di lui, lo Spirito. L’Occidente, con Agostino e successivamente con i teologi scolastici, vedeva nel Filioque l’espressione della perfetta comunione d’amore tra il Padre e il Figlio, da cui scaturisce lo Spirito come vincolo personale di unità.

Concili Ecumenici fondamentali che hanno definito la trinità.

  • Nicea I (325): definisce la consustanzialità del Figlio col Padre (homoousios), contro Ario.
  • Costantinopoli I (381): completa la dottrina trinitaria, affermando la divinità dello Spirito Santo contro i pneumatomachi.
  • Efeso (431) e Calcedonia (451): rafforzano la dottrina dell’unità della persona di Cristo, implicando la Trinità.
  • Toledo XI (675) (occidentale, in Spagna): afferma esplicitamente il filioque.
  • Laterano IV (1215) e Firenze (1439): riaffermano la dottrina trinitaria cattolica, inclusa la processione dello Spirito “dal Padre e dal Figlio”.
Basilica di San Basilio Magno, Mosca

Una radice comune nonostante la frattura

Eppure, dietro le differenze, permane una radice teologica condivisa tra cattolici ed ortodossi. Prima della frattura del 1054, vi fu un lungo tempo di comunione, nutrito da maestri spirituali riconosciuti tanto a Oriente quanto a Occidente. I Padri Cappadoci – Basilio, Gregorio di Nissa, Gregorio di Nazianzo – furono e sono venerati da entrambe le tradizioni. Il loro pensiero sulla Trinità come comunione d’amore tra persone distinte, armonia perfetta tra unità e relazione, ha plasmato profondamente sia la teologia bizantina che quella latina.

E ancora, il grande Agostino d’Ippona, pur criticato da alcuni ortodossi, resta un gigante del pensiero trinitario: la sua visione dell’amore che unisce il Padre al Figlio nello Spirito è una rivelazione filosofica che trova risonanza anche nella mistica orientale.

Questi Padri comuni sono ponti silenziosi tra Roma e Costantinopoli, l’americano Papa leone XVI e la Russia di Putin, tra il latino e il greco, tra la croce e l’icona. Essi ci dicono che prima della divisione vi fu unità, e che tale unità può essere recuperata non uniformando, ma riconciliando nella verità e nell’amore.


La Trinità come via per la pace nell’Europa del presente

Oggi, in un’Europa ferita da conflitti antichi e nuove tensioni, in un mondo segnato dalla sfiducia reciproca e da inquietanti derive nazionaliste, la Trinità può e deve tornare ad essere linguaggio di pace. Essa non è un concetto astratto, ma la rivelazione che Dio è relazione, comunione, dono reciproco, amore. Un Dio trinitario è l’antitesi della solitudine del potere, del culto dell’io, della chiusura dei confini. È il principio metafisico della fraternità.

In un tempo in cui la Russia ortodossa, guidata da Vladimir Putin, rivendica un’identità religiosa ed etnica, mentre la Chiesa cattolica è oggi guidata da un pontefice americano, portatore di una visione universale, globale, aperta al dialogo, la riscoperta della Trinità nei padri della chiesa potrebbe rappresentare il fondamento di un nuovo ecumenismo delle relazioni.

Non si tratta solo di riunificare le Chiese, ma di generare uno stile relazionale trinitario nella politica, nella diplomazia, nell’arte del convivere. Un’Europa che si riconosce figlia del Dio trinitario è un’Europa che non teme l’altro, ma lo accoglie come icona della differenza e del dono. È un continente spirituale che può parlare all’Oriente non con le armi, ma con la memoria condivisa dei suoi santi e dei suoi teologi.


Ireneo di Lione: la Trinità come economia della salvezza

Vescovo della Gallia nel II secolo, Ireneo si distinse come apologeta instancabile contro le eresie gnostiche. Nella sua opera monumentale Adversus Haereses, egli non espone ancora una dottrina trinitaria sistematica nel senso successivo ai Concili ecumenici, ma offre una visione dinamica e salvifica della Trinità, inscritta nell’economia storica della redenzione.

Ireneo parla del Figlio e dello Spirito Santo come le “due mani” del Padre, attraverso le quali Dio plasma l’uomo e lo redime. In tal modo, la distinzione tra le persone divine non si fonda su una speculazione astratta, ma si radica nella rivelazione progressiva del Dio trinitario nella storia. L’unità di Dio resta intatta, ma si manifesta nella molteplicità delle sue azioni. Il pensiero di Ireneo anticipa così una dimensione chiave della teologia orientale: la distinzione tra essenza (ousia) e energia, tra ciò che Dio è in sé e ciò che opera ad extra.


I Padri Cappadoci: l’armonia tra unità e distinzione

Nel IV secolo, in un contesto attraversato dalle polemiche ariane e dai tentativi di ridurre il Figlio a una creatura del Padre, emersero tre luminari della filosofia cristiana: Basilio di Cesarea, Gregorio di Nissa e Gregorio di Nazianzo. Noti collettivamente come i Padri Cappadoci, essi diedero alla dottrina trinitaria la sua forma classica nel lessico greco, precisando la distinzione tra una sola ousia (sostanza) e tre hypostaseis (persone).

Essi difesero la divinità piena e consustanziale dello Spirito Santo, contro coloro che lo relegavano a una creatura angelica. Basilio, nel suo De Spiritu Sancto, afferma con nitore teologico che lo Spirito deve essere adorato con il Padre e il Figlio, poiché partecipa della medesima divinità.

Gregorio Nazianzeno, il “teologo” che scrisse anche splendide poesie, nei suoi Discorsi teologici penetra con profondità mistica il mistero trinitario, ricordando che Dio è uno nella natura e trino nella persona, e che ogni tentativo di comprenderlo razionalmente deve sfociare nell’adorazione e nel silenzio.

Gregorio di Nissa, infine, propone un’affascinante analogia trinitaria basata sulla comunione dell’agire: come tre fiaccole accese si confondono in una sola luce, così le tre persone divine sono inseparabili nella loro operazione. Per i Cappadoci, la Trinità è comunione d’amore, relazione vivente, non semplice categorizzazione filosofica.


Nel medesimo secolo, Sant’Agostino d’Ippona sviluppa una sintesi straordinaria tra teologia e filosofia, dando alla Chiesa d’Occidente una visione della Trinità tanto profonda quanto interiorizzata. La sua opera maggiore, De Trinitate, scritta in quindici libri e frutto di oltre vent’anni di riflessione, è uno dei vertici assoluti della teologia cristiana.

Agostino parte dalla Scrittura, ma si avvale di strumenti concettuali platonici per sondare il mistero di un Dio che è Padre, Verbo e Amore. Celebre è la sua analogia trinitaria fondata sulle facoltà dell’anima: memoria, intelligenza e volontà, che rimandano rispettivamente al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. Queste analogie non pretendono di esaurire l’arcano trinitario, ma indicano che l’essere umano, creato a immagine di Dio, reca impresso in sé il sigillo della Trinità.

Al contempo, Agostino insiste sulla relazione intratrinitaria come movimento di amore: il Padre genera il Figlio come Verbo eterno, e dallo Spirito, che è l’amore reciproco, scaturisce la perfetta unità. Qui si radica, seppur implicitamente, la futura dottrina del filioque, tanto centrale nel pensiero latino quanto controversa per l’Oriente.

La Trinità, nella sua profondità misteriosa, non chiede di essere compresa, ma abitata, incarnata nell’amore. Essa è luogo originario della pace, perché è comunione eterna e irriducibile di amore. L’Oriente e l’Occidente cristiani, pur separati da antiche ferite, non hanno perso la lingua dell’amore trinitario. Se sapranno tornare ai loro padri comuni, se sapranno ascoltare la voce silenziosa di Basilio e di Agostino, potranno forse riscoprire un’unità più profonda delle divergenze storiche.

In tempi oscuri, la Trinità non è rifugio, ma chiamata alla comunione, al dono reciproco, alla fraternità. Solo un Dio che è amore può insegnarci a fare la pace tra i continenti.

Liliane Tami