A cura di Indro D’Orlando

La bibliografia su Dante e sulla Divina Commedia è immensa per non dire sterminata.

Sul Poeta fiorentino e sul Poema sono passati secoli di scrittura, commenti, interpretazioni che non consentono un’unica ed univoca risposta in merito all’enigmatica personalità di Dante e, sopratutto, riguardo al messaggio della sua opera maggiore.

Il suo Poema rimane ancora oggi un enigma che continua a stimolare i suoi appassionati lettori e studiosi, perché, di certo, non può dirsi conclusa l’impresa di esplorazione e di comprensione dei 14’233 versi che lo compongono.

In questi brevi contributi che ho deciso di caratterizzare con l’espressione “Oltre il velame” – riferendomi ai famosi versi del nono canto delI’Inferno O voi ch’avete li ‘ntelletti sani, mirate la dottrina  che s’asconde sotto ‘l velame de li versi strani – intendo trattare aspetti particolari di non semplice comprensione immediata, a volte enigmi esposti in evidenza, che, se enucleati e letti con la giusta luce, possono favorire una maggior penetrazione del senso del testo e ciò affinché il lettore possa avvicinarsi sempre più al valore spirituale del poema sacro al quale  ha posto mano e cielo e terra come afferma Dante nel Paradiso.

Béatrice (1895), par Marie Spartali Stillman

Inferno, Canto II, la misteriosa figura di Beatrice

Chiunque conosca la narrazione della Commedia, anche solo nelle grandi linee, sa che il ruolo di Beatrice nel Poema dantesco è centrale ed irriducibile.

Il motivo per cui è così importante è noto: Beatrice ispira e guida l’elevazione morale e spirituale di Dante.

Infatti, Beatrice nell’economia del Poema è una figura costante, è sempre presente, attraverso le tre cantiche la sua presenza s’intensifica gradualmente fino a culminare in Paradiso come figura salvifica.

Si tratta dunque, per Dante, di una figura molto potente, che, difficilmente, per alcuni motivi che qui tratterò brevemente, può essere riduttivamente ed ingenuamente attribuita ad una giovane donna fiorentina incontrata a Firenze in soli due brevissimi momenti a distanza di 9 anni il primo dal secondo.

Nella narrazione del Poema, il lettore incontra per la prima volta la figura di Beatrice nel secondo canto dell’Inferno.

Il primo motivo dato al lettore per comprendere l’improvvisa presenza di Beatrice è semplice quanto potente:

“Amor mi mosse, che mi fa parlare” (v.72)

E in merito alla natura della sua figura, Beatrice non fa alcun mistero:

“I’son fatta da Dio, sua mercé tale

Che la vostra miseria non mi tange,

                           Né fiamma d’esto ‘ncendio non m’assale.” (v. 91-93)

La sua presenza nella narrazione viene chiaramente spiegata: nell’alto dei mondi spirituali, per una volontà superiore, Dante è scelto per attuare un cammino di elevazione spirituale:

             “Donna è gentil nel ciel che si compiange” (v. 94)

(…)

“Questa chiese Lucia in suo dimando

e disse: or ha bisogno il tuo fedele

                        di te e io a te lo raccomando”        (v. 97-99)

Quindi Santa Lucia di Siracusa (a cui Dante rivela di essere devotissimo) chiamata dalla “Donna gentil” situata “nel ciel”, interpella dunque Beatrice affinché soccorra il Poeta insudiciato dalla polvere del mondo:

“Beatrice loda di Dio vera,

ché non soccorri quei che t’amò tanto,

                             ch’uscì per te de la volgare schiera?” (v. 103-105)

Dopo secoli di critica dantesca, la questione riguardante la figura di Beatrice rimane tuttora aperta; a dire bene, Beatrice è un vero enigma volutamente esposto in evidenza senza mai chiarirlo del tutto, come a voler indurre il lettore ad un’appassionata ricerca sulla verità della sua misteriosa dama, al contempo “fanciulla di Firenze” e “lode di Dio vera”. Pertanto, sarebbe ingenuo pensare di poter risolvere qui un problema che, come è stato detto e ribadito dai maggiori dantisti, rappresenta, nella sostanza,  gran parte della comprensione non solo della Commedia, ma dell’intera opera di Dante.

Una certa linea esegetica – principalmente accademica –  ha riduttivamente identificato e risolto la figura di Beatrice con la giovane Bice Portinari, di cui esistono alcune prove documentali.

Tuttavia, troppi sono gli elementi che, appunto, non consentono una siffatta riduzione.

Infatti, sin dall’inizio del Poema, Beatrice appare non tanto come una giovane donna quanto come un’entità redentrice, capace di condurre Dante al suo essere più autentico e spirituale. Lo confermano numerosi versi come questi:

“Tu m’hai di servo tratto a libertate,

per tutte quelle vie, per tutt’i modi,

                                                                         che di ciò fare avei la potestate.”            (Paradiso, XXXI, vv, 85-87)

Ma di quale potere parla qui Dante se non un potere salvifico-redentivo?

La Commedia è un libro labirintico, le risposte alle domande non seguono per forza di logica il decorso della narrazione. Pertanto, un accenno di risposta, forse, lo troviamo molto prima, nella seconda cantica, nel famosissimo verso che definisce Beatrice

                                                   “quella …che lume fia tra ‘l vero e lo ‘ntelletto”  (Purgatorio VI, vv. 44-46)

Insomma, bastano questi due esempi per comprendere che i motivi che non permettono di continuare a credere che si tratti della fanciulla fiorentina sono veramente tanti, troppi.

All’inizio della Vita Nova, opera che cronologicamente precede la Commedia, Dante rivela di aver incontrato Beatrice, per la prima volta, all’età di 9 anni. E poi di averla rivista una seconda e ultima volta 9 anni dopo.

La descrizione fatta da Dante è brevissima quanto curiosa:

“Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia.” (II)

L’unica descrizione della giovane donna non presenta, dunque, alcuna caratteristica fisica, come se, appunto, la concretezza della figura non fosse importante. Inoltre, Dante non specifica in alcun modo dove e in che occasione siano avvenuti questi due incontri.

Dante, quindi,  non fa alcun riferimento esplicito che possa associare la Beatrice del Poema alla Bice di Folco Portinari.

Fu, anzitutto, il Boccaccio, non Dante, nelle sue  “Esposizioni sopra la Comedìa”, a creare il nesso tra Beatrice e Bice:

“Fu adunque questa donna, secondo la relazione di fededegna persona, figliuola di un valente uomo chiamato Folco Portinari, antico cittadino di Firenze …”

La fonte su cui si fonda tutta la storiografia di Beatrice “Bice” Portinari è, pertanto, una misteriosa “fededegna” persona che Boccaccio si guarda bene di rendere nota. Può bastare? Certamente no.

Sull’esistenza di Bice le basi documentali esistono e sono sufficienti per darle un minimo di realtà storica: figlia di Folco Portinari, esponente di spicco di una ragguardevole famiglia dedita al commercio e alla finanza, residente nello stesso sestiere degli Alighieri, verrà sposata e morirà presto. Ma, a parere di molti studiosi, è tutto sommato poco e, di certo, non abbastanza per dare valida e sufficiente spiegazione alla figura di Beatrice.

Sulla figura di Beatrice esistono migliaia di pubblicazioni che, se collazionate tutte insieme, potrebbero da sole formare biblioteche intere su questo singolo argomento. Questo manifesta chiaramente quanto essa sia di notevole interesse e di fondamentale importanza.

Ma perché? Evidentemente, ridurre e risolvere la questione con la figura storica di Bice Portinari convince veramente poco la maggioranza dei dantisti e ne soddisfa tutto sommato ben pochi.

Sono dell’opinione che Dante abbia già detto abbastanza per permetterci di capire senza dover per forza ricorrere ai suoi commentatori ed interpreti. Il motivo per cui Dante non poteva essere troppo oscuro sta nell’assoluta centralità di Beatrice all’interno della sua dottrina. Era per forza necessario che ne parlasse abbastanza affinché il lettore attento capisse, ma neanche troppo perché si potesse mantenere il sottilissimo velo del sacro mistero, e ciò al fine di garantire il dovuto rispetto per la sacrosanta figura di cui parla il “sacrato poema”.

Nel Paradiso, nonostante le caratteristiche umane usate da Dante – è lieta (V 94), più bella (VIII 15), e bella e ridente (XIV 79), è miracol (XVIII 63), fulgore (XXI 11), letizia (XXIII 23), dolce e cara (XXIII 34), e dolce riso (XXX 26) – Beatrice è ribadita ed incastonata nella sua divina natura superiore: già nel Purgatorio, ella è tramite tra la verità e la mente umana (VI 45), infatti poi nel ventottesimo canto del Paradiso Dante conferma –  con uno dei versi più intensi della Commedia – che la sua angelica musa gli “imparadisa la mente” – si noti il bellissimo neologismo –  ovvero lo illumina sulle verità superiori.

Con questa profonda consapevolezza filosofica occorre, dunque, dal II canto dell’Inferno in poi, proseguire la lettura del Poema senza ridurlo ad un semplice – seppur magnifico – poemetto d’amore per Bice Portinari.