di Tito Tettamanti


Ho ripreso questo titolo dal libro della sociologa francese Dominique Schnapper, degna figlia di
Raymond Aron. Chiunque si occupi di scienze politiche sensibilizza una serie di insoddisfazioni,
addirittura insuccessi, a proposito del sistema democratico.

Grossa delusione è la perdita di potere del mondo democratico nei confronti di autarchie e
dittature. Nell’ambito delle Nazioni Unite, dei 193 Stati aderenti quelli retti democraticamente
sono in minoranza. L’”Indice delle democrazie” considera completamente democratiche il 15%
delle nazioni rappresentanti il 7% della popolazione mondiale. In 60 Paesi (40% della
popolazione) vigono regimi autoritari.

Delusione prevedibile. Solo confusioni a proposito della multietnicità possono far credere che
culture millenarie – talvolta accompagnate da fedi religiose – che non hanno mai conosciuto la
società civile possano convertirsi facilmente alla democrazia. Fukuyama si è illuso e i fatti
hanno dato ragione a Huntington con il suo “The Clash of Civilizations”.

Più preoccupanti le delusioni relative ai nostri regimi democratici.Innanzitutto cosa vuol dire democrazia? Ho posto l’interrogativo durante un colloquio in Francia con studiosi della politica allo storico germanico Andreas Rödder che mi ha risposto: governodella maggioranza, protezione della minoranza, alternanze pacifiche tra governi. Questa la struttura che dovrebbe creare le premesse per uno spazio pubblico per l’uguale dignità, libertà ed uguaglianza (Schnapper).

Facile a dirsi, difficile la realizzazione, non vi è una democrazia perfetta.
Le delusioni sono le figlie di aspettative irrealizzate ed al proposito abbiamo solo l’imbarazzo
della scelta, le odierne aspettative potendo talvolta essere addirittura contraddittorie o
totalmente utopiche.

I tempi della riflessione e del giudizio democratico con relativa implementazione si trovano
confrontati con richieste da parte di una società che vorrebbe le risposte per ieri, anche nei
confronti di sensibilità (problemi) solo del momento. Modestissime ma vocianti minoranze
organizzate vogliono imporre le loro richieste indifferenti al mancato consenso maggioritario
(democratico).

Un pesante scontro riguarda il concetto di uguaglianza, dall’utopia irrealizzabile
dell’uguaglianza assoluta alle tesi dell’uguaglianza delle opportunità. La delusione per i
vantaggi di casta accumulati dai politici nella democrazia rappresentativa, con conseguente
frattura tra i rappresentanti di una partitocrazia arrogante e venale ed il Paese.

Ma le più profonde radici dell’odierna incomprensione sono altre. Mentre nel passato la
distinzione tra la democrazia e le società dittatoriali (fascista – nazista – comunista) era ben
chiara, oggi vi sono due concetti di democrazia che si scontrano creando confusione. Nel
passato la competizione tra forze di destra e forze della sinistra, i social democratici, che non
sono mai stati comunisti, avveniva nell’ambito di un quadro istituzionale condiviso, era una
legittima lotta di interessi divergenti per la struttura sociale, ma in un ambito di dibattiti alla
ricerca di soluzioni condivise.

Oggi lo scontro, ben più violento, è un altro, è uno scontro di culture, talvolta esasperato. Sulla
genetica e di conseguenza sulla sessualità, sul clima e l’energia e i relativi modi di vita e infine
sulla multietnicità, la libertà o meno di immigrazione con i gravi squilibri della mancata
integrazione.

Il voler sostituire Mamma e Papà con Genitore 1 e Genitore 2 non è una bizzarria senza
importanza, vuol dire stravolgere la genetica, la struttura sulla quale la nostra società
democratica sinora si è basata. La lotta alle auto e il favorire piste ciclabili è un atto coerente
per una forma di vita in contrasto con le esigenze odierne dell’economia. L’esasperazione
multietnica si scontra con concetti identitari, sensibilità patriottiche, storie di secoli. Si arriva, in
Inghilterra, a chiedere che gli immigrati autori di stupro vengano condannati con pene più
leggere.

Il quadro istituzionale si è rotto e viene combattuto dal progressismo di sinistra che ha sostituito
la social democrazia ottenendo sostegno nelle classi medie urbane, perdendo l’elettorato
popolare oggi rivoltosi ai nuovi partiti di protesta di destra. Gli scontri, per esempio in Francia ed
Italia, sono astiosi, violenti, frutto dell’intolleranza. Intolleranza teorizzata da Marcuse, uno dei
massimi teorici del progressismo, che la ritiene doverosa per non riconoscere agli avversari
l’immeritata dignità del dibattito. Non si impedisce di parlare nelle aule universitarie per giovanili
reazioni del momento ma per strategia conseguente.

Il progressismo di sinistra si batte con successo assumendo la rappresentanza dei diversi
(presunti) discriminati per una sua diversa concezione di democrazia, illusoria tanto quanto le
“democrazie popolari” dei regimi comunisti.

Tale successo è anche dovuto alla insensibilità di chi si dovrebbe opporre. Ricordo che il diritto
di cambiare sesso, condizionato solo al pagamento di 75 franchi all’Ufficio dello Stato civile del
proprio Comune, che ha dato già origine a casi di pretestuosità truffaldine, al Consiglio
nazionale è stato votato all’unanimità dalla frazione liberale e a grande maggioranza da quelli
del Centro.

Non è la democrazia che delude, è la società che è sottoposta a traumatici cambiamenti da un
progressismo di sinistra attivo e organizzato che postula una società diversa e deve i suoi
successi alla debolezza di forze tradizionalmente democratiche distratte, disinteressate e
pavide.