La figura di Carlo Alberto di Savoia-Carignano (1798-1849), re di Sardegna dal 1831 al 1849, è sempre stata avvolta da un’aura complessa, sospesa tra luci e ombre. Uomo profondamente religioso ma anche protagonista di scelte politiche decisive, a lui la storia attribuisce il difficile ruolo di “re tentennante”: progressista a tratti, conservatore in altri, diviso tra il desiderio di modernità e la fedeltà alla tradizione cattolica.
Negli ambienti popolari, e in certa letteratura ottocentesca, circolò persino l’idea che Carlo Alberto avesse rinunciato al trono per salvare la Chiesa. Ma cosa c’è di vero in questa interpretazione?
L’abdicazione del 1849
Dopo la disastrosa sconfitta di Novara (23 marzo 1849) contro l’esercito austriaco, Carlo Alberto decise di abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Una scelta presentata ufficialmente come gesto politico: evitare l’umiliazione personale e garantire continuità alla monarchia sabauda in un momento critico.
Tuttavia, le fonti coeve testimoniano il tormento spirituale del re. Carlo Alberto, che in gioventù era stato vicino a idee liberali, negli ultimi anni di vita si avvicinò a un cattolicesimo rigido, quasi penitenziale. La sconfitta militare fu da lui vissuta come un castigo divino, e la sua rinuncia al trono assunse il carattere di un atto di espiazione.

Il rapporto con la Chiesa
Non è corretto dire che abbia abdicato “per salvare la Chiesa”: la sua scelta non fu un diretto sacrificio in favore delle istituzioni ecclesiastiche. Tuttavia, Carlo Alberto considerava il regno dei Savoia legato a doppio filo con la missione cattolica. Per questo, nel lasciare il potere, sperava di preservare la dinastia e la religione da ulteriori fratture.
Del resto, anche lo Statuto Albertino (1848), pur aprendo la strada a un regime costituzionale, riconosceva la religione cattolica come sola religione dello Stato, a conferma di quanto Carlo Alberto ritenesse centrale il ruolo della Chiesa nella vita pubblica.
Un re penitente
Dopo l’abdicazione, Carlo Alberto si ritirò in esilio volontario a Oporto, in Portogallo, dove visse solo pochi mesi: morì il 28 luglio 1849. Lontano dalla politica, si presentò come un sovrano penitente, quasi un monaco laico, convinto che la sua rinuncia fosse stata necessaria per espiare colpe personali e proteggere la continuità cattolica del Regno.