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Rivolta in Siria. Cronaca di un massacro che non fa notizia

Le proteste contro il regime che da giorni sono in corso in Siria non fanno molta notizia, superate da eventi più eclatanti come il terremoto in Giappone e la crisi libica. Eppure nel paese medio orientale sono in corso eventi drammatici e senza precedenti.

Le proteste erano iniziate già a febbraio ma erano entrate nel vivo il 15 marzo a Damasco, quando un appello su Facebook riuniva decine di persone nella capitale, per protestare contro il regime del presidente Bachar al Assad. I cortei dei manifestanti sfilano per tutto il giorno e anche l’indomani, quando la polizia interviene ed arresta una trentina di persone.
Tre giorni più tardi la contestazione si sposta a Dera’a, città tribale di 75mila abitanti e che dista 120 km da Damasco. Qui le forze di sicurezza reprimono nel sangue gli assembramenti di persone. Si contano diversi morti e molti feriti.

Il 18 marzo, durante i funerali delle vittime di Dera’a diversi distaccamenti di polizia attaccano i cortei funebri, ferendo numerose persone e procedendo a diversi arresti.
Il 20 marzo in città la rabbia esplode: centinaia di persone attaccano il palazzo di giustizia ed altri edifici, appiccano incendi. I cortei di protesta non si fermano e la contestazione si allarga ad altre città, soprattutto nel sud del paese: Enkhel, Jassem e Nawa.

Mercoledì 23 marzo a Dera’a, diventata l’epicentro della rivolta, le forze di sicurezza sparano sui manifestanti e uccidono oltre cento persone. Il presidente al Assad addossa la responsabilità del massacro ai disordini organizzati da “bande di teppisti” e accusa i manifestanti di nascondere armi all’interno delle moschee. Il governatore della città viene destituito e Dera’a viene circondata dai blindati dell’esercito.
La Francia lancia un appello al governo siriano affinchè fermi il massacro e preoccupazione viene espressa dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki moon.

Giovedì 24 marzo: almeno ventimila persone partecipano ai funerali delle vittime di ieri. Vi sono nuovi scontri e i morti sono una quindicina. Le forze di sicurezza, la polizia e i militari procedono a nuovi arresti. Il presidente al Assad ha dichiarato che valuterà le richieste del popolo.

Il 31 gennaio in un’intervista sul The Wall Street Journal, il presidente al Assad commentava gli eventi di Tunisia ed Egitto dichiarando che “la Siria è diversa, Damasco non è il Cairo” ed escludendo che la rivolta avrebbe raggiunto il suo paese.
Recentemente il primo ministro turco Erdogan lo aveva avvertito riguardo al potere di contagio della ribellione che sta attraversando gran parte dei paesi arabi e gli aveva suggerito di anticipare gli eventi promuovendo riforme urgenti.

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Redazione

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